Da anni i paesi dei Balcani sono colpiti da un costante declino demografico e non è solo una questione di poche nascite: il fattore emigrazione sta assumendo ormai dimensioni allarmanti. Una delle destinazioni più ambite è la Germania, affamata di forza lavoro
(Originariamente pubblicato dalla Deutsche Welle , il 23 novembre 2022)
“In Serbia vivono circa 6,55 milioni di persone”, ha dichiarato all’inizio di novembre il presidente serbo Aleksandar Vučić, lasciando intendere di essere a conoscenza dei risultati preliminari dell’ultimo censimento della popolazione [svoltosi dall’1 ottobre al 17 novembre di quest’anno]. Se l’affermazione di Vučić dovesse rivelarsi vera, significherebbe che la Serbia ha subito un drammatico calo della popolazione rispetto al censimento del 2011, quando nel paese vivevano 7,18 milioni di persone. Un calo che però Vučić ha definito meno grave “di quanto ci si aspettasse”.
Ancora prima che iniziasse il censimento della popolazione, alcuni media hanno rimarcato che “la Serbia sta morendo”. Forse però sarebbe più corretto affermare che “la Serbia sta morendo ed emigrando”.
“Finora il fattore principale [alla base del crollo demografico in Serbia] non è stata l’emigrazione, bensì un saldo naturale negativo”, spiega Ivan Marinković, demografo presso l’Istituto di scienze sociali di Belgrado. “Ora però anche il fenomeno dell’emigrazione sta assumendo dimensioni allarmanti”.
Marinković sottolinea che, anche se i risultati definitivi del censimento appena concluso dovessero confermare quanto affermato dal presidente Vučić, tali dati non rispecchierebbero la vera portata del declino demografico perché molte persone che decidono di emigrare all’estero mantengono la residenza in Serbia.
“Considerando la differenza tra il numero dei nati e quello dei morti, in un solo decennio abbiamo perso circa 470mila persone. Ora però [dal censimento] potrebbe emergere che, a causa di un saldo migratorio negativo, abbiamo perso altre 200mila persone, se non addirittura di più”.
Una simile tendenza si riscontra anche nei paesi vicini, ossia in tutti i paesi ex jugoslavi, ad eccezione della Slovenia, e in Albania. Dal recente censimento in Croazia è emerso che la popolazione residente nel paese è scesa di 400mila unità (10%) rispetto al censimento precedente.
La situazione in Bosnia Erzegovina appare ancora più allarmante. Stando ai dati pubblicati dall’Unione per il rientro e l’integrazione sostenibile della BiH, nel periodo compreso tra luglio 2013 e dicembre 2021 dal paese se ne sono andate 485mila persone.
Secondo un rapporto delle Nazioni Unite, la Bosnia Erzegovina è al secondo posto tra i paesi con la più grande diaspora al mondo (34%) [incidenza di cittadini bosniaco-erzegovesi residenti all’estero sul totale della popolazione attuale della BiH], preceduta solo dalla Guyana, mentre al terzo posto si trova l’Albania (30,7%). I dati per il Kosovo non sono disponibili, trattandosi di una classifica che comprende solo gli stati membri dell’Onu, ma non è da escludere che la diaspora kosovara sia ancora più numerosa di quella bosniaca e albanese.
Germania, calamita per migranti
La risposta al quesito sulla principale destinazione dei cittadini dei Balcani che se ne vanno dai loro paesi in cerca di fortuna è ormai ben nota: la maggior parte delle persone emigra verso la prima potenza economica d’Europa, ossia la Germania.
“Non è certo un fenomeno nuovo. In Europa le migrazioni sono sempre esistite. Le persone vanno là dove ci sono lavoro e sicurezza”, spiega alla Deutsche Welle Boris Mijatović, membro del Bundestag, eletto tra le fila dei Verdi.
I dati dimostrano che – nonostante l’incessante susseguirsi di crisi, culminato con la pandemia e la guerra in Ucraina – la Germania ha un inesauribile bisogno di manodopera e continua a guardare ai Balcani occidentali come ad uno dei principali bacini di lavoratori a cui attingere.
Solo dall’inizio di quest’anno, in Germania il numero di posti di lavoro vacanti è aumentato di 853mila unità. Tra le professioni più difficili da trovare spiccano addetti alla cura della persona (i posti restano vacanti in media 239 giorni), idraulici e tecnici per impianti di riscaldamento (234), lavoratori edili (221) e infermieri (118).
“È solo l’inizio”, titolava quest’estate il settimanale Der Spiegel. Da qui al 2035 – quando anche gli ultimi “baby boomer” andranno in pensione – in Germania potrebbero mancare sette milioni di lavoratori. L'unica soluzione , secondo il settimanale tedesco, è attrarre dall’estero 400mila lavoratori all’anno.
“Anche la Germania ha una popolazione estremamente vecchia, per questo cerca di importare molte persone giovani. Quindi tende a risolvere il problema puntando non tanto sulle politiche demografiche, che sono costose e raramente danno i frutti attesi, quanto sulla migrazione. Così facendo, viene stimolata la crescita economica e, implicitamente, anche la fecondità [della popolazione]”, spiega il demografo Ivan Marinković.
Balcani, infinito bacino di manodopera
Quando, quest’estate, i ristoratori tedeschi hanno ripreso a lavorare a pieno ritmo dopo la pandemia, si sono trovati a dover fare i conti con la carenza di forza lavoro. L’associazione nazionale di categoria ha chiesto al governo di dare immediatamente il via libera all’arrivo di lavoratori dai Balcani occidentali.
