“Neću da ćutim” è un progetto che intende abbattere alcuni tabù e pregiudizi radicati ancora nella società della Serbia. La piattaforma online in cui si possono ascoltare 31 storie di vita vissuta permetterà, con una donazione in denaro, a un’associazione in Serbia di continuare la propria missione per una società più giusta e solidale
“Non voglio stare zitto/a” (Neću da ćutim). Arriva forte e chiaro, nonostante la commozione nella voce e negli sguardi, il messaggio di Milan, Argentina, Kristina, Igor e tante altre vittime di abusi e discriminazioni in Serbia che hanno sofferto e soffrono tuttora a causa di problemi mentali, dipendenze, autismo, infertilità, disabilità… e non vogliono più subire. Il progetto sociale lanciato dal canale televisivo “DOX TV”, che ha sede a Zagabria ma che è stato supportato in questa iniziativa dalla società di telefonia serba “Telekom”, dal dicembre scorso ha raccolto 31 video testimonianze realizzate da persone che non intendono più vergognarsi o tacere sulla propria condizione e vogliono raccontare la propria storia assieme alle tante sofferenze patite, per incoraggiare altri a farlo.
Per fortuna non ci si è fermati solo alle buone intenzioni; grazie infatti alla forza e al coraggio di tutti questi partecipanti, gli organizzatori del progetto hanno donato la somma di un milione di dinari, circa 8.500 euro, all’organizzazione umanitaria “Srbija velikog srca” che supporta con varie iniziative le persone con disabilità e con gravi malattie sia in Serbia che nella regione.
La storia vincitrice
“Mi chiamo Argentina, sono una rom del Kosovo… e non voglio stare zitta”. Comincia così la storia di Argentina Gidžić , 33 anni, ed è proprio la sua vicenda personale ad aver convinto la giuria ad assegnarle il premio finale e come da regolamento è stata poi lei a suggerire a quale associazione dare la somma in denaro.
L’infanzia felice di Argentina viene interrotta violentemente dai bombardamenti sul Kosovo da parte della NATO e prosegue, dopo le minacce da parte di alcuni vicini di casa albanesi, in fuga nascosta insieme alla sua famiglia su un camion diretto in Serbia. Qui, nuove pressioni: vengono considerati “šiptari” (termine dispregiativo usato in Serbia per definire gli albanesi) e non profughi espulsi. Decidono allora, anche a causa delle difficoltà economiche, di ripartire quasi subito.
Dopo 10 mesi passati in Bosnia in un campo profughi, “i 10 mesi più belli della mia vita” rivela lei stessa, Argentina torna in Kosovo per assistere la nonna ammalata. Le cose sembrano sistemarsi quando grazie a un programma organizzato dal contingente “KFOR”, studia e impara la lingua inglese trovando successivamente lavoro insieme alla sorella nel campo profughi delle Nazioni Unite a Mitrovica Nord. L’insediamento si trova però disgraziatamente sopra una discarica, e quella che doveva essere una sistemazione temporanea si trasforma in un decennio intero di vita su un’area altamente contaminata dal piombo e da emanazioni di gas nocivi.
Le conseguenze per la salute si rivelano subito evidenti, soprattutto per i nuovi nati in quegli anni, quasi tutti con problemi di salute molto gravi: “Finita l’esperienza e dopo un viaggio in Germania per disintossicarmi, mi sposo all’età di 19 anni; un premio per le donne di etnia rom, che di solito trovano marito e partoriscono molto prima e non finiscono nemmeno la scuola. Assieme a mio marito, disabile, decidiamo di avere due figli a cui purtroppo vengono successivamente diagnosticate delle malattie gravissime”. Nonostante tutto la coppia non si abbatte e per un certo periodo, fonda e gestisce un’organizzazione che aiuta i bambini disabili; ragioni finanziarie li costringono però a chiuderla l’anno scorso.
Stupri “correttivi”, autismo, transgender…
Kristina, 25 anni, è lesbica e dopo aver subito uno stupro “correttivo” e tentato di togliersi la vita, si dedica ora completamente alle donne che hanno passato il suo stesso inferno.
“Il primo avvenimento della mia vita è stato uno 'stupro correttivo' all’età di 13 anni da parte di un amico, il che ha significato un attacco alla mia omosessualità, un atto d’odio, per “correggere” la mia devianza o come ha detto lui “per educarti”. Ancora adesso non mi sento sicura da nessuna parte e porto i traumi causati da questa violenza: ansia, depressione, panico, flashback, tendenza al suicidio… anche quest’anno ho provato a suicidarmi… Mi sento colpevole, che tutto questo l’ho meritato e che nessuno potrà mai amarmi. La prima volta che ho parlato di quello che mi era successo è stato quando ho saputo che anche una mia amica era stata violentata dalla stessa persona a 15 anni… lei poi si è tolta la vita nel 2018 e io non potrò mai perdonarmelo. Il mio desiderio è che nessuna donna si senta sola e indifesa come mi sono sentita io, che sappia che non è sola a combattere, che qualcuno la capisce… La maggior parte delle persone pensa che le violenze avvengano da parte di estranei invece le statistiche dicono che più spesso si nascondono in famiglia e tra le mura di casa… Adesso cerco di aiutare le vittime come me in tutti i modi, ascoltandole e supportandole e tra le altre cose realizzando gratuitamente anche un tatuaggio simbolico a tutte le sopravvissute… condividere le nostre storie mi aiuta ad andare avanti”.
Sul portale è stata raccolta anche la storia di Milan, 63 anni: vuole che il figlio autistico rimanga a casa sua anche una volta che l’aiuto dei genitori non ci sarà più.
“Il mio figlio maggiore Miloš è affetto da autismo. Io ho 63 anni, e la preoccupazione più grande è chi si prenderà cura di lui quando noi genitori non potremo più farlo. In Serbia esistono solo istituzioni totali per loro e la nostra paura è che lui finisca un giorno in una di queste. La situazione di tali strutture è infatti drammatica nonostante gli enormi investimenti fatti negli ultimi tempi… Io come membro del comitato di supervisione ne ho visitate alcune e ne sono scioccato… i pazienti sono sedati in modo pesante, senza effetti personali, uomini e donne dormono insieme, alcuni sono legati, non c’è dignità… Il sistema istituzionale ha dimostrato più volte di non essere in grado di curare e capire tale patologia. Non conosco per esempio nessuna persona autistica con un lavoro, e a loro sono precluse tutte le possibilità e negati i diritti fondamentali. Vorremmo che Miloš potesse vivere a casa sua anche in futuro, certo con un aiuto esterno garantito dallo Stato, al quale chiediamo un supporto su questo invece di investire senza senso in altre strutture”.
Igor, 26 anni, è il primo modello androgino in Serbia. Non si vede come una persona transgender, né come un uomo o una donna classici. Nonostante le incomprensioni e gli attacchi subiti, vede positivamente la vita e lancia un messaggio a tutti.
“Fin dalla nascita ho capito di essere fisicamente diverso… e anche oggi mi scontro con le incomprensioni degli altri. Dividere le persone in normali e anormali è banale nel 21° secolo. Certo ho subito degli attacchi, per esempio alcuni anni fa da un ragazzo che ho denunciato e che è stato poi condannato… Parlate dei vostri problemi, accettatevi per come siete chiunque voi siate; non guardate al passato, consideratevi unici… io per primo non voglio più stare zitto”.
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