110 anni fa moriva Laza Kostić, poeta, drammaturgo, traduttore, erudito. Il suo geniale poema “Santa Maria della Salute” è inestricabilmente legato al destino di Lenka Dunđerski. Un omaggio a una delle più belle poesie d’amore della letteratura serba
Quattro anni fa nel villaggio di Kulpin, nei pressi di Bački Petrovac, in Vojvodina, sono stati inaugurati due busti raffiguranti il poeta Laza Kostić (Kovilj, 1841 – Vienna, 1910) e Lenka Dunđerski (Srbobran, 1870 – Vienna, 1895), opera dello scultore Igor Šteter. Così il vasto parco del castello dei Dunđerski, un tempo la famiglia più ricca della Bačka, è diventato il luogo della memoria dell’incontro tra Lenka e Laza. Suppongo che per Šteter la parte difficile non fosse tanto realizzare due busti in bronzo quanto piuttosto decidere dove collocarli all’interno del parco. Il risultato: lo sguardo di Lenka, duro e interrogativo, è rivolto verso il poeta che sembra guardare oltre il volto della sua musa e oltre questo mondo. Oppure è solo un’impressione dell’osservatore?
Il dolce frutto della specie tantalica
Jelena, affettuosamente chiamata Lenka, era la figlia di Lazar Dunđerski, un ricco proprietario terriero e filantropo serbo. (Filantropo? Un termine che in Serbia, e nell’intera Regione, ormai suona arcaico ed è sconosciuto ai più. Tra i numerosi doni che Dunđerski lasciò al popolo serbo vi è anche l’edificio che oggi ospita il Teatro Nazionale di Novi Sad.)
Laza Kostić incontrò Lenka per la prima volta nell’estate del 1891 nella casa dei Dunđerski a Čeb (l’odierna Čelarevo). Il poeta si era lasciato alle spalle un periodo turbolento della sua carriera da politico, diplomatico, giurista e giornalista: era appena tornato da Cetinje, dove fu consigliere alla corte dei Petrović. Era già noto come drammaturgo, poeta, poliglotta, autore di alcuni studi di estetica, ma anche come il primo traduttore di Shakespeare in serbo.
Il poeta era rimasto incantato non solo dalla bellezza di Lenka, ma anche dalla sua cultura, il suo interesse per l’arte, la sua conoscenza delle lingue (tedesco, francese, ungherese). Prima di incontrare Laza, Lenka aveva rifiutato diverse proposte di matrimonio, e poi non voleva nemmeno sentirne parlare. Sua madre Sofija e suo fratello Gedeon brontolavano, sostenendo che il vecchio, povero poeta stesse cacciando via i corteggiatori di Lenka. Ma il padre di Lenka, Lazar, che nutriva un’enorme stima nei confronti del poeta, suo amico e padrino, aiutandolo anche economicamente, aveva assunto un atteggiamento più diplomatico. Che Lenka non fosse indifferente nei confronti di Laza, trent’anni più vecchio di lei, lo testimonia anche il suo Diario, i cui frammenti sono stati pubblicati 120 anni dopo la sua morte.
Il cuore del signor Laza è libero? So che ha rotto un fidanzamento. Quando gli ho chiesto di scrivere un messaggio nell’album dei ricordi, mi ha detto che una sola sera non sarebbe bastata per comporre versi degni di me.
Lo so, i miei capelli biondi e gli occhi azzurri, e i miei fianchi, non lasciavano indifferenti nemmeno i ragazzi a Vienna. Tuttavia, io non ci prestavo attenzione, aspettando il momento in cui avrei sentito che me lo diceva quello giusto. Poi mi sono svegliata di colpo. Forse quello giusto è arrivato?
Il sig. Laza mi ha scritto. Come sono felice tutto il giorno. Dice: la distanza schiarisce il cuore e la mente, io La amo più che mai, ma non devo amarLa. È rimasta impressa nel mio sguardo, nel mio cuore, nel mio cervello, e io sto cercando di cacciarLa via da lì. Ed è per questo che sono fuggito da Lei.
I giorni passano incredibilmente veloci in compagnia del signor Laza. Solo in lui vedo cos’è la vita. Con lui non ci si annoia mai!
Che cosa ostacola il sentimento che c’è tra noi? Il fatto che lui sia povero? Per me questo non ha alcuna importanza. Mi getto ai suoi piedi. Non sarebbe felice di avermi come moglie? Forse è intimorito da qualcosa? Dalla mia ricchezza? Non mi importa nulla di tutto ciò. Solo lui.
Lenka e Laza parlavano in francese, il poeta si entusiasmava ascoltandola suonare il pianoforte nel castello dei Dunđerski… Tuttavia, la musica ripetitiva della vita e il linguaggio di una quotidianità rigida erano un’altra cosa.
