Il Papa, sul suolo della Serbia, non ha mai messo piede. Ma potrebbe farlo in occasione delle celebrazioni nel 2013 dei 1700 anni dalla promulgazione dell'Editto di Costantino. I rapporti tra cattolici e ortodossi, le divisioni nella chiesa serba, i macigni del '900 che pesano sui rapporti interreligiosi in questo approfondimento
(L'articolo è stato pubblicato anche dal quotidiano russo Nezavisimaja Gazeta)
Non si può certo dire che le Chiese cristiane, quella cattolica come quella ortodossa, abbiano dato la prova migliore di sé durante le guerre jugoslave degli anni novanta del secolo scorso. Troppo spesso entrambe si sono prestate a far da supporto alle tendenze nazionalistiche dei popoli fra i quali sono maggiormente rappresentate, i croati e i serbi. Ed anche fra loro stesse non vi è stata pace e collaborazione.
Ancora pesa il passato più remoto, quello della Seconda guerra mondiale, che ha crudelmente spezzato un legame che non si è ancora riusciti a riannodare. In particolare per gli ortodossi è bruciante il ricordo del "genocidio" perpetrato contro i serbi, e del tentativo di “convertirli” con la forza al cattolicesimo nella Nezavisna Država Hrvatska (NDH), il cosiddetto “Stato Croato Indipendente” del periodo bellico. Era lo stato guidato dagli ultra-fascisti ustaša di Ante Pavelić, Andrija Artuković e simili. Non si è neppure dimenticato che quel regime ebbe l’appoggio, anche se non sempre entusiastico, della Chiesa cattolica e del suo capo, Alojzije Stepinac, sempre in bilico fra il sostegno al regime (non riconosciuto, fra l’altro, dal Vaticano) e la condanna delle sue atrocità. Stepinac fu successivamente condannato nella Jugoslavia di Tito alla prigione a Lepoglava e poi al confino nel suo villaggio natale di Krašić, elevato alla porpora da Pio XII e, dopo la morte (è seppellito nell’abside del duomo di Zagabria sul Kaptol), beatificato da Papa Giovanni Paolo II. E duole ancora il ricordo dello spaventoso lager ustaša di Jasenovac che, purtroppo, fu diretto per due mesi anche dal francescano Miroslav Filipović-Majstorović. La Chiesa lo espulse dall'ordine nel 1942, e la nuova Jugoslavia lo giustiziò nel 1946.
Gli odi e le violenze degli anni novanta si assommarono a tutto questo, rendendo ancor più pesante il ricordo e più lancinante il dolore. Ma ora molto tempo è passato e le due chiese tentano faticosamente di diventare un veicolo di rinascita e riconciliazione fra serbi e croati.
A Niš per Costantino
Un’occasione opportuna potrebbe essere data dalla conferenza internazionale che si terrà a Niš in Serbia, l’anno prossimo (e che ha già avuto un’anticipazione di tre giorni a Novi Sad quest’anno), dedicata al 1.700 anniversario dell’Editto di Milano con cui l’imperatore Costantino nel 313 concesse la libertà di culto ai cristiani (“Costantino il Grande alle radici d’Europa”, “Konstantin Veliki – na tragovima korena Evrope”). La conferenza sarà presieduta dal Patriarca della Chiesa ortodossa serba Irinej, lui stesso già vescovo di Niš. Perché proprio Niš? Perché in questa città, che allora si chiamava Naissus, nel 274 nacque lo stesso Costantino.
