Ha fatto scalpore in Serbia la nuova classifica di Reporter senza frontiere sulla libertà dei media, in cui Belgrado guadagna otto posizioni. La statistica e la realtà dei fatti
(Originariamente pubblicato da Cenzolovka il 22 aprile 2016, titolo originale Reporteri bez granica: Top-lista nadrealista )
Stando all’ultima classifica sulla libertà di stampa nel mondo, redatta annualmente dall’organizzazione internazionale Reporter senza frontiere (RSF), la Serbia è salita di otto posizioni rispetto all’anno precedente, posizionandosi al 59mo posto su un totale di 180 paesi presi in considerazione. E mentre dalla graduatoria emerge che la Serbia ha compiuto un balzo in avanti sul fronte della libertà di espressione, da RSF fanno notare che si tratta solo di un “miglioramento statistico” che, come sostengono anche molti giornalisti serbi, unanimi su questo punto, non corrisponde alla realtà in quanto la situazione dei media nel paese sta continuamente peggiorando.
È dal 2002 che Reporter senza frontiere monitora lo stato di salute dei media a livello globale, prendendo come parametri di riferimento i seguenti indicatori: pluralismo, indipendenza dei media, livello di abusi, autocensura, quadro giuridico, trasparenza e infine qualità delle infrastrutture (su cui poggia la produzione di notizie e informazioni).
L’ultimo report, The 2016 World Press Freedom Index, relativo all’anno 2015, riassume le risposte date da giornalisti, giuristi e sociologi di tutto il mondo ad un questionario composto da 87 domande relative ai summenzionati argomenti, combinandole poi con i dati raccolti da esperti di RSF relativamente agli attacchi contro i giornalisti avvenuti nel corso dell’anno. Tutte queste informazioni vengono messe in relazione tra loro mediante una formula matematica che permette di calcolare l’indice della libertà di stampa in ogni singolo paese preso in considerazione.
Mentre i paesi europei tradizionalmente si collocano al vertice di questa classifica, per la Serbia, secondo il giudizio di RSF, l’Europa è ancora lontana. Stando alle statistiche di questa organizzazione, la Serbia, come anche la maggior parte dei paesi della regione, stenta a entrare nei primi 60 posti della classifica.
Nel 2015, tuttavia, la Serbia ha registrato un lieve balzo in avanti, che potrebbe far pensare che la situazione dei media nel paese sia migliore rispetto al resto della regione. Tanto più che, ad eccezione della Romania, piazzatasi al 49mo posto, tutti gli altri paesi della regione si sono posizionati peggio rispetto alla Serbia: Croazia al 63mo posto, Bosnia Erzegovina al 68mo, seguono Albania (82), Montenegro (106), Bulgaria (113), e infine Macedonia, già da qualche anno fanalino di coda dei Balcani, posizionata al 118mo posto.
Anche prendendo in considerazione i report degli anni precedenti, più precisamente quelli a partire dal 2007 (quando RSF ha iniziato a raccogliere dati relativi alla Serbia), dai quali emerge che nella classifica mondiale sulla libertà di stampa la Serbia oscillava tra la 54ma posizione (2013) e l’87ma posizione (2009), il risultato raggiunto nel 2015 sembra piuttosto positivo.
Tuttavia, gli esperti di RSF nel loro ultimo rapporto, nel capitolo relativo alla Serbia, sostengono che la situazione dei media nel paese sia particolarmente peggiorata a partire dal 2014.
Un mero effetto statistico
A confermare che il balzo in avanti fatto dalla Serbia nell’ultima classifica di Reporter senza frontiere non è altro che un miglioramento statistico che non rispecchia il reale stato delle cose, è anche il direttore della sezione tedesca di questa organizzazione, Christian Mihr. Stando alle sue parole, il miglioramento della posizione della Serbia dovrebbe essere preso in considerazione esclusivamente in relazione alle tendenze registrate in altri paesi.
“La posizione della Serbia è rimasta praticamente invariata rispetto all’anno precedente. In altre parole, risulta migliorata solo perché l’indice degli altri paesi è calato. Questo effetto statistico è ulteriormente rafforzato dal fatto che le piccole oscillazioni degli indici dei singoli paesi possono influire in maniera significativa sulla classifica generale”, ha affermato Mihr per Cenzolovka.
