Le autorità di Belgrado hanno vietato il festival “Mirëdita, dobar dan”, che da anni riunisce artisti e attivisti per i diritti umani provenienti da Kosovo e Serbia: un ulteriore segno dello scivolamento verso un clima sempre più segnato da intolleranza e disprezzo
Dal 27 al 29 giugno doveva svolgersi a Belgrado l’undicesimo festival “Mirëdita, dobar dan”, organizzato da alcune organizzazioni della società civile belgradese e kosovara, ma le autorità di Belgrado hanno deciso di proibire la manifestazione dopo che la stessa era stata ripetutamente criticata dalle autorità serbe.
Il “ne” di Belgrado è arrivato nella settimana in cui l’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri della EU, Josep Borrell, ha tentato un ultimo disperato tentativo di rivitalizzare il dialogo tra Serbia e Kosovo sulla normalizzazione delle relazioni tra Pristina e Belgrado.
Il difficile processo sembra esser giunto ad un punto morto, dopo che l’incontro previsto per mercoledì 26 tra il presidente serbo Vučić e il primo ministro kosovaro Kurti, è fallito per il rifiuto di Kurti a partecipare alla riunione, visto che a suo dire la Serbia non ha soddisfatto le condizioni poste dal Kosovo.
Se dal punto di vista istituzionale non vi sono progressi, anche sulla società civile le autorità di Belgrado hanno fatto chiaramente intendere che le posizioni tra Serbia e Kosovo si fanno ancora più distanti.
Con il divieto alla manifestazione, le autorità serbe infatti sono riuscite a frustrare i tentativi di quei pochi membri della società civile che cercano di mantenere e promuovere rapporti con la società civile in Kosovo.
Il festival negli anni scorsi
Il festival “Mirëdita, dobar dan” si svolge dal 2014, e la sua creazione è stata ispirata dall’indimenticato attore kosovaro albanese, Bekim Fehmiu, divenuto famoso in Italia per aver interpretato il ruolo di Ulisse nello sceneggiato Odissea.
Il festival, che vuole offrire uno spazio alla cultura e al dibattito, unendo artisti e attivisti per i diritti umani, è divenuto un evento ricorrente a Belgrado e in più di un’occasione è stato organizzato con il benestare, se non il supporto delle autorità serbe.
La prima apertura è avvenuta in grande stile nel 2014 nella sala della Filarmonica di Belgrado, l’anno successivo nel 2015 fu l’allora ministro della Cultura serbo Tasovac ad aprire il festival e nel 2016 il festival, sostenuto dai ministeri della Cultura serbo e da quello kosovaro, ed era stato inaugurato leggendo una lettera scritta da l’allora primo ministro serbo Vučić e il suo corrispettivo in Albania, Edi Rama.
I due premier avevano sottolineato l’importanza di allacciare rapporti tra i due popoli e costruire prospettive per il futuro. Pian piano però le istituzioni si sono progressivamente ritirate dal festival, il quale si è dovuto trasferire in spazi privati anziché pubblici.
Tuonano i politici
Quest’anno, man mano che si avvicinava la data del festival, la situazione è divenuta sempre più tesa per gli organizzatori. Uno ad uno, i leader della coalizione di governo ed altri esponenti politici di spicco hanno fatto a turno per criticare apertamente la manifestazione.
Ha iniziato il sindaco di Belgrado , Aleksandar Šapić rieletto di recente, comunicando a metà giugno che fino a quando ci sarà lui, la città non darà alcun tipo di approvazione a tale manifestazione e aveva invitato il governo a pensare bene se fosse il caso di permettere tali manifestazioni in Serbia.
Gli organizzatori del festival hanno ribadito che il festival non dava fastidio a nessuno e che comunque i commenti di Šapić non avrebbero influito sull’organizzazione, dato che già da anni il festival si teneva in spazi privati, quindi la città non era coinvolta.
Le dichiarazioni del sindaco sono state riprese dai vertici del governo serbo. Aleksandar Vulin , vice presidente del Consiglio dei Ministri ha fatto intendere che “nel caso lo stato non reagisca, vi sarà la possibilità che gli stessi cittadini dicano quello che pensano di tale sconcezza”.
Vulin ha dichiarato che se lui fosse a capo dei servizi segreti o del ministero dell’Interno, a nessuno dei partecipanti al festival sarebbe permesso di venire dal Kosovo ad “insultare la Serbia a Belgrado”. L’ironia di tale dichiarazione è che in passato il festival si è tenuto proprio quando Vulin era ministro degli Interni.