La ricorrenza del giubileo costantiniano offre alle Chiese di Serbia e di Croazia l’occasione per uscire dal provincialismo in cui le ha ridotte la loro scelta, avvenuta con lo sfaldamento della Jugoslavia, di essere in primo luogo chiese nazionali. A questo proposito incominciò a circolare la notizia che in occasione delle celebrazioni di Niš sarebbe venuto in visita in Serbia (e questo sarebbe un primum absolutum) Papa Benedetto XVI. Come nasce la notizia? Già il 27 gennaio 2010, poco dopo la sua elezione a Patriarca della Chiesa ortodossa serba, Irinej, in un’intervista al Dnevnik di Zagabria, rispondendo a una domanda sulla possibilità di una visita di Papa Benedetto XVI in Serbia, disse: “Forse è venuto il momento di affrontare questo problema nella maniera più seria. Come si può infatti agire se non vi sono dialogo e contatti? Nello stesso tempo – continuò Irinej – un tale incontro è necessario per incominciare a risolvere i problemi che si sono talmente accumulati (nataložili se) al punto da farci allontanare gli uni dagli altri”. Il Patriarca sottolineò che “la divisione tra Oriente e Occidente dura già da tanti secoli che forse è proprio giunto il momento che si arrivi a un tale incontro. "In modo che possiamo dirci gli uni gli altri ciò che abbiamo da dirci e poi possiamo gli uni e gli altri riflettere su tutto”.
E alla domanda se i vertici della Chiesa ortodossa avessero già, anche in passato, sollevato il problema della visita papale, il Patriarca ha risposto: “Anche in passato si parlò di una visita del vescovo di Roma. Il nostro punto di vista allora fu che il momento non era ancora giunto e che bisognasse aspettare un’occasione migliore. Adesso – aggiunse Irinej – ritengo che occorre salutare l’avvio di tali discorsi”. E proprio qui il protoierarca della Chiesa serba osservò che nell’opinione pubblica serba “finora più volte si è citato il 2013, quando si attendono i festeggiamenti del 1.700 anniversario della promulgazione dell’Editto di Milano”.
L'asfalto di Zagabria e le pietre dello scandalo
Nel giugno 2012 avvenne un avvenimento che dovrebbe avere riflessi positivi sul dialogo e la collaborazione fra cattolici e ortodossi in ex Jugoslavia. Il patriarca Irinej, accompagnato dai membri del S. Sinodo, si recò in visita in Croazia dove, come osserva ironicamente il Večernji list, “non aveva ancora messo piede sull’asfalto di Zagabria, che la sua visita era già stata proclamata storica”. Irinej ebbe un incontro con il presidente della Croazia Ivo Josipović, col premier Zoran Milanović ed altri politici croati, ma soprattutto con l’arcivescovo cattolico di Zagabria, card. Josip Bozanić e i membri dello Stalno vijeće (Comitato permanente) della Conferenza episcopale croata, al fine di “dare un impulso al dialogo cattolico-ortodosso” che, come osserva sempre il Večernji list, “si era congelato a causa dell’aggressione serba e della guerra contro la Croazia”.
Ufficialmente non si parlò della possibile visita del Papa, ma si affrontò un tema che necessariamente deve precederla: l’acclaramento delle responsabilità croato-cattoliche e serbo-ortodosse nelle atrocità delle recenti guerre “jugoslave”. “I partecipanti all’incontro – si legge in un comunicato – sono consapevoli del fatto che numerose questioni del passato sono ancora pietre dello scandalo”. I vescovi si sono detti d’accordo che “è necessario quanto prima far luce sugli avvenimenti sui quali non vi è ancora sufficiente sensibilità nell’opinione pubblica croata e serba”. I vescovi hanno inoltre espresso appoggio al lavoro della commissione di indagine sui “crimini comunisti” e sulla identificazione delle tombe delle vittime.
In missione
Due mesi dopo ritornò d’attualità il tema “papa”. A inizio agosto 2012 il giornale croato Večernji list, seguito a ruota dal serbo Vesti, ripresero un’informazione, diplomaticamente prudente, dell’agenzia IKA (Informativna katolička agencija), portavoce della Conferenza episcopale croata, sulla recente visita a Belgrado di due vescovi croati. Si tratta del vescovo di Požega, Antun Skvorčević e del vescovo di Ragusa (Dubrovnik) Mate Uzinić che hanno avuto un incontro con il Patriarca Irinej allo scopo, questa è stata l’interpretazione dei media, di discutere la possibilità di invitare il Papa in Serbia.
