Marcia di protesta degli operai della Yumco (foto: okradio)

Marcia di protesta degli operai della Yumco (foto: okradio )

Nel mese segnato dalle proteste in Bosnia Erzegovina, anche in Serbia è stagione di scioperi, motivati da ritardi nel pagamento degli stipendi e dalla mancata regolarizzazione dei contributi previdenziali. Con le elezioni politiche di marzo si preannuncia un’intensificazione delle proteste

24/02/2014 -  Tijana Morača Belgrado

Le proteste che hanno avuto luogo in Serbia nell’ultimo mese sono state organizzate dai lavoratori di tre aziende in “ristrutturazione”. In questa posizione si trovano 153 società serbe, che lo Stato, attraverso investimenti diretti e il ripianamento dei debiti, dovrebbe predisporre per la vendita e la conseguente privatizzazione. Il piano del governo serbo, secondo l’impegno preso con la Banca mondiale, è di concludere il processo di ristrutturazione entro l’estate. Questo potrebbe significare la chiusura delle aziende per le quali non si trovi un acquirente, e il possibile licenziamento di alcune decine di migliaia di persone.

Stipendi bassi e in forte ritardo

Per molte aziende la ristrutturazione è diventata una condizione quasi permanente, a seguito della quale non vengono garantiti né il pagamento degli stipendi ai lavoratori, né il versamento dei contributi previdenziali, né la copertura sanitaria. In Serbia, circa 50.000 impiegati non ricevono lo stipendio ormai da anni. La maggior parte di loro sono proprio lavoratori di aziende in fase di ristrutturazione. I sindacati sommano a questa cifra le circa 100.000 persone che hanno un lavoro, ma i cui stipendi sono in arretrato anche di 12 mesi. Sono queste le ragioni dietro alle tre proteste che si sono verificate nel corso delle ultime settimane. Nel frattempo sono state indette le elezioni politiche anticipate, e la campagna elettorale, che vede i politici a caccia di voti, è purtroppo una delle rare occasioni in cui i lavoratori possano vedere accolte le loro istanze.

I lavoratori della fabbrica Yumco di Vranje hanno dichiarato lo sciopero generale a gennaio. La protesta si è però radicalizzata il 12 febbraio, quando circa mille operai hanno bloccato per dieci ore l’autostrada per la Macedonia.

A discutere con Osservatorio Balcani e Caucaso della situazione di quello che fu un gigante dell’industria tessile jugoslava, e che oggi dà lavoro a più di 1.700 persone, c’è Snežana Veličković dell’Associazione sindacati liberi e indipendenti: “Gli stipendi sono inferiori al costo minimo del lavoro, tra i 7.000 e i 15.000 dinari al mese [tra 60 e 130 euro, nda]. Oltre a essere bassi, gli stipendi non vengono pagati. Al momento le mensilità in arretrato sono otto, l’ultimo stipendio pagato è quello di maggio; alcuni lavoratori hanno ricevuto la retribuzione di giugno, ma questo è accaduto più di due mesi fa. I libretti sanitari non sono stati convalidati. Io mi sono offerta di portare quelli del governo casa per casa perché vedano la miseria in cui vivono i lavoratori, che non ricevono abbastanza né per mangiare né per pagare le bollette. La situazione è simile a quella di altre fabbriche di Vranje, e ci sono casi di famiglie in cui entrambi i coniugi, pur lavorando in fabbriche diverse, non percepiscono lo stipendio da mesi”.

Con l’ultima protesta e il blocco dell’autostrada, i lavoratori della Yumco sono riusciti a negoziare un incontro con i rappresentanti del governo, con i quali è stato raggiunto un accordo che prevede l’erogazione di un sussidio equivalente a due stipendi minimi (lo stipendio minimo mensile è di circa 200 euro) e la convalida dei libretti sanitari.