Una storia d’amore trasformata in tragedia
Al poeta risultava sempre più difficile accettare l’amore di Lenka. Si ritirava spesso in solitudine nel monastero di Krušedol. Aveva persino cercato di trovare un marito per Lenka. Scriveva al suo amico Nikola Tesla, a New York: “La ragazza che ho trovato per Lei è in grado di sconfiggere ogni misogino. Io credo che riuscirebbe a resuscitare anche un morto, non solo un Don Giovanni morto, ma anche un santo morto…”. Lo scienziato gli rispose in modo chiaro: “Una candela non può bruciare da entrambi i lati”. Tesla era sposato ormai da tempo; sua moglie si chiamava Scienza.
Il padre di Lenka consigliò al poeta di sposare Julija Palanački, una ragazza di Sombor con una ricca dote. Nella lotta tra la mente e il cuore del poeta prevalse la ragione. Così Laza sposò Julija e nel 1895 andarono in viaggio di nozze a Venezia, dove visitarono la Basilica di Santa Maria della Salute. Lenka, “il dolce frutto della specie tantalica”, taceva nascondendo i suoi sentimenti. Quello stesso anno, due mesi dopo il matrimonio di Laza, Lenka morì improvvisamente a Vienna. La sua morte, che secondo i medici sarebbe stata causata dalla febbre tifoide, rimase avvolta nel mistero. Fu stroncata dal dolore dell’anima? Si suicidò? Prima del matrimonio di Laza, Lenka scrisse nel suo diario segreto: “Tutto è finito. Lui si è sposato! Poteva essere ancora più crudele? E ha chiesto a mio padre di essere il suo testimone di nozze! Un delitto perfetto, senza tracce. Ma perché? Cosa ho fatto di male? Perché si è sposato per la ricchezza e solo per quello? Sento dire che non è né bella né giovane, ha solo una ricca dote. È a questo che si è ridotto il mio grande poeta e i suoi e i miei ideali? La mia felicità è svanita. A cosa serve ora la vita?”.
Inquietudini, sofferenze, Diario dei sogni
Kostić pubblicò il poema “Santa Maria della Salute” all’interno della sua ultima raccolta di poesie, uscita nel 1909, un anno prima della sua morte, avvenuta a Vienna, nella stessa città dove Lenka vide per l’ultima volte la luce del giorno. Nel 1910 morì anche la moglie di Laza, Julija, che il poeta considerava un essere mortale, a differenza di Lenka, che per lui era immortale. Il libro passò inosservato, come anche il poema che prende il nome dalla celebre chiesa veneziana. Come mai nessuno osò scrivere su Kostić, che si distingueva notevolmente dagli scrittori del suo tempo? Tanto che con quel poema preannunciò la letteratura serba del XX secolo in cui si concretizzeranno le parole dello scrittore ceco Jiří Karásek, che nel 1911 scrisse che il tempo di Laza Kostić doveva ancora arrivare.
Vent’anni dopo la morte di Laza Kostić, il suo medico, Radivoj Simonović, in un articolo intitolato “Uspomene na dr Lazu Kostića” [Ricordi del dott. Laza Kostić], rivelò che a ispirare il poeta a scrivere “Santa Maria della Salute” furono i suoi sogni. Fino ad allora nessuno era a conoscenza del Diario dei sogni di Kostić. “Tutto quanto detto in quella poesia – scrive Simonović – gli è apparso di notte, in sogno. Al risveglio lo ha annotato in francese, perlopiù su pezzi di carta […] Descrive cosa ha visto in sogno e di cosa ha parlato con il fantasma, e poi alla fine scrive: a quel punto mi sveglio…”.
Quel fantasma era Lenka.
Ad oggi ci sono pervenuti 32 sogni di Laza, tutti riportati nel secondo volume del suo Diario, iniziato nel 1903. Il diligente medico Simonović, prima di morire, dichiarò che voleva proteggere il poeta. “Ho distrutto tutte quelle fantasmagorie, per evitare che qualcuno ne scrivesse un commento polemico”. Tuttavia, Simonović aveva salvato alcuni frammenti del manoscritto, lasciandoli a Milan Kašanin e Mladen Leskovac. Kašanin aveva tradotto dal francese 30 sogni di Laza Kostić, pubblicandoli nel 1955, e cinque anni dopo Leskovac aveva tradotto altri due sogni di Kostić. Così è nato il libro che raccoglie i frammenti del Diario dei sogni.
Perché Simonović aveva distrutto il manoscritto? Probabilmente a causa del suo contenuto erotico. Per illustrare questa ipotesi, vi propongo due frammenti tratti dal Diario.
