Da tempo il noto scrittore austriaco ha preso posizione in difesa dell'ex presidente serbo Slobodan Milošević. In questo articolo, del quotidiano belgradese Danas, la dura critica alle tesi di Peter Handke
Di Mile Lasić, Danas , 24 giugno 2005 (tit. orig. "Đavoljev šegrt" i "prijateljsko lice")
Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak
La rinomata rivista internazionale Literaturen, che uscirà il 1° luglio, contiene un articolo dello scrittore austriaco Peter Handke sui dialoghi avuti con Slobodan Milošević a Scheveninghen, nell'ufficio del carcere del Tribunale penale internazionale per i crimini di guerra. Peter Handke, che gode di molta stima negli ambiti letterari tedeschi ed europei, difende per l'ennesima volta qualcosa che non può essere difeso. Se per la sua famosa descrizione di un viaggio in Serbia si poteva ancora pensare che fosse sceso in campo contro la demonizzazione di un Paese, "il racconto di viaggio" di Handke sulla "farsa di un tribunale" invece non lascia dubbi. Peter Handke, fra altro, doveva essere uno dei 1600 testimoni di Milošević, e quindi proprio colui che avrebbe confermato la versione di Milošević sulla responsabilità di tutti, tranne la sua, dello sfacelo della Jugoslavia e dei successivi crimini, ma non gli andava di apparire in un ruolo simile all'Aia. In 20 pagine Handke scrive anche del motivo per cui ha deciso di non apparire in aula e di esporsi alle imbarazzanti accuse e domande dell'accusa, e quindi ripete la sua più profonda convinzione che il processo di Milošević sin dall'inizio è fondato e motivato in modo errato, e che il Tribunale dell'Aia è un "tribunale sbagliato".
De facto, Peter Handke solleva "un'accusa letteraria" contro l'intera comunità internazionale, in particolare contro la NATO. Egli non soltanto è "profondamente convinto" che da principio tutto sia stato posto in modo distorto ed ingiusto, ma che Slobodan Milošević sia "innocente nello spirito dell'accusa". "Sì, la mia convinzione intima", scrive Peter Handke, "va addirittura così lontano che non vedo Slobodan Milošević soltanto davanti ad un tribunale sbagliato, ma - benché non lo consideri completamente innocente - lo considero innocente nel senso dell'accusa...".
Il nuovo numero della rivista Literaturen sarà in vendita soltanto fra qualche giorno. Se si sta già parlando e scrivendo su di lui è merito della FAZ di Francoforte, che nel numero del 22 giugno 2005 ha dato la possibilità di avere una visione dettagliata, anche se incompleta, dei racconti di Handke. Da questa appendice della FAZ emerge che lo scrittore austriaco e l'accusato dell'Aia hanno parlato per tre ore a Scheveninghen, e che lo scrittore ha poi deciso di descrivere la situazione di Milošević in modo più completo e più vero di quanto abbiano fatto i giornalisti, di cui Handke nemmeno tiene conto. ha deciso niente di meno che di offrire al pubblico europeo la vera "anima della storia" e "una verità più profonda" delle cose accadute nei Balcani, precedenti all'arresto di Milošević ed al processo dell'Aia.
Il critico letterario di FAZ, Matias Rib, afferma che "Handke in questo suo testo ha fallito su due livelli: quello storico e quello spirituale". Peter Handke non ha - secondo le aspettative - nemmeno cercato di illuminare la problematica difesa di Milošević, ma gli ha semplicemente offerto lo spazio per un monologo, per la visione della verità di Milošević, alla quale non crede più nessuno, tranne, a quanto pare, lui e Handke. Handke, fra l'altro, nel suo testo per la rivista Literaturen ha aggiunto pure il sottotitolo "Rapporto di un testimone indiretto al processo contro Slobodan Milošević", che, purtroppo, si è trasformato in un altro girare attorno alla verità. Handke fra l'altro pretende di sapere meglio la verità e la sostanza della disgregazione della Jugoslavia. Rimarrà però inspiegabile come sia possibile che ad uno scrittore colto ed importante sia capitato di assumere il ruolo dell'"apprendista del diavolo", e che proprio lui confonda un leader problematico e un Paese, in modo molto più semplificatorio di quanto hanno fatto i giornalisti occidentali nel periodo della disgregazione della Jugoslavia. Catastrofico per Handke è inoltre compiere questo "sacrilegio" della verità nel momento in cui la Serbia si sta riprendendo dalle menzogne di decenni, per non parlare che il suo scrivere ha coinciso con la pubblicazione della videoregistrazione sulle esecuzioni di Srebrenica e con il decimo anniversario della tragedia di Srebrenica.
