I radicali serbi si spaccano sull'Accordo di Stabilizzazione e Associazione. Nikolić, leader dall'arresto di Šešelj, battuto dalla corrente più oltranzista, lascia e medita la creazione di un nuovo partito. Esplode così una crisi covata da mesi sotto la cenere
“Il Partito radicale serbo non esiste più”, ha affermato Tomislav Nikolić, l'uomo che ha guidato il partito da quando Vojislav Šešelj si trova all'Aja. “Cala il sipario su un partito. Forse si alzeranno i sipari per due partiti o per uno nuovo. Ma quello che era il Partito Radicale Serbo [SRS, ndt] non esiste più”, ha dichiarato in parlamento lo scorso lunedì 8 settembre un Tomislav Nikolić evidentemente stanco e deluso.
Nikolić ha fondato un nuovo gruppo di deputati, “Avanti Serbia”, che conta 11 membri. Ha affermato di non aver chiamato nessuno, né di aver pianificato di fondare un gruppo, ma che gli è stato richiesto da coloro che “non possono essere in un gruppo di deputati che per imposizione è capitanato da Dragan Todorović e Vjerica Radeta”.
Gli ultimi avvenimenti all'interno del SRS hanno determinato l'inizio di uno scontro aperto per la supremazia e il primo scisma dalla formazione di questo partito. I radicali hanno sempre rappresentato un partito eccezionalmente omogeneo e unitario, che a partire dalla sua fondazione, nel 1991, niente ha potuto far vacillare, nemmeno una decisiva sconfitta elettorale o la dipartita del suo leader Šešelj per l'Aja.
Lo scisma dei radicali non ha molto sorpreso. Il primo passo fu fatto dall'ex sindaco di Novi Sad Maja Gojković, che rifiutò l’obbedienza a Šešelj, tracciando per prima la linea verso la trasformazione del partito. Al tempo la Gojković rimase in minoranza, anche se nelle sfere più vicine al partito si è vociferato che Nikolić fosse contrario alla sua esclusione, ma che non abbia potuto opporsi agli ordini di Šešelj, per il quale ogni “deradicalizzazione” dei radicali era inaccettabile.
Il secondo motivo di tensione fu la decisione di togliere i distintivi con l’immagine di Vojislav Šešelj nella campagna per le elezioni presidenziali, quando il candidato dei radicali era proprio Tomislav Nikolić. Guidato dai consigli del marketing, ma anche dal suo pragmatismo, Nikolić decise che fosse giunto il momento che i radicali si presentassero sotto una nuova luce e che prendessero le distanze dalla politica di Vojislav Šešelj. Importante qui ricordare che Nikolić alle elezioni presidenziali ha ottenuto 100mila voti in meno dell’attuale presidente in carica Boris Tadić, registrando decisamente il miglior risultato nella storia del Partito radicale serbo.
Dopo le elezioni presidenziali, i radicali hanno rimesso in fretta in circolo i distintivi con la faccia di Šešelj. L’unità, tuttavia, era solo apparente. Le differenze sono di nuovo tornate sotto gli occhi dell’opinione pubblica dopo le elezioni parlamentari, quando si è venuti a sapere che Šešelj dall’Aja proponeva un'alleanza dei radicali e del "blocco popolare" (Partito Democratico serbo - Nuova Serbia) con Vojislav Koštunica candidato premier.
Nikolić si è rifiutato di accettare questa soluzione, sostenendo che è la debolezza di indicare un candidato premier durante i negoziati politici per la formazione di una coalizione, e che il partito radicale avrebbe comunque dovuto ottenere il posto di premier. In base a quanto riportato dai media, Nikolić avrebbe allora chiesto a Šešelj di poter guidare il partito secondo le sue regole, ma la risposta è stata negativa. A quanto si dice, già allora Nikolić aveva presentato le dimissioni, ma Šešelj lo aveva pregato di rimanere al posto di sostituto presidente del partito, e di condurre la campagna elettorale e le trattative post-elettorali fino a quando i problemi non fossero stati risolti.
Che tra i due si sarebbe rotta la collaborazione era già chiaro durante l’estate. Si è parlato molto delle due correnti interne al partito – quella di Nikolić, la cosiddetta riformatrice, e quella di Šešelj, il nocciolo duro.
Nikolić ha detto chiaramente di non aver più contatti diretti con Šešelj, e che la comunicazione con quest’ultimo è in mano a Dragan Todorović, Mirčrtić e Vjerica Radeta.
L’unità interna al partito su due gambe vacillanti alla fine è crollata su ciò che sembrava la cosa più improbabile. La spaccatura finale dei radicali è avvenuta a causa dell’Accordo di Stabilizzazione e Associazione (ASA) . Quando a inizio settembre il parlamento serbo ha finalmente cominciato a riunirsi, nel corso della prima seduta sono volati insulti e maledizioni da parte dei deputati del Partito radicale serbo. Quelli con un udito più fine avranno capito che Nataša Jovanović, Vjerica Radeta e Gordana Pop Lazić, a capo del SRS non inveivano contro Boris Tadić, bensì contro Tomislav Nikolić. In primo luogo, infatti, maledivano tutti coloro che mostravano di voler collaborare con il "traditore degli interessi serbi" Tadić.
