Srebrenica, Bosnia Erzegovina, il Memoriale di Potočari © Nr-stock/Shutterstock

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"Seguendo le riflessioni di Jaspers, le prove e il buon senso, possiamo concludere che i serbi non sono un popolo genocida, anche se a Srebrenica è stato commesso un genocidio". Un commento alla vigilia della votazione all'Assemblea dell'ONU sulla risoluzione su Srebrenica

07/05/2024 -  Aleksej Kišjuhas

(Originariamente pubblicato dal quotidiano Danas , il 28 aprile 2024)

Parlando delle probabilità di successo della nazionale serba ai mondiali di calcio del 2022 in Qatar, il presidente della Serbia Aleksandar Vučić aveva dichiarato: “Sono una delle poche persone in Serbia ad aver letto tutto Jaspers, parliamo di migliaia di pagine […] Credo che possiamo arrivare in semifinale”.

Per chi non lo sapesse, “Jaspers” non è un atleta né un esperto di calcio, bensì Karl Jaspers, noto filosofo tedesco, esistenzialista e umanista.

Ebbene, se Vučić si era sbagliato di grosso per quanto riguarda la semifinale (la nazionale serba era arrivata ultima nel suo girone), aveva ragione riguardo all’immensa opera del filosofo tedesco.

Nel corso della sua vita, Jaspers (morto nel 1969) aveva dato alle stampe oltre trenta libri, lasciando dietro di sé anche una raccolta di testi inediti di oltre trentamila pagine e un epistolario corposo e molto importante.

L’Accademia delle scienze di Heidelberg ha avviato un progetto della durata di diciotto anni per pubblicare l’opera omnia di Jaspers in ben cinquanta volumi. A proposito, anche i secchioni più cocciuti e i dottorandi che scrivono una tesi sul filosofo tedesco con ogni probabilità non hanno letto “tutto Jaspers”.

Ad ogni modo, sarebbe stato utile se il presidente Vučić avesse letto almeno Die Schuldfrage [La questione della colpa] di Karl Jaspers.

Questo celebre saggio, uscito nel 1946, è basato su un ciclo di lezioni, che Jaspers tenne a guerra finita, dedicato alla questione della colpa e della responsabilità politica della Germania.

L’edizione serba uscì nel 1999, nel bel mezzo della guerra in Kosovo (editore Samizdat/FreeB92, traduzione di Vanja Savić).

Jaspers si opponeva apertamente al nazismo sin dal 1933 [anno dell’ascesa al potere di Hitler], motivo per cui venne allontanato dall’Università di Heidelberg dove insegnava filosofia. Insieme alla moglie (di origini ebraiche), decise però di rimanere in Germania durante la guerra, vivendo sotto la costante minaccia della deportazione.

Un po’ deluso dalla situazione nella Germania del dopoguerra, lasciò il suo paese nel 1948 per insegnare filosofia in Svizzera, dove rimase fino alla fine dei suoi giorni.

Prima di abbandonare la Germania condivise con i suoi connazionali, e col mondo intero, le sue riflessioni sulla colpa, arricchendo la storia delle idee con lo straordinario saggio a cui abbiamo accennato prima.

La questione della colpa è ancora attuale, anche alla luce della proposta di risoluzione delle Nazioni Unite sulla “Giornata internazionale di riflessione e commemorazione del genocidio di Srebrenica del 1995”.

La Serbia e la Republika Srpska hanno lanciato una campagna diplomatica congiunta per contestare la risoluzione e impedire che venga adottata, al contempo invitando “tutti i serbi” a esporre la bandiera serba nel caso in cui la risoluzione dovesse essere approvata. “Dopo che ci avranno definiti popolo genocida, esporremo i nostri simboli nazionali, il nostro tricolore più bello”, ha affermato Vučić.

A fagli eco è stato Ivica Dačić, ministro degli Esteri serbo, affermando che “l’intenzione [dei promotori della risoluzione] è quella di marcare un popolo e, ovviamente, di cucirgli addosso un genocidio, così i serbi, oltre agli hutu, saranno l’unico popolo al mondo ad essere stato definito genocida”.

La verità però è che nessuno – a parte i nazionalisti e i tabloid serbi – parla di un popolo genocida. Il concetto della colpa collettiva di un intero popolo semplicemente non esiste nel diritto internazionale, e nemmeno nella mente delle persone benintenzionate.

Gli americani bianchi sono “un popolo genocida” a causa dei crimini commessi contro i neri durante il periodo di schiavismo e segregazione razziale?

Lo sono forse gli inglesi per via dei crimini coloniali dell’impero britannico, oppure i belgi a causa del genocidio in Congo?

I turchi a causa del genocidio contro gli armeni? I giapponesi per via dei crimini e del genocidio contro i cinesi?

I tedeschi a causa dell’Olocausto? Quindi anche Max Planck, Thomas Mann e lo stesso Karl Jaspers? Gli hutu a causa del genocidio contro i tutsi?

No, nessuno di questi popoli è genocida, così come non lo sono i serbi.

Ecco perché Serge Brammertz, procuratore capo del Tribunale dell’Aja, subito dopo la lettura della sentenza a carico di Ratko Mladić aveva sottolineato che quella non era una condanna del popolo serbo.

D’altra parte però, esiste l’idea di una “colpa collettiva”. Un’idea che affonda le sue radici in tempi remoti ed è ancora diffusa nell’opinione pubblica, perché nessuno vuole provare un senso di colpa o responsabilità nazionale, l’unico sentimento nazionale accettabile è l’orgoglio (“Le persone non vogliono sentir parlare di colpa, di fatti del passato. Semplicemente, non vogliono più soffrire; vogliono uscire da questa miseria, vivere, senza però riflettere su quanto accaduto”, scrive Jaspers.)