Facendo ciò Handke, in qualche modo, mette definitivamente in mostra la sua insensibilità, in modo del tutto simile a come lo fa Milošević già da 20 anni, da quando è salito al potere in Serbia. L'osservazione generale di Handke sul Tribunale dell'Aia - che fra l'altro è completamente identica a quella di Milošević - dice che si tratta di uno strumento illegittimo "della giustizia dei vincitori", dunque di quelle forze e di quei potenti che hanno scambiato la giustizia con la forza, impiegata nelle guerre contro i serbi, soprattutto coi bombardamenti della NATO nel 1999. Naturalmente, Handke dovrebbe almeno sapere che il TPI è stato fondato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, e che ancora oggi si trova sotto il suo controllo, ma ciò non si inserisce nel suo schema di difesa ad ogni costo di Milošević. Handke, come ci si può già aspettare, non considera affatto il Tribunale Dell'Aia, perché secondo lui questo tribunale semplicemente è "un tribunale sbagliato" che "non ha contribuito minimamente a svelare la verità". "L'anima della storia" e "la verità più profonda", che naturalmente conoscono solo Handke e Milošević, e quelle famose società di Belgrado e del mondo che si preoccupano di difendere l'immagine e l'opera di Milošević, di Karadžić e dei loro simili, non possono - secondo Handke - essere comprese nemmeno dai due giudici del processo contro Milošević, che lui qualifica come "il giamaicano nero con la barba bianca" e "il sudcoreano esperto di sequestri".
Lo scrittore austriaco, fra altro, chiama l'accusato dell'Aia in modo intimo, per nome, Slobodan, e S. M. nel suo monologo di quasi tre ore si è concentrato su due supposti avvenimenti chiave della recente storia jugoslava: quello di Kosovo Polje del 1987, quando ai kosovari serbi promise che nessuno li avrebbe più toccati e quello del suo discorso leggendario a Kosovo Polje, due anni dopo, quando annunciò che ci sarebbero state "nuove battaglie". Cosa sia successo, nel frattempo, ai serbi kosovari, agli stessi kosovari ai quali Milošević aveva promesso "protezione", non è cosa che interessi né a Milošević né a Handke. Ma mentre è del tutto comprensibile che Milošević colleghi malvolentieri le cause alle conseguenze, più che problematico è il fatto che Handke non si ricordi di simili manipolazioni nel 20simo secolo, per esempio dei giochi sfacciati di Hitler coi sudeti tedeschi.
In nessun momento di questi molti anni trascorsi da difensore di Milošević - e non della Serbia, come pensano gli ingenui - lo scrittore austriaco si è chiesto se dietro "il viso amico" del prigioniero di Scheveninghen si nasconda "l'incarnazione del male", l'abile demagogo e il manipolatore, la causa principale, benché non l'unica, della rovina della Jugoslavia, colui che teneva tutti i fili nelle sue mani, che non aveva ritegno nemmeno dell'assassinio degli ex amici, se questi diventavano di ostacolo alla strada verso il potere totale. In fin dei conti di quell'uomo che ha umiliato i serbi come nessun altro nella loro storia. Per Handke l'innocenza di Milošević è un a priori, e se ci sono stati alcuni crimini è perché " i serbi di là, nei lontani ed appartati luoghi della Bosnia" si difendevano soltanto, perché erano esposti ai massacri da parte dei musulmani. Fra l'altro la disgregazione della Jugoslavia, all'inizio degli anni Novanta, è stata messa in moto "come una macchina del diavolo", " guidata dall'interno " e accelerata, dice Handke, ma in tutto ciò Milošević è stato "solo una tragica figura".
Sì, è certo tragica la figura di S.M. dietro alla quale sono rimaste centinaia di migliaia di tombe, ma è ancora più tragica la figura del suo "apprendista", che non finisce di ingannare l'opinione pubblica ex jugoslava, serba e internazionale. E proprio nel momento in cui in Serbia inizia il processo di una vera ripresa dall'ubriacatura. A chi servono i messaggi di Handke tesi a dimostrare che i serbi sono sempre state le vittime? Tale difesa dei serbi e della Serbia non serve a nessuno, e meno che mai ai serbi. Il grande scrittore jugoslavo e serbo Bora Ćosić in un'occasione ha affermato che gli "fa schifo" la difesa di Handke dei serbi e della Serbia. Ćosić crede che già il famoso "Racconto di viaggio" di Handke era un inganno a danno dei serbi. Non c'è niente da togliere o aggiungere a ciò. Tranne che questo ultimo tranello di Handke è ancora meno umano.
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