Questa spiegazione è condivisa anche dalla caporedattrice di RSF, Aude Rossigneux. “Il miglioramento della posizione della Serbia è innanzitutto conseguenza di un generale peggioramento dello stato della libertà di stampa in Europa e nel resto del mondo, considerando che il punteggio ottenuto dal paese è sostanzialmente invariato rispetto all’anno precedente”, ha detto Rossigneux.
La situazione dei media peggiore che mai
Molti giornalisti serbi sono unanimi nel ritenere che questo ”balzo in avanti” della Serbia nell’ultima classifica di RSF non corrisponde alla realtà poiché “la situazione dei media nel paese sta continuamente peggiorando”.
Vukašin Obradović, presidente dell’Associazione dei giornalisti indipendenti della Serbia (NUNS), dice che le classifiche di questo tipo dovrebbero essere prese con una certa riserva “perché vengono stillate sulla base di certi metodi che non sempre riescono a far emergere il reale stato delle cose”.
“Per quanto la Serbia stia avanzando in questa classifica, la situazione della libertà di stampa nel paese si sta progressivamente deteriorando. Assistiamo a un vero e proprio soffocamento dello spazio mediatico, dal momento che il processo di privatizzazione dei media ha fatto sì che molti mezzi di informazione venissero piegati agli interessi partitici, dando il via libera agli abusi nell’assegnazione di finanziamenti a progetto per i media nonché a un forte controllo governativo sull’informazione”, afferma Obradović.
La giornalista Antonela Riha, dal canto suo, spiega il punteggio registrato della Serbia con il fatto che “in Serbia ci sono sempre meno media e giornalisti, sicché sembra che anche i problemi in questo settore stiano diminuendo”, ma le cose non stanno così.
“Nella maggior parte dei media serbi non vi è più alcuna volontà di smuovere le acque, di porre domande e assumere un atteggiamento critico. I cittadini sono in genere poco informati, i media sono usciti devastati dal processo di privatizzazione, persiste la censura come anche l’opacità degli assetti proprietari, i codici deontologici continuano a essere violati, il paese è tabloidizzato a tutti i livelli. Ed è proprio perché i veri media sono sempre meno che sembra che anche i problemi stiano diminuendo, mentre in realtà non fanno che moltiplicarsi”, sostiene la giornalista.
Anche il caporedattore del quotidiano Danas, Dragoljub Draža Petrović, condivide questa opinione, a dispetto di quanto emerso dal summenzionato rapporto.
“Tutti noi che lavoriamo nei media sappiamo bene quale sia la reale situazione della libertà di stampa in questo paese. La libertà non è del tutto soffocata, nel senso che non vi è la censura classica che consiste nell'imporre ai giornalisti di presentare testi da pubblicare a un censore statale che poi decide sulla loro sorte. Vi è tuttavia una grande paura di pubblicare qualcosa che potrebbe non essere gradito al governo“, spiega Petrović.
Una gara regionale – chi è il meno peggio
Commentando i risultati della classifica stilata da RSF, stando ai quali la situazione della libertà di stampa in Serbia sarebbe migliore rispetto ad altri paesi della regione, il direttore del Centro per il giornalismo investigativo della Serbia Branko Čečen dice che “non si avventurerebbe in una gara del genere”.
“È una competizione tra i peggiori della classe, che ha come scopo quello di stabilire chi è meno peggio degli altri. Penso che dovremmo focalizzarci sull'attuale situazione dei nostri media, su come creare una massa critica di professionisti in grado di cambiarla in meglio“, afferma Čečen.
La giornalista Olja Bećković dice che non le importa assolutamente se la Serbia sta perdendo o guadagnando posizioni in una qualche classifica, perché la situazione è comunque orrenda. “Quando si tratta della censura, non mi consola per niente il fatto che il suo rigore possa variare da un paese all’altro”, dice la Bećković.