Splendente di giovinezza e bellezza, ancora più bionda di quanto non lo fossi, quasi trasparente, mi guardavi con quello sguardo pieno di desiderio, promesse e dedizione, quello sguardo che incoraggia, invita, quasi provoca, sguardo con cui su questo mondo mi hai guardato solo una volta, in un momento che resta nei ricordi per tutta l’eternità, quando mi guardavi pensando che io non Ti vedessi. Ah, quello sguardo immortale! Quella fonte inesauribile di desideri, condannati dal destino a rimanere insoddisfatti su questo mondo!
Ora capisci perché mi sono sposato? Volevo aggiungere: per un amore troppo grande, perché ti liberassi di me, per poter scegliere un uomo più giovane, più capace di regalarti gioie terrene.
Santa Maria della Salute
Nel 1879 Kostić scrive una poesia patriottica intitolata “Dužde se ženi” [Il Doge si sposa], in cui rimpiange i pini dei nostri monti (della Dalmazia) che per secoli finivano nelle fondamenta degli edifici veneziani. Kostić apre il poema “Santa Maria della Salute” pentendosi dell’atteggiamento assunto in quella poesia patriottica e così esprime definitivamente, seppur implicitamente, il proprio credo: le cose terrene acquisiscono un’importanza solo se sublimate nell’eterna bellezza.
Nel poema domina l’apostrofe, figura retorica con cui il poeta si rivolge alla Madonna, a una visione astrale di Lenka e a se stesso. Ma vi domina anche il linguaggio, e non c’è grande poesia senza linguaggio né senza una grande sofferenza.
Quando la lingua gli sembrava povera, Kostić inventava nuove parole, alcune delle quali sono incredibilmente belle. Per me la più bella delle parole inventate da Kostić è beznjenica [termine che probabilmente significa “vita senza di lei”]. Anche di questo discutevamo vivacemente durante le lezioni del brillante professor Božidar Boro Pejović (1939-1979), molto tempo fa, alla Facoltà di Filosofia di Sarajevo.
Lascio i lettori italiani godere del poema “Santa Maria della Salute” nella traduzione italiana di Vjera Bakotić-Mijušković, che mi è stata gentilmente concessa da Mirko Mrkić, direttore della casa editrice belgradese Interpress, che nel 2003 aveva pubblicato questo poema in diverse lingue, tra cui anche l’esperanto. Per quanto io ne sappia, questa è l’unica traduzione italiana del celebre poema di Kostić. Le traduzioni in altre lingue sono disponibili a questo indirizzo .
Una cosa noiosa, per concludere
Se fosse stato scritto da un poeta inglese, francese, tedesco o russo, questo poema avrebbe trovato posto in tutte le antologie di poesia internazionale. Le ottave di Kostić starebbero accanto a, ad esempio, “Ode al vento dell’Ovest” di Shelley, “Il corvo” di Poe e “Lamento per Belgrado” di Crnjanski. Tuttavia, Kostić appartiene a una delle culture periferiche d’Europa.
Recentemente un mio amico, anch’egli proveniente dall’ex Jugoslavia, mi ha rimproverato – a dire il vero senza usare toni troppo accesi – dicendo che le critiche che esprimo nei miei testi pubblicati da OBCT sono diventate luoghi comuni, e come tali, ovviamente, sono noiose. Ad ogni modo, rischiando di essere noioso, approfitto anche di questa occasione per ribadire la necessità di ripensare il modello di eurocentrismo culturale, secondo cui le periferie d’Europa vengono percepite come locali accessori destinati alla servitù.
Ora una cosa meno noiosa. Nel 2016 il regista serbo Zdravko Šotra ha realizzato un film e una serie televisiva ispirati alla storia d’amore tra Laza Kostić e Lenka Dunđerski. Lo scrittore Nenad Veličković ne ha scritto una recensione brillante e molto divertente. Laza e Lenka meritano un omaggio più convincente delle summenzionate opere televisive che assecondano i gusti della massa, un omaggio che dovrebbe essere realizzato da qualcuno che conosce la biografia e le poesie di Kostić molto meglio di Zdravko Šotra.
Chissà, forse qualche editore italiano potrebbe trovare utile l’informazione che Pero Zubac, autore del poema “Mostarske kiše” [Le piogge di Mostar], ha scritto una biografia di Lenka Dunđerski, da cui nel 2014 è stato tratto un film che mescola documentario e finzione, intitolato “Doba Dunđerskih” [L’epoca dei Dunđerski].
SANTA MARIA DELLA SALUTE
Perdona, madre santa, perdonami
d'aver compianto dei miei monti il pino,
sul quale, a dispetto d'ogni malizia,
a te s'innalza il castel divino;
disdegna, celeste, fonte di grazia,
ciò che l'uom peccò verso te infino:
bacio il lembo delle tue vesti compiute,
Santa Maria della salute.
