Nuove prove nel processo contro Jovica Stanišić svelano dettagli sul ruolo dei Servizi di sicurezza della Serbia nella guerra in Bosnia. Un articolo di Dejan Anastasijević per il settimanale belgradese "Vreme"
Di Dejan Anastasijević, 28 gennaio 2010, Vreme (titolo orig. Papirni trag zločina)
Traduzione per Osservatorio Balcani e Caucaso: Daniele Scarpa
La scorsa settimana è stata disastrosa per Jovica Stanišić, l'ex capo della Divisione per la Sicurezza Nazionale, e per il suo assistente Franko Simatović Frenki. Non solo per il fatto che un nuovo testimone, protetto con la sigla JF-005, ha radicalmente spiazzato la difesa ma anche perché l'accusa ha mostrato una serie di documenti dai quali si evince che uomini delle unità paramilitari che hanno compiuto crimini in Bosnia erano pagati dai Servizi di Sicurezza della Serbia.
Stanišic e Simatovic sono imputati per crimini contro l'umanità e gravi violazioni delle leggi e usanze di guerra. Secondo l'accusa entrambi sono, individualmente e nel quadro più generale del reato di associazione criminale, colpevoli di aver creato, addestrato e armato una serie di unità paramilitari, i cui appartenenti hanno commesso alcuni dei peggiori crimini di guerra in Croazia e in Bosnia. La più importante di questo gruppo, ben nota ai lettori del settimanale "Vreme", è l'Unità per le operazioni speciali (JSO), ovvero i "Berretti rossi", ma l'accusa afferma che anche molte altre unità erano sotto il controllo di Jovica e Frenki, come le "Tigri" di Arkan, gli "Scorpioni", le "Pantere" e molti altri. L'accusa sostiene inoltre che gli imputati a Bubanj Potok e in altri campi addestravano e armavano anche i volontari di Šešelj, che compievano crimini insieme alle suddette formazioni.
Nel processo svolto fino ad ora l'accusa ha dovuto affrontare due problemi. Il primo riguarda le condizioni di salute di Stanišić (patologia cronica all'intestino e forte depressione), a causa delle quali il processo è stato spesso interrotto e rinviato. L'altro problema è che le prove esibite finora sono state principalmente indirette, e i testimoni pochi e a volte non attendibili. Ora, grazie al testimone JF-005 e alla documentazione appena pervenuta dall'Agenzia informativa sulla sicurezza (BIA), l'accusa ha un maggior spazio di manovra.
Il testimone ha affermato di essere stato reclutato nei "Berretti Rossi" all'inizio del 1992, e l'addestramento con una cinquantina di volontari è avvenuto in un campo segreto sul monte Ozren comandato da Radojica Rajo Božović, uno dei comandanti della JSO. All'inizio del maggio 1992, i "Berretti" scesero dal monte Ozren a Doboj, città che prima della guerra contava una forte presenza di cittadini musulmani. Doboj durante le settimane successive fu oggetto di una vera e propria pulizia etnica, così come la vicina Teslić (entrambe le città ricoprivano un'importanza strategica per il ripristino del corridoio verso Banja Luka). I "Berretti" e la polizia locale serba vi perpetrarono molti omicidi, torture e violenze. "Le persone comandate da Božović avevano pieno potere", ha affermato JF-005.
Il testimone, inoltre, era presente alla famosa celebrazione dell'anniversario dell'unità paramilitare a Kula nel 1997, quando Milošević insieme al suo seguito fece visita ai "Berretti", e la cui registrazione video finora è stata mostrata più volte come prova nei processi all'Aja. Il testimone ha affermato che il colonnello della JSO che nel video stringe la mano a Simatović è proprio Rajo Božović, e ha detto che Frenki nel suo discorso augurale ha esattamente descritto la storia dell'Unità: che è stata fondata nel maggio 1991 e che partecipò ai combattimenti in tutta la Jugoslavia. Era presente anche quando Simatović alla vigilia della guerra visitò il campo di Ozren.
