Nel 1939 un migliaio di emigranti ebrei originari dell'Europa centrale scendono lungo il Danubio. Sognano di raggiungere la Palestina. Tra loro vi era Kurt Hilkovec, un calciatore dal talento eccezionale. Porterà una squadra locale serba di vittoria in vittoria, sino a cadere vittima della Shoa
“Quando giocavamo in trasferta, Kurt Hilkovec e io dividevamo la stessa macchina. Lui portava con sé i figli e parlavamo in tedesco. Io vedevo le cose con un certo ottimismo. Ma lui aveva paura. Diceva che non ne sarebbe uscito”, ricorda Slobodan Bogićević. Prima della Seconda guerra mondiale «Čika Bata», 89 anni, era attaccante del FK Mačva, una squadra di calcio della città di Šabac, nord-ovest della Serbia. “Kurt era piccolino, forse troppo piccolo. Ma era rapido e intelligente, vivace ed appassionato. Era un giocatore dal grande talento”, ricorda.
Kurt Hilkovec arrivò a Šabac nel settembre del 1940 con un convoglio di rifugiati ebrei originari dell'Europa centrale. Secondo alcune fonti, sarebbe nato a Brema nel 1910 o 1911. “Aveva trent'anni. Era padre di due figli, una bambina ed un bambino. Diceva di aver giocato nella nazionale tedesca...”. Čika Bata fa un tiro di sigaretta. I ricordi riemergono.
All'alba di un giorno del dicembre 1939, presso il villaggio di Bezdan, sul confine settentrionale della Serbia, tre battelli della Compagnia fluviale di trasporti jugoslava noleggiati dalla Federazione dei centri religiosi ebraici della Jugoslavia si apprestavano a levare l'ancora. I passeggeri, che provenivano da Bratislava, erano stati sbarcati al confine tra Ungheria e Jugoslavia. L'intenzione era quella di imbarcarsi nuovamente in direzione Sulina, sud della Romania, nel delta del Danubio. Di là avrebbero dovuto raggiungere la Palestina. Ma le autorità rumene posero il loro veto e i battelli non raggiunsero mai Sulina.
Tra il 1938 e il 1939, circa 6800 rifugiati ebrei dell'Europa centrale affrontarono il Danubio per fuggire al Terzo Reich e raggiungere la Terra Promessa via Mar Nero.
Fine dicembre 1939: il Danubio ghiacciò. I 1370 passeggeri scesero a Kladovo, non lontano dalla frontiera rumena. Aspetteranno nove mesi in attesa di continuare il loro viaggio. Cosa che non avverrà mai. Il 19 settembre 1940, su ordine del ministero degli Interni jugoslavo, i rifugiati vennero spostati di 330 chilometri, risalendo il Danubio, nella città di Šabac.
Il sindaco Miodrag Petrović riservò loro una buona accoglienza. Tra i rifugiati scoprì che vi erano anche dei calciatori, e li arruolò nel FK Mačva, di cui era presidente, squadra che non aveva certo brillato sino ad allora per i risultati ottenuti.
Il 26 ottobre 1940, dopo una sconfitta contro il Tekstil, il giornalista sportivo del giornale locale Šabački Glasnik scrisse: “Mačva non è una squadra solida, la formazione cambia tutte le settimane, ed è per questo che accumula sconfitte”. Ma sottolineò: “Gli attaccanti sono tutti deboli, tranne il nuovo arrivo, Hiljković [sic], ala sinistra, presente ovunque e che assicura il legame tra i reparti, purtroppo inutilmente”.
Il 2 novembre dello stesso anno il FK Mačva vinse 8 a 0 contro la Gvožđar di Belgrado. Il giornalista scrisse: “La squadra, in piena forma, ha funzionato come una macchina. Ha imposto ritmi alti ed è riuscita a mantenerli per tutta la partita ed ha mostrato una condizione perfetta grazie al suo allenatore Kurt Hiljković. E' lui, che si è dimostrato il miglior giocatore della squadra. Mačva deve continuare ad allenarsi in questa maniera se vuole contare su successi futuri”.
Il 9 novembre, dopo un pareggio senza reti contro il Grafičar di Belgrado, il giornalista riportò: “L'attacco lascia a desiderare, e di qui il pareggio, ciononostante Hiljković rimane il migliore (…) Evidentemente questa è ormai un'abitudine per il Mačva: una domenica la squadra batte i suoi avversari di molte reti e la domenica successiva fatica a raggiungere il pareggio. Sarebbe meglio rompere con questa tradizione”. Venne ascoltato. Sino alla fine dell'anno la squadra passerà di vittoria in vittoria. Il 30 novembre 5 a 1 allo Sloga, il 15 dicembre 8 a 2 con la Zvezda, il 24 dicembre 14 a 3 contro la Zanatlija.
“Quella partita la disputammo con la neve sino alle caviglie. E in campo Kurt era il più veloce. Nonostante fosse piccolino aveva una forza e una tenuta incredibili. Ed aveva allo stesso tempo un grande senso tattico”, ricorda Čika Bata.
Secondo la leggenda, come ricordato dal giornalista sportivo dell'Ekspres Politika Ljubomir Vukadinović in un suo articolo del 1967 dal titolo “Ricordo di un calciatore eccezionale”, Kurt Hilkovec avrebbe segnato cinque goal contro Ricardo Zamora, il celebre giocatore del Real Madrid agli inizi degli anni '30, soprannominato El Divino. Vero o falso che fosse, a Šabac, Hilkovec era diventato una star.
“Kurt Hilkovec giocava nel Tennis Borussia Berlin”, dichiara Ace Ðenadić, che ama definirsi l'archivista del FK Mačva Šabac. Un'affermazione che Jan Buschbom, storico tedesco specializzato nelle vicende degli ebrei nello sport berlinese, contesta. “Un giocatore ebreo in un club ariano nel 1935 rappresenterebbe uno scoop senza precedenti nella storia dello sport tedesco”. L'11 aprile 1933, in effetti, il Tennis Borussia Berlin era stato dichiarato Judenrein. Ma lo stesso Jan Buschbom aggiunge che vi sono poche informazioni sulla storia del club tra il 1933 e il 1945, dato che in quegli anni non venne più pubblicata la rivista della squadra Club-Nachtrichten vom Berlin Tennis-Club Borussia. Ciononostante, nessuna rivista berlinese dell'epoca nomina mai Kurt Hilkovec.
L'articolo è tratto dal portale francofono di informazione sui Balcani Le Courrier des Balkans
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