Anche il settore aeroportuale, trovatosi costretto a sopperire urgentemente alla mancanza di lavoratori dovuta all’ondata di licenziamenti durante il lockdown, ha guardato soprattutto ai Balcani occidentali e alla Turchia.
I Balcani occidentali sono infatti l’unica regione extra UE verso la quale la Germania ha aperto il proprio mercato del lavoro anche ai lavoratori non qualificati. Questo meccanismo – che prevede una quota massima di ingressi annuali pari a 25mila unità – è stato ideato dopo lo scoppio della crisi migratoria del 2015 per dissuadere i cittadini serbi, bosniaco-erzegovesi e macedoni dal chiedere asilo in Germania.
Qualche anno fa la Germania ha stipulato un accordo , denominato “Triple win”, con la Serbia e la Bosnia Erzegovina (oltre che con la Tunisia e le Filippine) per il reclutamento di medici e infermieri. Nel 2019 l’allora ministro della Salute tedesco Jens Spahn, esponente dell’Unione cristiano-democratica (CDU), ha cercato a più riprese di convincere i giornalisti che la Germania reclutava il personale medico solo dai paesi con una popolazione “particolarmente giovane” dove la manodopera sovrabbondava.
Un’immagine che di certo non corrisponde al reale stato delle cose in Serbia e Bosnia Erzegovina. La Serbia è uno dei paesi con la popolazione più anziana al mondo e, secondo alcune stime dell’Onu, si troverà tra i cinque paesi (insieme a Bulgaria, Ucraina, Lettonia e Lituania) che da qui al 2050 perderanno un quinto della loro popolazione.
Ciò che conta di più è la qualità della vita
Alla domanda se ritiene che il reclutamento di manodopera dai Balcani sia discutibile dal punto di vista etico, il deputato dei Verdi Boris Mijatović risponde: “Non credo che la responsabilità del fatto che le persone emigrano dai loro paesi possa essere attribuita interamente alla Germania”. Il partito di Mijatović fa parte dell’attuale governo tedesco e, come tutti i grandi partiti del paese, è favorevole all’immigrazione.
“Le persone se ne vanno dai loro paesi perché non vi vedono alcuna prospettiva per sé e per la propria famiglia”, spiega Mijatović precisando: “I valori dell’Unione europea, come sicurezza e pace, costituiscono un fattore di attrazione per le persone provenienti dai Balcani, dalla Moldavia e dall’Ucraina. Per questo dobbiamo rafforzare tali valori nell’intera regione”.
Mijatović sottolinea però che non si parla abbastanza del fenomeno della fuga di cervelli. “Se ne discute troppo poco rispetto al dramma a cui si assiste ad esempio in Bosnia Erzegovina. Alcuni parlano di oltre centomila persone che l’anno scorso avrebbero lasciato il paese. Una cifra che corrisponderebbe al 5% della popolazione”.
Riflettendo sulla dimensione etica del processo di reclutamento di manodopera, il demografo Ivan Marinković afferma: “Ad ogni modo il capitalismo rifiuta qualsiasi forma di moralismo. I tedeschi sono efficaci, tutto qui”.
Marinković poi spiega che per invertire una tendenza demografica negativa non basta mettere in atto una politica basata sulle agevolazioni per madri e giovani coppie, l’aumento degli assegni per figli, etc.
“La qualità della vita nel suo complesso è di cruciale importanza. Non dobbiamo necessariamente vivere come i tedeschi, ma dobbiamo almeno avere delle condizioni di vita dignitose. Molte persone sono semplicemente costrette a cercare una vita migliore altrove”.
Stando agli ultimi dati disponibili, quasi 1,5 milioni di cittadini dell’ex Jugoslavia hanno trovato “una vita migliore” in Germania. Di questi 427mila sono cittadini croati, seguiti dai cittadini della Serbia (243mila) e del Kosovo (243mila), della Bosnia Erzegovina (211mila) e della Macedonia del Nord (121mila), mentre sono 74mila i cittadini albanesi che attualmente risiedono in Germania.
I popoli possono scomparire?
Oggi, considerando anche l’invecchiamento della popolazione e lo spopolamento dei Balcani, la situazione è molto diversa rispetto al 1968 quando la Jugoslavia socialista decise di stipulare un accordo con la Germania sui cosiddetti “gastarbeiter”. Una decisione che potrebbe essere definita un tentativo di esportare la disoccupazione da un paese abbastanza popoloso.
“Oggi anche in Serbia manca la forza lavoro, ed è un fenomeno che sta diventando sempre più rilevante, man mano che i baby boomer vanno in pensione. Per questo assistiamo ad una crisi del sistema pensionistico, concepito come un programma di solidarietà intergenerazionale”, spiega Ivan Marinković.
Non va però dimenticato che la diaspora manda soldi a casa, soldi che permettono a molte famiglie di sopravvivere e talvolta contribuiscono in maniera rilevante all’economia dei paesi di origine.
Alla domanda se ritiene che i paesi dei Balcani, alle prese con “la peste bianca” (crollo demografico) e una massiccia emigrazione, possano completamente scomparire, Marinković risponde: “È chiaro che ad un certo punto può essere varcata quella soglia oltre la quale un rinnovo naturale della popolazione diventa impossibile senza una massiccia immigrazione. Le sostituzioni di popolazioni sono sempre esistite”.
“Non bisogna però disperare pensando che rimarremo in pochi, tanto da poter stare tutti sotto un albero di prugne. Qui ci sarà sempre la vita umana, così come c’è sempre stata, perché è un luogo adatto ad essere abitato”, afferma Marinković. “Poi se si chiamerà Serbia o in un altro modo…”.
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