Il quotidiano Vesti ha anche la spiegazione dei motivi per cui questa delicata missione sarebbe stata affidata ai due vescovi citati. Scrive infatti il giornale: “La delegazione che doveva ‘sondare il terreno’ sulla possibilità di una venuta del Papa era costituita da due vescovi che sono andati più in là di altri nello stabilire buoni rapporti con i vescovi ortodossi in Croazia. Il vescovo di Požega, Skvorčević, in più occasioni ha celebrato messe in suffragio delle vittime di Jasenovac, ed ha preso l’iniziativa di riunire sacerdoti delle tre fedi, ortodossa, cattolica e giudaica, per celebrazioni ecumeniche in memoria di quelle vittime”. Nessun sospetto “neo-ustaša”, dunque.
L’agenzia IKA ha così riassunto la sostanza dei colloqui belgradesi dei due vescovi croati: “Il patriarca Irinej ha anche presentato il programma dei festeggiamenti per il 1.700 anniversario dell’Editto costantiniano sulla libertà dei cristiani e ha illustrato i preparativi a Niš, esprimendo la convinzione che in quell’occasione l’incontro in Serbia di Papa Benedetto XVI con gli altri patriarchi delle chiese ortodosse avrebbe un grande significato per l’instaurazione di rapporti di fiducia e di riconciliazione fra le chiese in generale. Ma a questo proposito esistono ancora determinate difficoltà, anche se si spera che, nonostante il breve tempo trascorso, sia pur sempre possibile superarle”.
La formula secondo cui “determinate difficoltà possono essere superate” indusse il Večernji list a vedervi un segno dell’esistenza di buone possibilità che il capo della Chiesa cattolica, nonostante tutto, sarebbe comunque stato invitato, l’anno prossimo, alla solenne celebrazione dell’editto sulla libertà dei cristiani. Il giornale Vesti confermò che l’8 agosto effettivamente si era svolto il citato incontro di Irinej con i due vescovi croati, al quale, rivelò il quotidiano, era presente anche l’arcivescovo cattolico di Belgrado, Stanislav Kočevar. Ma durante i colloqui non sarebbe stato trattato alcun argomento straordinario, come avrebbe potuto essere l’invito al Papa. Il Patriarca Irinej quindi partì per un breve viaggio negli Stati Uniti, mentre il portavoce della Chiesa ortodossa serba, vladika (vescovo) della Bačka Irinej si è rifiutato di confermare o smentire se nell’incontro alla Patrijaršija si fosse parlato anche del Pontefice.
Illazioni e divisioni ortodosse
Nell'aprile di quest’anno era del resto parso che il Vaticano avesse bloccato tutte le speculazioni fatte fino allora su un possibile viaggio del papa a Niš. Il giorno 17 il segretario-stampa della S. Sede, p. Federico Lombardi, proprio in una conferenza stampa dedicata alla conferenza di Niš, alla quale la chiesa cattolica sarà comunque rappresentata, disse che il Pontefice non ha in programma alcun viaggio in Serbia, anche se con il Patriarca serbo era stata menzionata “l’eventuale possibilità di una visita del Papa a Niš”, tenendo conto dell’”invito del presidente serbo”, ma che “queste considerazioni non si sono concretizzate”.
Il Papa in realtà aveva ricevuto l’invito dall’ex presidente della Serbia, Boris Tadić, ma non era arrivato un analogo invito da parte del Patriarcato di Belgrado, necessario perché il pontefice potesse recarsi a Niš. Nella Chiesa ortodossa serba infatti non c’è accordo su questo punto: il maggior rimprovero che si fa alla S. Sede è che due Papi, Giovanni Paolo II, che visitò la Croazia nel 2003 e beatificò Alojzije Stepinac, e Benedetto XVI, che venne a Zagabria (dove pregò brevemente sulla tomba del medesimo Stepinac) nel giugno 2011, non si recarono a Jasenovac per rendere omaggio alle vittime del regime ustaša. Alla Patrijaršija di Belgrado viene spesso ricordata la frase del defunto Patriarca Pavle, il predecessore di Irinej, il quale era solito ripetere che “dolazak Pape u Srbiju vodi preko Jasenovca” (“la venuta del Papa in Serbia passa per Jasenovac”). Molti però in Serbia si rendono conto che è solo una questione di tempo che il Papa venga in visita ufficiale, benché contro questa prospettiva si pronunci la Chiesa ortodossa russa con il suo Patriarca Kirill, che ha aperti con la Chiesa cattolica due contenziosi: quello dei “greco-cattolici” (uniati) o cattolici di rito bizantino-slavo in Ucraina Occidentale ed il problema del cosiddetto “proselitismo” cattolico fra gli ortodossi.