Non è meglio questa bellezza portar,
delle tue volte colonna divenir,
che dei peccati la bassezza scaldar,
cuor e cranio bruciare e incenerir;
che in fosso marcir o su nave affondar
ai diavoli la quercia o l'abete offrir?
Meglio è secoli di vite in te vissute,
Santa Maria della salute.
Perdona, madre, molto ho sofferto,
molti miei peccati io ho scontato;
ciò che il giovin cuor in sogno ha offerto,
la veglia mi distrusse ad un tratto;
quel che di speranze avevo coperto,
è già da lungo in polvere disfatto,
con vivo piacer delle malizie astute,
Santa Maria della salute.
Ero avvelenato perfidamente,
comunque non voglio nessun maledir
per i dolor che soffrii sovente,
che a nessuno la gente possa disdir;
ciò che soffocò il volo di repente
che mi spezzò l'ala e mi fece patir,
son cose in questa folle testa credute
Santa Maria della salute.
Allor la mia fata innanzi a me spuntò,
più bella l'occhio non vide ancora;
dalle tenebre divina a me albeggiò,
inno di gloria al sorger dell'aurora,
tutte le ferite presto mi sanò,
ma più grave piaga mi duole ora:
come sopportar delizie e doglie acute,
Santa Maria della salute.
Lei mi guardò, in anima cosciente
mai non dardeggiò un simile sguardo;
ciò che da quell'occhio brillò rovente
scioglierebbe il ghiaccio in alto con dardo;
m'offrì quello che sognavo sovente:
duol, delizie, bile e miel maliardo.
Tutto per te, l'anima eternamente,
per te; attimo divin, le brame avute;
Santa Maria della salute.
Tutte queste bellezze a me meschin?
per me tanti tesor, a me tutto ciò?
per me, vecchio, della mia vita al fin,
questo frutto d'oro che or maturó
O frutto d'oro a Tantalo affin,
perché precoce prima non mi sbocciò?
Perdonami le ore in fallo vissute,
Santa Maria della salute.
Due forze in me lottavan lungamente,
cervello e cuor, la mente ed il diletto;
più volte si azzuffarono violente,
quasi bufera e vecchia quercia in petto;
Alfin le forze indebolir lente,
il cervello sostenne il poter netto,
causa e ostacol all'idee sperdute,
Santa Maria della salute.
La mente vinse. Il cuor strinsi tanto
savio, la fortuna lasciai dolente,
fuggii da lei – lei morì d'incanto.
Il sole s'offuscò, freddo potente,
spente le stelle il ciel scoppiò in pianto:
Fine del mondo, giudizio della gente,
giudizio universal, anime cadute,
Santa Maria della salute.
Col cuore rotto, confusa la testa,
il suo ricordo è tempio santo per me.
Quand'ella dall' aldilà spuntò lesta,
come se Dio stesso s'affacciasse a me.
Nell'alma del dolor gelo non resta,
per lei or vedo, lei mi svela perché
talor si annebbiano le teste argute
Santa Maria della salute!
Viene nel sonno. Non quando la chiama
dei miei desiri lo sciame rovente,
lei mi viene quando il venir brama,
arcana forza è a lei serviente.
Appare sempre in nuova forza e trama:
gioie terrestri dal cielo lucente,
così fino a sé stende stuoie tessute,
Santa Maria della salute.
In tutto siam come marito e moglie,
solo non nelle cure e nel lavor,
sono tutte gioie senza ardente voglie,
la passion è vicina del ciel al frescor.
Ell'è più anziana di me, ciò non toglie
che io sia più giovane di lei ancor
là, dove le differenze son taciute,
Santa Maria della salute.
La nostra prole è poesia santa,
dei nostri incontri perenne traccia,
questo non si scrive, ciò non si canta,
con l'alma si perfora l'aria ghiaccia;
la capiamo noi due, ci incanta,
nel ciel è un nuovo neonato in traccia:
Cose dai profeti in estasi vedute
Santa Maria della salute.
E quando la testa mi vuole scoppiar
per della mia vita la morbosa fin,
il più bel sogno veglia può diventare:
il mio rantolo e il suo: "Prendimi alfin!"
Dal nulla la festa si può festeggiar,
dall'assenza di lei in paradiso andar,
in paradiso in paradiso infin,
in paradiso, nel suo amplesso, entrar!!
Qui tutti i desiri si sveglieranno,
le corde dell'anima si rioffriranno
le sfere del mondo incanteremo,
gli dei, pur gli uomini si stupiranno,
alle stelle il cammino svieremo,
soli sui freddi campi verseremo,
che in ogni canto le aurore rossegin,
che di gioia l'anime impazziscan tutte,
Santa Maria della salute.
(Traduzione di Vjera Bakotić-Mijušković dal libro Santa Maria della Salute, Interpress, Beograd 2003)
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