(da B92)

Sono venuti dall'intero paese ma anche da Bosnia, Croazia e Macedonia. Per rendere omaggio a colui che considerano ancora la loro guida. Sono convinti che sia stato ucciso e che sia morto innocente. Un reportage da Belgrado

18/03/2006 -  Francesco Martino Belgrado

(da B92)

"Sine (figliolo)! Basta con le bugie, ti prego, racconta la verità, dillo quante persone sono venute oggi, dillo in quanti eravamo a salutare il nostro presidente! Alla televisione minimizzano, dicono che siamo appena due-trecento, maledetti, ma tu la vedi la fila, vedi quanto è lunga, noi aspettiamo qui da più di due ore, e vedi quanto dovremo aspettare ancora!"

Mezzogiorno. E' un cielo grigio e pesante quello che sovrasta Belgrado nel secondo giorno di veglia funebre a Slobodan Milošević. La lunga fila di persone si dipana intorno al piccolo parco, coperto da larghe macchie di neve, che circonda il museo "25 maggio", dove da ieri alle 13.30 è stata esposta la salma dell'ex presidente serbo.

Il resto della città sembra quasi non accorgersi di quello che succede qui, alle porte del quartiere residenziale di Dedinje. In centro, la vita continua frenetica, nessun manifesto, nessun indizio che oggi sia un giorno diverso da tanti altri. Sembra quasi che una parte della società serba voglia seppellire anzitempo la salma di Milošević con l'indifferenza, prima che le sue spoglie siano definitivamente tumulate nel giardino della villa di famiglia a Pozarevac.

Per un'altra parte della società, invece, per alcuni giorni questo museo è diventato il vero centro del Paese, il posto dove poter piangere e ricordare. Ieri, all'ingresso dell'improvvisata camera ardente, ci sono stati momenti di tensione, che la folla ha scaricato minacciando alcune troupe giornalistiche. Oggi invece, nella fredda atmosfera ancora invernale che avvolge Belgrado, tutto si svolge nella più completa tranquillità.

Sono soprattutto anziani quelli che aspettano pazientemente, infagottati in cappotti pesanti e berretti di lana, di poter dare un'ultimo saluto al loro eroe, alla loro guida. Gli portano in dono garofani e rose rosse, in tanti mostrano orgogliosamente le sue foto e portano al petto gagliardetti listati di nero.

Vengono da Belgrado e da molte alter città della Serbia, e anche dell'ex Jugoslavia, dalla Bosnia, dalla Macedonia, alcuni dalla Croazia. Hanno viaggiato in gruppo, ma in tanti assicurano di essere partiti da soli, ore di autobus e di attesa pur di poter essere qui oggi.

Quando arriva Momir Bulatovic, ex Presidente del Montenegro, la folla ha un sussulto, applaude, qualcuno da lontano grida "ce l'hanno ammazzato, il nostro presidente!", ma poi tutto ritorna tranquillo come prima.

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"I veri serbi sono quelli che sono venuti qui ieri e oggi, e che vedete con le lacrime agli occhi" dice un uomo sulla sessantina, che chiede di restare anonimo, perché "questo paese è diventato molto pericoloso". "Chi comanda oggi", continua, visibilmente emozionato, "non è altro che una cricca di venduti ai governi dell'Occidente, non hanno niente a che fare con la democrazia. Hanno venduto la Serbia per un piatto di lenticchie, e solo col tempo tutti i serbi capiranno che cosa significava veramente Slobodan Milošević per questo Paese".

Pavle Simić invece non ha paura. Operaio in pensione, è venuto da Zemun per regalare le sue poesie a "chi ha difeso con onore la sua patria dall'imperialismo delle grandi potenze". Sulla morte di Milošević ha le idee chiare, come tutti qui, del resto. "L'hanno ammazzato nel modo più bestiale. Come non ha importanza, se con qualche veleno, oppure con le medicine sbagliate. Io credo che in realtà l'abbiano ammazzato con quattro lunghi anni di maltrattamenti disumani".

Quando, più tardi, nella colonna silenziosa si diffonde la voce che i risultati dell'autopsia non hanno rilevato nessun elemento che possa far pensare all'avvelenamento, si leva un mormorio persistente, e su molte faccie si dipinge una smorfia eloquente, sarcastica.

"L'uomo Milošević però", conclude Pavle, prima di rimettersi in fila "è morto da innocente, perché nessuno ne ha dimostrato le colpe. Ed è una vergogna per l'umanità che tutto questo sia stato permesso".

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L'astro politico di Milošević è nato in Kosovo, e i serbi del Kosovo non hanno dimenticato il "loro" presidente. "E' stato l'unico ad averci davvero difesi" mi dice Olga, fazzoletto intorno ai lunghi capelli grigi e lacrime agli occhi. "In Kosovo non si potrà vivere in pace con gli albanesi finché loro non decideranno di diventare davvero persone. Quello che sono oggi lo devono a noi, tutta la federazione li ha aiutati, e questo è il loro ringraziamento. Pristina dopo la seconda guerra mondiale era un villaggio, noi l'abbiamo trasformata in una città moderna, e poi siamo dovuti scappare. Adesso siamo rimasti anche senza il nostro presidente, che dio ci aiuti!".

Il tempo passa lentamente, inizia a cadere qualche sparuta goccia di pioggia, chi ce l'ha apre l'ombrello, in tanti si mettono un sacchetto di plastica in testa, come cappuccio. La fila però non accenna a diminuire, anzi inizia a comparire anche qualche ragazzo e ragazza in più. Uno di loro, trent'anni, capelli corti, ben piantato, esclama: "Voi giornalisti dovete dire a tutto il mondo che ci sono due Serbie. Noi siamo la Serbia numero uno, quella vera. Gli altri invece, quelli che non sono qui oggi, quelli sono la Serbia numero due" e fa un gesto sprezzante con la mano.

Davanti all'ingresso del museo, su un cumulo semicircolare di neve che circonda un massiccio blocco di cemento dove sono state poste due grandi foto di Milošević, continuano ad ammucchiarsi candele e mazzi di fiori. Rade, un anziano originario di Rijeka, in Croazia, si ferma a lungo davanti a questo altare improvvisato, la cui sacralità è disturbata dal ronzio dei generatori delle numerose troupe televisive presenti sul posto.

"Quante bugie sono state dette sulla Serbia e su quest'uomo" dice dopo aver acceso un apiccola candela gialla, "tutto il mondo è stato ingannato. Ne' il popolo ne' Milošević sono colpevoli, gli americani lo sanno bene. Hanno fatto loro stessi un film che mostra la verità e tutte le loro colpe, ma si sono guardati bene dal mostrarlo al mondo. Perchè se lo avessero fatto vedere oggi sarebbero loro sul banco degli imputati a l'Aja, e non Milošević, che é morto innocente".

"Adesso," mi dice mentre scende la sera su Belgrado, "dovremo abituarci a vivere senza di lui, la vita va avanti. Ma oggi è un giorno triste, e noi non lo dimenticheremo mai".


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