Belgrado e la Serbia intera ricordano il decennale della tragica sorte dei cittadini di nazionalità serba, cacciati in pochi giorni dalla Croazia a seguito dell'operazione dell'esercito croato denominata Oluja (tempesta). Da Belgrado la cronaca della giornata di commemorazione
Con una serie di manifestazioni, compresa una marcia di protesta fino all'ambasciata croata, di commemorazioni funebri che si sono tenute nelle chiese di tutto il Paese, di mostre, presentazioni, documentari e dibattiti pubblici, ieri in Serbia è stato commemorato il decennale di "Oluja", l'azione dell'esercito croato che portò decine di migliaia di Serbi ad abbandonare la Croazia.
L'azione militare denominata "Oluja" (Tempesta) che durò dal 4 al 26 agosto 1995 rappresentò la svolta nella guerra condotta sul territorio della Croazia. Il suo principale risultato fu l'esodo in massa dei Serbi della Krajina, una regione che era sotto il loro controllo. Al termine dell'operazione Oluja praticamente non è rimasto alcun abitante di nazionalità serba in quella regione. Nella rapida azione delle forze croate, durata solo qualche giorno, oltre 1.900 persone rimasero uccise e scomparvero, la maggior parte di quelli che non vollero abbandonare le loro abitazioni furono condotti in campi di concentramento, mentre circa 220.000 persone furono costrette ad abbandonare le proprie abitazioni.
Esattamente dieci anni fa, l'immagine di un'enorme colonna di profughi sui trattori, con in mano solo gli effetti personali più essenziali, che attraversa il ponte più grande di Belgrado sconvolse fortemente l'opinione pubblica. Il regime di allora, nonostante fosse decisamente responsabile per quanto accaduto nella ex Jugoslavia, accompagnò l'esodo in modo silenzioso, lasciando che i profughi si arrangiassero da soli, collocandoli in centri collettivi inumani, senza garantirgli nemmeno le condizioni minime di esistenza. La Belgrado ufficiale di oggi, però, in accordo con una differente politica di confronto col passato, ha assunto un ruolo attivo nella commemorazione del decennale di "Oluja", definendo quell'avvenimento una pulizia etnica.
Nei giorni scorsi, la campagna più attiva è stata condotta dal presidente serbo Boris Tadic, che nel comunicato trasmesso dal suo ufficio stampa, riportato da tutti i media, ha dichiarato: "il fatto che in qualche giorno siano stati cacciati 250.000 serbi dalla Croazia, non può essere definito un eccesso, ma piuttosto si tratta di pulizia etnica". Tadic insiste sul confronto con tutti i crimini del passato, dichiarando che si deve parlare apertamente di tutto, che sia il caso di Srebrenica o di Oluja. Una simile posizione è stata assunta dal premier Vojislav Kostunica, nella sua dichiarazione scritta ha dichiarato che "Oluja" è la più grande pulizia etnica dopo la Seconda guerra mondiale, e che "di fronte a noi oggi si profila un grande compito, di rendere possibile il ritorno di chi è stato cacciato dalle proprie case e di restituire loro i diritti umani che gli spettano, perché questa è l'unica strada che porta ad una vera pace, giustizia, riconciliazione e al futuro europeo".
Le posizioni dei funzionari di Belgrado sull'azione "Oluja", e in primis le dichiarazioni del presidente serbo, sollevano numerose polemiche e annunciano un raffreddamento delle relazioni con la Zagabria ufficiale. E mentre la dichiarazione di Tadic sulla vicenda "Oluja" è stata accolta positivamente, in particolare da parte di quell'opinione pubblica che non era d'accordo sulla sua visita alle vittime di Srebrenica, in Croazia invece sono state vissute come una minaccia alla normalizzazione delle relazioni tra i due Paesi. Il presidente croato Stjepan Mesic ha valutato inopportuno il parallelo con Srebrenica, dichiarando di essere d'accordo sull'individualizzazione dei crimini, ma ribadendo che "Oluja" non può essere caratterizzata come pulizia etnica. Ma Tadic anche ieri, in una dichiarazione non molto meno severa, ha ribadito che "Oluja" è un crimine organizzato e che rappresenta la privazione dei diritti fondamentali dei cittadini, e in particolar modo del diritto alla vita.