Vukašin Obradović aggiunge che nell’intera regione si assiste a una tendenza a limitare la libertà dei media, per cui non ha molto senso fare paragoni tra le situazioni dei singoli paesi. “In Macedonia continuano gli arresti dei giornalisti; la Croazia ha un nuovo ministro dell’Informazione che vorrebbe controllare i media, tanto che il direttore della radiotelevisione pubblica (HRT) è stato destituito seguendo una logica puramente partitica, mentre le trasmissioni televisive abbondano di eccessi sciovinisti; e la situazione non è rosea nemmeno in Montenegro e in Bosnia”.
Il 59mo posto è un risultato disastroso
Il presidente della NUNS aggiunge inoltre che, proprio alla vigila delle elezioni politiche (tenutesi il 24 aprile scorso), ha ricevuto alcune telefonate dai media filo-governativi in merito al summenzionato rapporto. “Loro stanno già sbandierando questa classifica, usandola come ‘prova’ del fatto che la Serbia stia progredendo sul fronte della libertà di stampa. Per un giudizio su come stanno davvero le cose non abbiamo bisogno né di Freedom House né di Reporter senza frontiere, è ai semplici cittadini e a noi che lavoriamo nei media che spetta darlo”, afferma Obradović.
“Nonostante la Serbia abbia guadagnato otto posizioni rispetto all’anno precedente, il 59mo posto non è una cosa di cui vantarsi né di cui essere orgogliosi”, sostiene Draža Petrović. “Se fossimo entrati nei primi dieci posti della classifica, sarebbe una cosa da ritenersi positiva – la 59ma posizione è invece un rating disastroso. Tale da non contare nulla, come nei campionati di calcio, ad esempio, dove contano solo i primi tre posti della classifica, a nessuno importa chi stia al 59mo. Non credo che un risultato del genere possa giovare a qualcuno”, conclude Petrović.
Il giudizio generale di Reporter senza frontiere è che nel 2015 vi è stato “un profondo e preoccupante deterioramento della libertà di stampa” in tutto il mondo e che “molti dei leader mondiali stanno sviluppando una forma di paranoia nei confronti del giornalismo legittimamente esercitato”. Il clima di paura, si afferma nel rapporto, sta provocando una crescente avversione al dibattito e al pluralismo, un giro di vite sui media da parte di governi sempre più autoritari e oppressivi, mentre il modo in cui i media privati riportano notizie risulta sempre più plasmato da interessi personali.
Stando al giudizio di RSF, la sopravvivenza del giornalismo indipendente, sia che si tratti di media pubblici o di quelli privati, non è per nulla scontata, essendo costantemente minacciata da intimidazioni ideologiche, soprattutto di carattere religioso, nonché dalle varie macchine propagandistiche.
Nel rapporto si rileva inoltre che gli oligarchi, in tutto il mondo, stanno diventando proprietari dei media, esercitando così una nuova pressione sulla libertà di stampa che si aggiunge a quella già esercitata dai governi, alcuni dei quali non esitano persino a sospendere l'accesso a internet o a distruggere locali e attrezzatura dei media sgraditi.
Si fa infine notare che i giornalisti, al giorno d'oggi, rischiano dure condanne per “insulto al presidente“, “diffamazione“ o “sostegno al terrorismo“, e che la situazione è ulteriormente aggravata dal diffondersi dell'autocensura.
Quanto ai paesi in cui, stando all'ultimo World Press Freedom Index, le condizioni di lavoro per i giornalisti sono migliori, in cima alla classifica, per il sesto anno consecutivo, è la Finlandia, seguita da Olanda, Norvegia e Danimarca, mentre a completare la top ten sono Nuova Zelanda, Costa Ricca, Svizzera, Svezia, Irlanda e Giamaica.
In fondo alla graduatoria, invece, troviamo Cina, Siria, Turkmenistan, Corea del Nord ed Eritrea.
Riassumendo dal punto di vista regionale, l'Europa anche quest'anno rimane al vertice della classifica, mentre il continente americano, il cui Sud risulta scosso da “un crescendo di violenza contro i giornalisti“, viene superato dall'Africa. Seguono l'Europa dell'Est e l'Asia Centrale, mentre la regione in cui i giornalisti “continuano a subire soprusi di ogni tipo“ resta quella nordafricana e mediorientale.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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