Un tempo criticato per i suoi vini non convenzionali, oggi le sue bottiglie si trovano nelle cantine dei migliori ristoranti stellati Michelin: Oskar Maurer è un riferimento per la produzione di vino naturale in Serbia. Abbiamo parlato con lui della sua filosofia produttiva e molto altro
Oskar Maurer è l'anticonformista della vinificazione in Serbia. Ogni anno immette sul mercato oltre venti etichette, ognuna con le proprie caratteristiche uniche e probabilmente irripetibili. Molte altre sperimentazioni non vedranno mai la luce, fatta eccezione per chi sarà così fortunato da fargli da cavia.
È uno dei principali sostenitori del vino naturale in Serbia, una corrente che punta a ridurre al minimo l'intervento durante l'intero processo, dalle pratiche agricole alla vinificazione in cantina. Resta un approccio divisivo. Secondo i sostenitori, è l'espressione più pura del terroir: un vino che non è stato costretto ad aderire ad un obiettivo predefinito, ma è invece attentamente coltivato per rivelare le caratteristiche distinte di ogni appezzamento e annata. L'assenza o l'uso limitato di solfiti, tra l'altro, vuol dire anche meno mal di testa per il consumatore.
Raphaël Dayan, proprietario dell'Organski Podrum a Belgrado, insiste sul fatto che il vino naturale esiste da migliaia di anni: le prove più antiche della sua coltivazione si trovano in Georgia, Iran, Egitto. Tutti i vini, infatti, erano naturali fino all'industrializzazione del XX secolo. L'aumento della conoscenza ha portato un maggiore controllo sul processo. In tal modo, è andata perduta l’imprevedibilità della natura e il vino è diventato un’industria.
Non esiste, tuttavia, una vera e propria definizione giuridica di vino naturale. Le etichette artistiche o il linguaggio eco-consapevole non significano necessariamente che siano state rispettate le pratiche del vino naturale. Bisogna fare domande al produttore. Per Raphaël, questo fa parte della cultura del vino; rallentare, conoscere la terra e i produttori e degustare i risultati.
Raphael suggerisce di riservare al vino la stessa attenzione destinata al cibo biologico. "Dal punto di vista della salute, il vino naturale ha molti punti a suo favore: la mancanza di additivi o conservanti, prodotti ben coltivati", dice, "ma i vini hanno anche un sapore migliore, un odore migliore e sono più espressivi e vivi”.
Ci sono, tuttavia, voci più ciniche. Problemi con la fermentazione possono portare a vini imbevibili o se non altro incoerenti. Una bottiglia può essere favolosa, l'altra terribile, anche nella stessa annata.
Lo stesso mondo del vino non è sempre stato pronto ad abbracciare il vino naturale. “I sommelier mi hanno detto che il vino aveva un problema”, Oskar ricorda le sue prime esperienze alla fine degli anni Novanta. “Ho cominciato troppo presto”, sorride, “nessuno voleva comprarlo”. Ai distributori non interessava mettere in magazzino i suoi vini non filtrati. Casual e tarchiato, Oskar non dimostra la sua età: forse è l'effetto delle tante ore trascorse in vigna.
Sfiduciato, ha aggiunto piccole quantità di solfiti e ha iniziato a filtrare i suoi vini per renderli più accettabili. Si è trattato, come lo descrive lui, di un “piccolo compromesso”. Una collaborazione nel 2012 con la Master of Wine Isabelle Legeron ha rafforzato il suo impegno nella produzione di vini senza solfiti (o almeno con livelli minimi). Senza questo passo, i principi del vino naturale si sarebbero ulteriormente scontrati con la realtà di un mercato poco accogliente.
Sempre più esperti si dedicano oggi al vino naturale. “Non siamo più dei reietti”, dice Oskar. Persino a San Diego vogliono raccontare la sua storia.
È un lavoro in parte fondato sulla riscoperta dei vitigni autoctoni, della cui perdita Oskar si rammarica. Kadarka, Grašac, Tamjanija, Bakator, Furmint e Sremska Zelenika sono solo alcune delle uve che guidano il viaggio di Oskar. Eppure il suo percorso è più sfumato. Non si tratta di contrapporre varietà autoctone e internazionali (eccelle anche in queste ultime), ma di dove queste varietà autoctone siano state originariamente trovate.