Quello che allora molti non sapevano, è che il partito democratico, ovvero Tadić, si era accordato con Nikolić, come capo del gruppo di deputati dei radicali, perché questi ultimi sostenessero l'approvazione del ASA, su proposta del partito liberal democratico.[L'accordo è stato ratificato dal parlamento serbo il 9 settembre, ndt.]
E' stato comunicato in fretta che i radicali avevano presentato un emendamento, e che questo era stato accolto, e Nikolić ha poi dichiarato che i radicali voteranno a favore dell'accordo. La notizia è stata confermata da Dragan Todorović, che ha detto che il tutto era stato approvato anche da Šešelj. Con l’emendamento del SRS è previsto che la proposta di legge sulla firma del patto contenga la clausola che il Kosovo è parte integrante della Serbia.
Ma qualche ora dopo si arriva al capovolgimento. Come ha riportato "Novosti", Šešelj dall’Aja ha dato ordine ai radicali di non sostenere in nessun modo l'accordo, e il cambiamento di posizione è stato reso noto ai giornalisti da Todorović, dopo aver detto che i media avevano capito male, e che i radicali non erano nemmeno intenzionati a sostenere l'ASA.
Lo stesso giorno, venerdì 5 settembre, Tomislav Nikolić ha dato le dimissioni come capo del gruppo dei radicali e pure dalla sua funzione di sostituto presidente del SRS. Nikolić ha dichiarato a B92 che ha presentato le dimissioni in quanto gli è stato intimato che i deputati radicali non votino a favore dell'ASA. “E’ vero, mi sono dimesso perché ho agito secondo principio – la morale e il rispetto della parola data”. Nikolić ha affermato che all’interno degli organi del partito era stato deciso di accettare l'accordo se il consiglio avesse accolto l’emendamento proposto dai radicali, dopo aver aggiunto di “aver dato la sua parola che i radicali avrebbero votato per l'ASA”.
Lo scisma definitivo è iniziato lunedì 8 settembre alla riunione del gruppo dei deputati – dei cui sviluppi si è venuto a sapere per vie informali. Sono volate parole dure ed aspri messaggi, è stato scelto il nuovo leader, Dragan Todorović, con cui la cosiddetta corrente forte ha definitivamente prevalso.
Todorović è stato eletto con un solo voto contrario, e la sua sostituta sarà Vjerica Radeta, che ha ottenuto i voti di tutti i deputati radicali. Non ha invece partecipato alla riunione il segretario generale dei radicali Aleksandar Vučić perché, come dicono al partito, non è deputato. Vučić non si è ancora iscritto, ma non si sa se si unirà a Nikolić o se resterà fedele a Šešelj.
Con la formazione del nuovo gruppo di deputati “Avanti Serbia” Nikolić ha dato uno schiaffo ai colleghi di partito. Rivolgendosi ai giornalisti, Nikolić ha detto che “non può essere tutto risolto all’Aja” e che si impegna a convocare un congresso di partito straordinario. Nikolić ha affermato che né lui né i deputati che hanno deciso di sostenerlo lasceranno il partito, ma si aspetta che il partito si decida per questo passo.
Ancor più drammatico è stato Božidar Delić, in piedi accanto a Nikolić. Con la voce rotta, sospirando, quasi in lacrime, ha dichiarato che avrebbe dato tutto per Šešelj, perfino la vita, ma se messo di fronte alla scelta tra Šešelj e la Serbia, avrebbe sempre scelto la Serbia.
Dopo la formazione del nuovo gruppo, Dragan Todorović ha dichiarato che il partito ha informato Šešelj sugli sviluppi, e che questi non è rimasto sorpreso. Todorović ha aggiunto che i deputati che hanno composto il nuovo gruppo non sono più membri del Partito radicale serbo e che sarà richiesta la loro espulsione dal partito. “Ciò non ci fermerà, ci darà nuova forza e voglia di perseverare nella lotta e in aiuto di Vojislav Šešelj”, ha riferito Todorović ai giornalisti.
Interessante aggiungere che Nikolić ha “perso” le dimissioni in bianco firmate dai deputati, e non si sa dove siano. “Nessuno potrà togliere il mandato ad alcun radicale, perch Todorović non le ha, e io ho perso quelle che avevo e proprio non so dove siano, bisognerà trovarne di nuove”, riporta il quotidiano "Politika".
La maggioranza del partito evita di commentare gli avvenimenti interni al SRS e sottolinea che si tratta di una questione interna alla formazione politica. Nemmeno gli analisti sono disposti a grandi analisi. Il sociologo Vladimir Vuletić afferma su "Politika" che quanto avviene nel SRS “non è una disfatta, ma una grande debacle per la destra”. Vuletić aggiunge che nella destra serba è venuta a mancare l'idea su come guidare il paese; “la solida corrente nazionalista propone idee che non hanno punti d'appoggio nella realtà”.
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