Il problema delle visita del Papa ha avuto una svolta in senso negativo il 14 agosto 2012, quando la Patrijaršija comunicò, con un documento assai duro nella forma, che Papa Benedetto XVI non ha mai inviato un messaggio, e men che meno un segnale alla Chiesa ortodossa serba circa un suo desiderio di visitare la Serbia e aggiungeva che il tema per la Chiesa serba “addirittura non esiste” (uopšte ne postoji). Il comunicato è firmato dal vescovo della Bačka, vladika Irinej, portavoce del Patriarcato (e da non confondere con il Patriarca Irinej, ndr), da sempre critico di un avvicinamento al Vaticano. Vladika Irinej aggiunge che “non esiste alcuna ‘opposizione di singoli vescovi’, ma una decisione unanime del Santo Sinodo (Sabor) Episcopale, secondo cui alla celebrazione dell’Editto di Milano verranno invitati i capi delle Chiese ortodosse e delegazioni di alto livello, quindi rappresentanti responsabili, delle Chiese cristiane ‘eterodosse’ (inoslavne), compresa la Chiesa cattolica romana, ma non i loro capi”.
La Chiesa ortodossa serba, si legge inoltre nel documento, ritiene che “il modo in cui la maggioranza dei media in Serbia, ma alcuni anche in Croazia, trattano un tema fabbricato ad arte e un falso dilemma, sia disgustoso per tutti i cristiani seri (“degutantan za ozbiljne hrišćane”) e ben intenzionati, ortodossi, cattolici romani ed altri”. “Sua Santità Benedetto XVI, Papa di Roma, non ha mai, né in modo ufficiale, né non ufficiale, né direttamente, né indirettamente, né per allusione, inviato un messaggio o almeno un segnale alla Chiesa ortodossa serba circa un suo desiderio di visitare la Serbia”, afferma vladika Irinej. Il comunicato della Chiesa ortodossa sottolinea che per essa il tema di una visita del Papa in Serbia non esiste affatto e che questo tema, “in tali condizioni”, non può neppure essere esaminato nell’ambito delle competenze canoniche della Chiesa.
Profughi terroristi?
A questo punto nella polemica si inserì lo stesso Patriarca Irinej, che in parte prese le distanze dal tono di chiusura del suo omonimo, vescovo della Bačka, in particolare sul preteso disinteresse del Papa per un viaggio in Serbia. Il patriarca Irinej disse di non aver nulla contro la visita del Papa, ma addusse due argomenti, uno ben noto, ma l’altro inedito, per ritenere inopportuno l’evento. Il Patriarca dichiarò che la venuta del Papa “sarebbe utile anche per la Serbia ed il popolo serbo poiché in questo modo si aprirebbe una nuova pagina nella storia dei rapporti fra la Chiesa cattolica e ortodossa”. Il patriarca aggiunse di “non vedere alcun danno nel fatto che il Papa visiti la Serbia”, anzi, “il dialogo con una personalità qual è il vescovo di Roma sarebbe molto utile perché egli è anche un capo di stato”. Ma qui Irinej citò le due ragioni, come dicevamo, una nota e l’altra “inedita”, per cui questo non può avvenire. Il capo della Chiesa serba, contraddicendo il vladika suo omonimo, ricordò che “il Papa anche in precedenza aveva espresso il desiderio di visitare la Serbia”. Tuttavia “le ragioni per la sua mancata visita sono i ricordi ancora freschi delle conseguenze della Seconda guerra mondiale, specialmente delle ultime guerre e tragedie”. Insomma, il ricordo ancora doloroso di Jasenovac e dell’”operacija ‘Oluja’” (l'operazione Tempesta dell'esercito croato che nel 1995 pose fine al controllo di parte del territorio della Croazia da parte delle milizie serbe e durante la quale vennero commessi numerosi crimini ai danni dei civili, ndr).
