Durante lo scorso fine settimana Dejan Anastasijevic, giornalista del settimanale belgradese "Vreme" e una delle voci critiche del giornalismo serbo, è stato vittima di un attentato dinamitardo. Fortunatamente senza feriti
"Ritornano gli anni novanta". "Si torna al periodo della dittatura". "Tornano gli anni di piombo". Sono solo alcune delle reazioni di alcuni politici, giornalisti e attivisti per i diritti umani al brutale attentato avvenuto nella notte tra venerdì e sabato scorso al giornalista del settimanale "Vreme", Dejan Anastasijevic.
Due bombe piazzate sotto la finestra dell'abitazione del redattore di "Vreme". La prima è esplosa alle 2.50 del 14 aprile, proprio sotto la finestra della camera da letto dove dormivano Dejan, la moglie e il figlio. L'esplosione ha mandato in frantumi la finestra e la facciata dell'abitazione, mentre il secondo ordigno non è esploso. Fortunatamente nessuno è rimasto ferito.
Secondo le prime indagini si tratterebbe di una bomba di tipo M-52 ad alto potenziale dirompente, in grado di colpire in modo mortale in un raggio di 100 metri dal luogo dell'esplosione.
Sono in corso le indagini della polizia e per il momento non ci sono sospetti su chi possa avere attentato alla vita del giornalista belgradese.
Ciò nonostante è lo stesso Anastasijevic ad avanzare una possibile correlazione tra l'attentato e una sua partecipazione alla trasmissione dell'emittente B92, Kažiprst, dell'11 aprile scorso, dove il giornalista di "Vreme" aveva espresso un giudizio critico sulla condanna inflitta ai 4 membri dell'unità degli Scorpioni, accusati dell'omicidio di sei cittadini di Srebrenica.
La cattura di alcuni membri di questa unità era seguita alla diffusione lo scorso anno del famoso video sugli Scorpioni in cui si vede nel dettaglio l'esecuzione a freddo di sei uomini con le mani legate dietro la schiena. Una prova evidente di un deliberato atto criminale.
Il tribunale per i crimini di guerra di Belgrado nei giorni scorsi ha condannato in primo grado a 20 anni di reclusione il comandante degli Scorpioni, Slobodan Medic, e Branislav Medic, mentre altri due membri dell'unità, Pera Petrasevic e Aleksandar Medic, sono stati condannati rispettivamente a 13 e 5 anni di reclusione, un quinto accusato, Aleksandar Vukov, è stato prosciolto dall'accusa.
Anastasijevic a colloquio con una giornalista di B92, Danica Vucenic, aveva espresso tutta una serie di perplessità tanto a riguardo della conduzione di questo processo quanto sulle pene inflitte. "La sentenza è problematica per molti motivi", aveva detto Anastasijevic ai microfoni di B92 ribadendo l'assurdità che la pena massima per l'accusa di criminalità organizzata possa essere di 40 anni di reclusione mentre quella per omicidio di massa in guerra sia pari a 20 anni di reclusione.
Tuttavia nella sua disamina, il redattore di "Vreme" si era spinto oltre: "Ciò che mi ha sorpreso in questo processo è lo sforzo che il tribunale ha impiegato nel dimostrare due cose. Da un alto che gli Scorpioni sono un'unità paramilitare, col che si suppone che non fossero sotto il controllo di nessuno e che tutto ciò che hanno fatto lo hanno fatto da soli, cosa che è poco credibile. L'altra cosa è che il tribunale non ha insistito abbastanza sulla spiegazione del contesto... per insistere invece sulla natura di guerra civile del conflitto in Bosnia".
In sostanza ciò che Anastasijevic mette in dubbio è il fatto che la Serbia non avesse nulla a che vedere con le formazioni paramilitari, in particolare quella degli "Scorpioni", cosa che secondo il giornalista belgradese è poco veritiera: "Se si tiene presente l'intera storia degli Scorpioni che come altre cosiddette unità paramilitari nacquero, furono addestrati e praticamente pagate dai Servizi di sicurezza della Serbia".
Secondo Anastasijevic una cortina di silenzio sembra calare ogni qualvolta che c'è il coinvolgimento dei servizi di sicurezza serbi. "Quando avete un diretto coinvolgimento dei servizi in queste cose si vede che non ci sono prove, che non c'è nulla. Perché? Perché questa istituzione difende se stessa".
Nonostante ci siano stati dei cambiamenti dalla caduta del regime di Milosevic, dal famoso 5 ottobre 2000, pare mancare tuttora il controllo sugli apparati di sicurezza, sui servizi segreti. Il timore, denunciato da Anastasijevic e da altri attivisti per i diritti umani, è che ci sia un ritorno agli anni bui. "Vorrei credere che ci siamo lasciati indietro quegli anni, ma ogni momento qualcosa mi fa venire in mente che ci siamo dentro fino al collo", aveva detto il giornalista di "Vreme" nella trasmissione di B92 dell'11 aprile scorso.
Tutta questa serie di dichiarazioni che Dejan Anastasijevic ha rilasciato nell'intervista per B92, assieme al suo lavoro investigativo pubblicato sulle pagine del settimanale belgradese, frutto di un'approfondita conoscenza dei temi della sicurezza, della criminalità e dei crimini di guerra, potrebbero essere il movente dell'attentato. Mettere a tacere una voce libera e fuori dal coro.
D'altra parte non è la prima volta che un giornalista si trova sotto attacco, minacciato o vittima di un omicidio ben orchestrato. In questi giorni ricorrevano l'ottavo anno dalla morte del giornalista Slavko Curuvija, assassinato sulla porta di casa, i 13 anni dalla morte della giornalista del settimanale "Duga" Dada Vujasinovic, trovata morta nel suo appartamento, i cinque anni dalla morte del giornalista Milan Pantic, corrispondente del "Vecernje Novosti".
Si tratta di omicidi che tutt'oggi sono ancora in attesa di un epilogo giudiziario. Secondo B92 non ci sono dati precisi su quanti siano gli attacchi contro i giornalisti negli ultimi 15 anni. Tuttavia secondo i dati della sola Associazione indipendente dei giornalisti della Serbia (NUNS) nel corso del 2006 ci sono state circa 50 denunce di attacchi, mentre nel 2007 la statistica indica che c'è stata una media tra i 5 e 6 attacchi al mese.
Dejan Anastasijevic è conosciuto per i suoi servizi sulle forze di sicurezza della Serbia, sui crimini di guerra e per il caso degli "Scorpioni". È stato giornalista impegnato in zone di guerra durante il conflitto degli anni novanta nella ex Jugoslavia, ha testimoniato al Tribunale dell'Aja al processo contro Slobodan Milosevic. Per il suo coraggio e le sue inchieste gli sono stati conferiti svariati premi giornalistici.
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