Il Kadarka 1880 di Oskar deriva da alcuni dei più antichi vigneti di Kadarka, ma è un patrimonio perduto. La Kadarka del passato era, per Oskar, toccata dalla “Pannonia, dai Balcani, alcune radici provengono anche dalla Turchia”. Questo era il Kadarka originale, oggi coltivato da pochissimi viticoltori.
Per Oskar la regione può vantare potenzialità di cui non c'è consapevolezza. “Fruška Gora era una delle migliori regioni vinicole del mondo nel XVI secolo”, racconta, “il suo vino era bevuto da re e aristocratici”. “Non è mai troppo tardi per ricostruire questa storia”, sostiene, “per piantare uve locali ogni anno, ma ci vuole tempo”.
Un'altra varietà autoctona che dà il meglio di sé nelle mani di Oskar è il Grašac (o Graševina in Croazia), che secondo lui "è nato in Serbia". È spesso conosciuto come "Welschriesling" o "Riesling italiano" per accontentare il mercato viennese dove veniva storicamente venduto: un mercato che ha sostanzialmente determinato le sorti dei vini dei Balcani.
Il Fodor 2019 è stato classificato dalla rivista Decanter come uno dei migliori esempi di Grašac. La vicinanza a un lago fa sì che le uve siano spesso colpite dalla Botrytis Cinerea o "muffa nobile", un fungo che attacca le bucce, accelerando l'evaporazione dell'acqua, lasciando un'alta concentrazione di zuccheri. Viene invecchiato in botti grandi superiori a mille litri.
Oskar si impegna anche a scavare nel passato per trarne ispirazione. Il suo Sott 2022, un vino dolce che contiene ventidue erbe diverse, si ispira a ricette secolari per offrire contemporaneamente immunità ed edonismo.
“È il terroir a dare carattere al vino”, si schermisce Oskar. Il sentimento per la natura è la chiave per coltivare questo terroir. “Devi seguire il ritmo della natura, ballare con la natura”, sostiene, “ma non sei tu il regista, non sta a te decidere cosa è locale”.
I suoi vigneti sembrano diversi. Le piante e l'erba vengono lasciate crescere. Vicino alle viti sono stati piantati alberi di noci. “C’è una simbiosi”, insiste Oskar. Cita le filosofie biodinamiche e il buddismo, ma non è vincolato a nessuno dei due. Esorta invece a lasciare libere le viti: “comprendere la loro voce e lasciarle andare dove vogliono”.
Oskar si scrolla di dosso i confini soffocanti e prevedibili dei descrittori del vino. Parlando del suo Fodor 2022 Grašac, descrive alcune erbe e spezie rudimentali, e poi “dalla botte si sente soprattutto la marijuana”. I discepoli riuniti si guardano nervosamente.
I suoi nomi e le sue etichette sono opportunamente eccentrici. Un cactus illumina il suo Pét-nat, un micio vede un leone riflesso nell'acqua. Un pollo stravagante, pieno di orecchini e occhiali da sole, adorna una bottiglia di Merlot. "Crazy Lud", "Babba", "Karom" e "Rebel": nomi non tipicamente associati al vino. Eppure i ristoranti stellati Michelin fanno la fila per rifornirsi delle creazioni di Oskar.
Nonostante una serie quasi vertiginosa di etichette, molte delle quali con una produzione limitata, Oskar racconta con dettagli enciclopedici la specifica vinificazione a cui ciascuna è stata sottoposta: i giorni di macerazione, la spontaneità della fermentazione e la dimensione delle botti. Tutto questo nella sua terza lingua, l'inglese.
Oskar non è solo. La Serbia vanta numerosi produttori di vino naturale che creano accattivanti espressioni di varietà di uva locali, tra cui Aleksandar Todorović, Ernő Szagmeister ed Estelle e Cyrille Bongiraud, fondatori di Francuska Vinarija, un movimento che sta guadagnando riconoscimento oltre i confini della Serbia.
Il vino naturale è più di un semplice metodo. Implica una filosofia dedicata all'esplorazione e al ripristino di un passato dimenticato, scavando nei libri di storia per determinare cosa era ed è genuinamente locale, garantendo al tempo stesso vigneti eterogenei e armoniosi. Qualunque sia la vostra opinione sul vino naturale, la storia di Oskar, sebbene non facilmente replicabile, è fonte di ispirazione per chi si dedica all'esplorazione di vini che esprimono autenticamente il loro contesto.
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