A questo punto però Irinej aggiunse la giustificazione “inedita”: “In più ci sono i motivi della sicurezza del Papa durante il suo soggiorno nel paese, che nessuno potrebbe garantirgli tenendo conto del fatto che qui ancora vivono molti profughi”. Insomma, Irinej per la prima volta ha fatto balenare il rischio di un atto di violenza, o addirittura di un attentato, contro Benedetto XVI da parte di qualche profugo serbo dalla Croazia, magari dalla Krajina. Le parole di Irinej hanno suscitato varie polemiche delle quali si è reso interprete il noto e controverso scrittore-giornalista serbo Petar Milatović Ostroški (che vive a Vienna). Egli ha inviato al Patriarca una lunga “lettera aperta” nella quale, pur bollando con parole di fuoco Papa Ratzinger, si dissocia dall’ipotesi di Irinej. Scrive dunque Ostroški: “Santità, ma è Lei veramente consapevole di ciò che hanno provocato le Sue parole ‘nessuno potrebbe garantire la sicurezza [del Papa], poiché qui vivono molti profughi’, parole che sono prive di ogni umiltà e di ogni conciliazione? Accusare i profughi serbi e proclamarli in anticipo potenziali terroristi veramente rappresenta il peggiore insulto all’intelligenza. I profughi serbi non sono stati bollati come potenziali terroristi che potrebbero minacciare la sicurezza del Papa in Serbia, da nessun frate o cardinale cattolico, da nessun mufti o ayatollah musulmano, ma ciò invece lo ha fatto l’eccellente (vrli) Patriarca serbo, Lei che siede sul trono di San Sava!”
Il diavolo nel dettaglio
Concludiamo con una curiosità. Ricordiamo che a Niš, sul kej (passeggiata) lungo il fiume Nišava che bagna la città, è stato inaugurato un monumento a Costantino il Grande che ha scontentato un po’ tutti, anche al di là della controversia sul possibile arrivo del Papa. La composizione del monumento è stata elaborata da Piero Bordin, direttore della fondazione austriaca “Art Carnuntum” mentre lo scultore è Mile Kocev. Però, non appena inaugurata, l’opera ha suscitato la perplessità del sindaco di Niš Miloš Simonović, il quale, non senza ragione, ha osservato: “Ai cittadini non è chiaro perché sul piedistallo è indicato l’anno 312, quando l’Editto è datato al 313”. Già, c’è una piccola confusione. Nel 312 vi fu la celebre battaglia di Ponte Milvio contro Massenzio, durante la quale a Costantino, secondo la tradizione, comparve la Croce con la scritta “In hoc signo vinces”. E questo motto, tradotto in serbo-croato, è riprodotto anche a grandi lettere intorno ad un medaglione che orna il monumento: “Pod ovim znakom pobedićeš”. Però qui si è adontato il signor Željko Filipović, esponente dell’associazione “Ćirilica”, evidentemente costituita da zelatori dell’alfabeto cirillico. Anche lui ha pensato bene di spedire una lettera aperta al Patriarca Irinej, in cui lamenta che la traduzione del motto costantiniano non sia scritta in cirillico e che il testo in caratteri latini contenga due “errori ortografici”: nella parola “pobedićeš” le due lettere ć e š sono scritte senza il necessario segno diacritico: “pobedices”. Come si vede, “il diavolo sta nel dettaglio”, e ciò ci fa temere che anche la ben più complessa questione della visita del Papa a Niš non sarà di facile soluzione.
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