Proprio come le dichiarazioni contraddittorie dei due presidenti, così anche la commemorazione del decennale di "Oluja" assume un carattere completamente differente in Serbia e in Croazia. A questo riguardo a Belgrado è stato formato un Comitato per la commemorazione del decennale con l'intento, mediante una serie di manifestazioni, di ricordare al pubblico locale e mondiale uno dei maggiori esodi dei Serbi, ma anche di avanzare le richieste che innanzitutto si riferiscono all'accertamento del destino delle persone scomparse, così come alle condizioni di possibilità per un rientro sostenibile dei profughi.
L'inizio della commemorazione è stato segnato dalla marcia di protesta di diverse migliaia di cittadini, giunti fino all'ambasciata croata. I partecipanti, giunti in silenzio di fronte all'ambasciata, hanno chiesto, nell'ottica di una pace duratura e di una normale convivenza, che venga affermata l'intera verità su Oluja, che venga posta fine alle celebrazioni in Croazia, e infine che si risolva urgentemente la questione delle persone scomparse. Durante il raduno davanti all'ambasciata i cittadini simbolicamente hanno deposto delle rose per ogni persona il cui destino rimane tuttora ignoto. Inoltre le famiglie degli scomparsi hanno chiesto di poter consegnare a qualche funzionario dell'ambasciata la lista contenete i nomi dei 2.627 Serbi scomparsi tra il 1991 e il 1995. Tuttavia, le porte dell'ambasciata sono rimaste chiuse per tutta la durata della protesta, sicché la lista è stata lasciata sotto il cancello di ingresso, con la speranza che giunga nelle mani di coloro ai quali era indirizzata. Nonostante non ci fossero funzionari dell'ambasciata, è stato impiegato un grande numero di poliziotti che avevano il compito di garantire la sicurezza della manifestazione, fatto che ha suscitato le reazioni dei partecipanti, i quali hanno dichiarato di non voler provocare nessuno, e che stavano svolgendo una semplice manifestazione civile e pacifica. Oltre ad aver lasciato le rose e la lista coi nomi degli scomparsi, i cittadini hanno portato con sé dei cartelloni con i nomi dei loro cari scomparsi o uccisi durante l'operazione Oluja. I cittadini poi hanno proseguito fino a piazza Nikola Pasic, dove sono stati letti una serie di discorsi e di testimonianze della gente che, dieci anni fa, fu costretta ad abbandonare le proprie abitazioni.
Il Patriarca Pavle ha officiato la liturgia per tutti i morti nella chiesa di San Marko a Belgrado, alla presenza dei più alti rappresentanti politici della Serbia, compreso il presidente Tadic e il premier Kostunica, ma anche alla presenza di un alto numero di cittadini che hanno letteralmente riempito la chiesa. Come trasmesso dall'emittente B92, al termine della liturgia il Patriarca Pavle ha dichiarato che "il dispiacere nostro è enorme, ma sarebbe stato insuperabile se loro fossero morti per un'azione di conquista. Essi sono stati cacciati dai loro luoghi, dove sono vissuti per centinaia di anni". Le funzioni religiose si sono tenute in tutte le più importanti città della Serbia e della Republika Srpska, e nel luogo in cui gli sfollati fecero ingresso in Serbia.
Nell'ambito della commemorazione del decennale di "Oluja", Rasim Ljajic, ministro della Serbia e Montenegro per i diritti umani e le minoranze ha visitato un campo profughi, prendendo atto delle difficili condizioni di vita con cui devono fare i conti i profughi. Benché siano a Belgrado già da dieci anni, queste persone non hanno uno status definito, e la maggior parte di loro dichiara che la cosa che desidera di più è fare ritorno alle proprie abitazioni, appellandosi al tempo stesso al governo croato affinché gli dia la possibilità di farlo. A seguito del ministro Ljajic c'era anche Aleksandra Milenov, rappresentante del Tribunale dell'Aja alla sua prima visita in un campo profughi. Parlando con lei, i profughi della Croazia hanno chiesto che il Tribunale si attivi urgentemente per arrestare i maggiori responsabili della loro cacciata.
Con mostre, dibattiti e pubblici incontri organizzate da varie Ong la Serbia ha ricordato il decennale di Oluja, con l'idea di parlare apertamente su quanto è accaduto e di contribuire al confronto col passato.
Vedi anche:
Oluja, dieci anni dopo
I rifugiati serbi in Vojvodina
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