Questo è un grave colpo per la difesa, che finora ha sostenuto che il discorso di Frenki a Kula era improvvisato, e non conteneva la descrizione esatta della storia bellica dell'Unità. Secondo quanto afferma la difesa, i "Berretti" furono fondati solo nel 1996, e i crimini che gli si attribuiscono furono perpetrati da qualche altra unità che portava nomi e simboli simili. Inoltre, Stanišić e Simatović sostengono che i funzionari della Sicurezza di Stato non parteciparono ai combattimenti, ma si limitarono a raccogliere dati in Croazia e in Bosnia.
Ora questa storia va in fumo, grazie non solo alla testimonianza di JF-005, bensì anche ai documenti relativi alle buste paga che la BIA ha presentato di recente al tribunale. In questi documenti vi sono i nomi e le somme delle diarie che ricevettero gli ufficiali dell'Unità, e il tutto è regolarmente firmato e datato. Su alcuni documenti, il testimone ha riconosciuto Božović, Njegoš Kuljić e altri combattenti di Doboj. Dagli appunti di Vejan Džordaš, avvocato di Stanišić, si può concludere che l'Accusa ha ricevuto l'intera lista di pagamenti dal 1992 al 1995. "L'accusa ora ce li può servire su un piatto d'argento", ha affermato irritato Džordaš, dopo essersi visto rifiutare la richiesta di non inserire i registri nelle prove.
Se l'avvocato ha ragione, allora nelle prossime settimane e mesi, in questo processo e in altri, sentiremo ancora altri nomi di persone che per il "lavoro sul campo" in Bosnia e in Croazia ricevettero denaro dalla Sicurezza di Stato. Si tratta di qualcosa che sapevamo tutti in teoria, ma ora il Tribunale è in possesso della prova cartacea che dimostra che i Servizi di sicurezza, come organo statale della Serbia, erano direttamente implicati negli episodi più terribili della guerra in Bosnia. Tutto ciò potrebbe avere anche gravi conseguenze politiche, in particolare nel contesto del dibattito parlamentare sulla dichiarazione su Srebrenica. Cosa succederebbe se si riscontrasse che gli "Scorpioni", come compenso per l'esecuzione filmata a Trnovo, hanno ricevuto una diaria proveniente dalle casse dello Stato, e cosa si direbbe sul ruolo della Serbia nella guerra alla quale non ha partecipato?
Queste sono domande che vanno oltre l'ambito di questo testo, ma che inizieranno certamente a sorgere da più parti. Nel proseguimento del processo la difesa durante le indagini incrociate ha cercato senza successo di mettere pressione sul testimone con la tesi che Božović in realtà era il comandante di un'altra unità a Petrovo Selo, ma JF-005 è rimasto fedele alla sua dichiarazione. Una parte del dibattimento giudiziario che si riferisce al ruolo dell'unità "Mića", che è nata dal campo sul monte Ozren, è stata chiusa al pubblico.
A un certo punto, al testimone è stata mostrata la fotografia con una strana inquadratura in un luogo commemorativo del comando della JSO a Kula, in cui era raffigurato un berretto rosso circondato e tenuto sotto tiro da varie armi. Riguardo al suo significato, il testimone rispose: "Ciò vuole significare che l'Unità è più forte di qualsiasi cosa."
Tale sentimento di onnipotenza, inculcato nei campi per l'addestramento, rafforzato con le "imprese" in Croazia e in Bosnia e rinvigorito in Kosovo, ha portato il colonnello della JSO Zvezdan Jovanović a ordinare ai cecchini di fare fuoco quel 12 marzo 2003, giorno dell'omicidio del premier serbo Zoran Ðinđić, ndt. dal noto ufficio in via Admiral Geprat. Ma anche con questo la Serbia deve ancora fare i conti.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!
Commenti
Log in or create a user account to comment.