Ma se proviamo un sentimento di orgoglio collettivo per i risultati sportivi di Novak Đoković o per le invenzioni di Nikola Tesla, non dovremmo forse provare anche una vergogna (e colpa) collettiva per crimini di guerra commessi da Ratko Mladić, Radovan Karadžić e Slobodan Milošević?

Sin dai tempi di Sofocle e dalla mitologia greca l’umanità si pone simili interrogativi.

La peste aveva colpito l’intera città di Tebe, tutti i suoi cittadini, a causa di un atto individuale – l’incesto del re Edipo. L’intero popolo ebraico si era trovato a dover portare il peso di una colpa collettiva, ossia di uno stigma per via dell’assassinio di Gesù di Nazareth.

Anche dopo l’Olocausto molti pensatori discutevano con ragionevolezza, chiedendosi se il popolo tedesco potesse essere ritenuto collettivamente responsabile dei crimini nazisti.

“Tutti noi, tedeschi, senza eccezione, abbiamo il dovere di affrontare con lucidità la questione della colpa e di trarne le conseguenze”, scrive l’“autosciovinista” Jaspers.

Il filosofo tedesco distingue quattro tipi di colpa.

In primo luogo, la colpa criminale nuda e cruda, ossia le azioni criminali che si possono provare oggettivamente, come quelle di cui si era occupato il tribunale di Norimberga (e quello dell’Aja).

La colpa politica consiste invece nelle azioni criminali di uno stato e della sua leadership, per cui anche i cittadini di quello stato – come animali politici e soggetti governati – sono costretti a subire le conseguenze perché “ciascuno porta una parte di responsabilità riguardo al modo in cui viene governato”.

La colpa morale riguarda le azioni che compiamo come individui a prescindere dal fatto che “siamo costretti a farlo” o che “semplicemente stiamo facendo il nostro lavoro”, come Eichmann. “I delitti – scrive Jaspers – rimangono delitti anche quando vengono ordinati”.

Infine, la colpa metafisica. Ogni individuo, come parte integrante dell’umanità, è responsabile di tutte le ingiustizie e i crimini che si verificano nel mondo se non fa tutto il possibile per impedirli. Allora la domanda è: siamo colpevoli?

“Il modo in cui rispondiamo a essa nella nostra più intima interiorità fonda la nostra coscienza presente dell’essere e di noi stessi. È una questione vitale per l’anima tedesca”.

Quindi, il concetto di colpa non è monolitico né semplice.

Ad esempio, la colpa criminale e morale grava su chi ha partecipato attivamente all’ideazione o all’esecuzione materiale di un crimine di guerra. Chi invece ha tollerato passivamente queste azioni è colpevole dal punto di vista politico e metafisico.

Per Jaspers, solo un’autoriflessione critica dei tedeschi poteva portare ad un’autentica rinascita culturale e politica della Germania dopo la Seconda guerra mondiale.

Allo stesso modo, la Serbia deve fare i conti con il proprio passato, con quel fardello dei crimini di guerra che non ci permette di rinascere e progredire effettivamente come stato e nazione. Anziché assumerci la responsabilità individuale e morale, scegliamo di essere collettivamente “colpevoli” agli occhi degli altri.

Santo cielo, perché?

Il giorno dopo l’annunciata votazione della risoluzione dell’Onu su Srebrenica [il voto, inizialmente previsto per il 2 maggio, è stato posticipato] ricorreva il primo anniversario della strage avvenuta nella scuola “Vladislav Ribnikar”.

Non dobbiamo necessariamente leggere Jaspers, sarebbe sufficiente leggere un testo straordinario sulla colpa e la responsabilità (Za sada bez dobrog odgovora [Ancora nessuna risposta adeguata]) scritto da Slobodan Negić, padre di Sofija Negić, una delle vittime della strage. Perché “la colpa metafisica” di Jaspers in realtà non è altro che responsabilità.

Seguendo le riflessioni di Jaspers, le prove e il buon senso, possiamo concludere che i serbi non sono un popolo genocida, anche se a Srebrenica è stato commesso un genocidio.

Pertanto, la nostra repubblica dovrebbe essere tra i primi paesi a sostenere, moralmente e politicamente, la risoluzione dell’Onu sul genocidio di Srebrenica. Se anche “noi” condannassimo i membri del nostro popolo che hanno commesso crimini, contribuiremmo a infrangere lo stigma verso il popolo serbo che persiste nell’opinione pubblica internazionale e nell’immaginario popolare. Allora sia la leadership che l’opposizione serba, come tutta l’umanità – a cui pur sempre apparteniamo? - , ricorderebbero quel famigerato 11 luglio.

Per Jaspers, accettare la responsabilità è una precondizione necessaria per la libertà e la democrazia.

“Essere consapevoli della propria responsabilità è il primo segnale di un risveglio della libertà politica. Questa libertà è autentica, quindi è qualcosa di più di mera richiesta imposta dall’esterno a persone non libere, solo nella misura in cui quella consapevolezza esiste e viene riconosciuta”.

In assenza di una libertà politica interna, l’uomo si sottomette e, al contempo, non prova alcun senso di colpa. “Sapere di essere responsabili è l’inizio di uno sconvolgimento interno che aspira alla libertà politica”.

Allora, abbiamo davvero letto Jaspers?

Non dobbiamo conoscere tutte le sue opere, basterebbe anche solo leggere La questione della colpa.


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