Sentitosi tirato in causa Ivica Dačić, attuale ministro degli Interni, ha fatto notare che una delle date previste dell’evento era proprio il giorno di San Vito, il 28 giugno, quando si ricorda la battaglia per il Kosovo del 1389. Per tale motivo l’evento presentava un potenziale fattore di rischio, dato che poteva esser percepito come una provocazione e si suggeriva quindi di rimandare il tutto .
Gli organizzatori hanno preso in considerazione le parole del ministro degli Interni e per evitare possibili problemi, hanno modificato il programma in modo da non aver nessun evento il 28 giugno.
Il divieto formale
Le precauzioni prese dagli organizzatori però non sono bastate. Il 27 giugno, poche ore prima prima del festival, dei gruppi appartenenti alla tifoseria della Stella Rossa, assieme ad altre formazioni di estrema destra e all’organizzazione giovanile del partito politico Nova DSS (Nuovo Partito Democratico della Serbia) si sono radunati fuori dall’area del festival, bloccando la strada, scandendo slogan, sventolando bandiere serbe e brandendo immagini sacre.
Man mano che il tempo passava la folla si è ingrossata, fino a raggiungere circa 200 partecipanti. Mentre alcuni partecipanti si trovavano già all’interno dell’area del festival, gli hooligan hanno addirittura posto un lucchetto su un cancello esterno, di fatto intrappolando i partecipanti all’interno. Tra i leader degli hooligan sono state notate persone vicine all’establishment politico, in quella zona indefinita di contatti tra potere politico e “sottobosco” belgradese .
A questo punto è giunto il divieto formale da parte del ministero degli Interni, motivato dalla necessità di garantire la sicurezza e proteggere le persone e le proprietà. Le forze dell’ordine anziché allontanare gli hooligan e proteggere il diritto dei partecipanti a riunirsi pacificamente, hanno imposto agli organizzatori la cancellazione del festival e ordinato a tutti coloro che erano arrivati da Pristina di farvi ritorno immediatamente.
La decisione di vietare il festival è stata accompagnata dai festeggiamenti dei gruppi di hooligan che hanno lanciato petardi e acceso torce prima di disperdersi.
L’ordine di cancellare il festival è stato accompagnato dalle dure parole del primo ministro Vučićević che ha detto che lo stato serbo ha il diritto e l’obbligo di cancellare il festival e che lui non vedeva il senso di tale manifestazione e che nei confronti degli organizzatori provava solamente disprezzo.
In tutto questo susseguirsi di dichiarazioni da parte dell’establishment politico, il presidente Vučić è stato l’unico a non farsi sentire.
Un copione già visto
Come fatto notare da una delle organizzatrici del Festival, Sofija Todorović, “è chiaro che lo stato ha creato un'atmosfera ostile e di intolleranza nei confronti del festival, che è poi culminata con il divieto ufficiale”.
La presenza della polizia, secondo quanto riportato da Todorović, era del tutto insufficiente a proteggere la manifestazione, e nonostante le promesse fatte agli organizzatori, i rinforzi non sono mai arrivati. Per inciso, agli organizzatori del festival il giorno dopo è stato recapitato un pacco maleodorante contente all’interno mezza testa di maiale .
La vicenda di “Mirëdita, dobar dan” ricalca un copione già visto tante volte, dove i leader politici lanciano messaggi incendiari, che vengono immediatamente raccolti dalle frange più estreme della società serba.
In questi frangenti, la polizia si dichiara impotente e anziché intervenire nei confronti di quelli che violano la legge, cancellano una manifestazione pacifica e poi ordinano a quelli che avrebbero dovuto proteggere di lasciare Belgrado immediatamente.
Le condanne dell’episodio da parte dell’OSCE e dell’Unione Europea non sembrano mutare la situazione, anzi la EU prepara un nuovo round di negoziati per “normalizzare la situazione”.
Come han fatto notare dei giornali indipendenti, in queste situazioni, quando allo stato serbo serve, arrivano sempre dei gruppi “di fiducia" , pronti a creare tensioni per poi giustificare l’intervento repressivo delle forze dell’ordine.
In questo modo, i politici serbi hanno vinto “una grande guerra contro un piccolo festival ”: di fatto, l’atteggiamento dei politici serbi verso il festival “Mirëdita, dobar dan” riflette la trasformazione del governo serbo negli ultimi dodici anni: dai messaggi iniziali di tolleranza e sostegno del 2014 all’intolleranza e disprezzo odierni.
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