Nello stesso periodo si sono mobilitati anche i lavoratori della Fabrika vagona (Fabbrica di vagoni) di Kraljevo, nella Serbia centrale. La protesta ha assunto toni più agguerriti il 10 febbraio, quando i dipendenti della Fabrika, a cui nel frattempo si erano uniti i dipendenti di altre due imprese, hanno occupato i binari della ferrovia, interrompendo così la circolazione dei treni nella regione.

Baratro esistenziale

Ai lavoratori che fanno parte di questo collettivo non sono state corrisposte in media diciotto mensilità; inoltre, i libretti sanitari non sono stati convalidati, e i contributi previdenziali non sono stati regolarizzati. I lavoratori sono ufficialmente in sciopero da maggio del 2013, ma non hanno ancora ottenuto nulla. Molti di loro hanno dichiarato di trovarsi di fronte a un baratro esistenziale. Una delle richieste era che venisse corrisposto loro l’equivalente di due paghe minime, denaro necessario per coprire le spese quotidiane e pagare le bollette.

Dal momento che neanche questa richiesta è stata accolta, i dimostranti hanno deciso di inasprire la protesta bloccando la ferrovia, e solo così sono riusciti ad avviare un negoziato con il governo. Tuttavia, la replica li ha lasciati insoddisfatti: la maggior parte delle richieste non potrà essere accolta prima della formazione del nuovo governo dopo le elezioni. Si è quindi deciso di continuare la protesta.

Richieste simili sono state avanzate dagli operai della fabbrica di veicoli ferroviari Želvoz di Smederevo, che chiedono la validazione dei libretti sanitari e il pagamento delle ultime sei mensilità. Questo è solo l’ultimo episodio di una mobilitazione che dura ormai da anni, da quando cioè la fabbrica è stata venduta a un consorzio romeno nel 2007. A seguito del mancato rispetto degli obblighi previsti dal programma sociale e della discontinuità nell’attività produttiva, il contratto di privatizzazione è stato annullato nel 2011, e la partecipazione di maggioranza nella società per azioni della Želvoz è stata acquisita dallo stato.

L’ultima protesta ha avuto luogo a metà gennaio: gli operai hanno fatto irruzione nella sede del governo municipale, dove alcuni hanno anche trascorso la notte; inoltre, è stato proclamato uno sciopero della fame, e sono state bloccate alcune vie della città. Il 16 febbraio, dopo un mese di blocco, gli operai hanno ottenuto che il vicepremier Aleksandar Vučić, in visita a Smederevo per la campagna elettorale, si rivolgesse a loro durante il suo comizio.

Saša Milovanović, presidente del Movimento sindacale dei lavoratori (sindacato attivo presso la fabbrica Želvoz) descrive per Osservatorio le fasi iniziali dell’incontro: “Ci è stato detto che stava arrivando Vučić, quindi ci siamo diretti verso la sede del suo partito, dove il politico avrebbe dovuto fare la sua apparizione. Tuttavia, simpatizzanti e membri del partito hanno cominciato a infiltrarsi tra le nostre fila, per dare l’apparenza di essere un unico raggruppamento. Allora noi della Želvoz abbiamo deciso di distinguerci da loro sedendoci per terra, visto che il nostro non era un raduno di carattere politico, ma di natura sindacale e socio-economica. E dato che ci sentiamo cittadini di seconda classe - mentre i politici sono di prima classe - ci siamo seduti per terra per marcare questa differenza”.

In quell’occasione, ai lavoratori della Želvoz è stato promesso che lo stato aiuterà la fabbrica a restare aperta, e che nella settimana seguente sarebbero stati affrontati i problemi più urgenti. Anche se gli scioperanti hanno poi accettato di cessare l’occupazione del municipio, un nuovo raduno è annunciato per il 3 di marzo nel caso in cui l’accordo non dovesse essere rispettato.

Proteste operaie che durano da anni

Gli scioperi a Vranje, Kraljevo e Smederevo fanno parte di una serie di proteste operaie che in Serbia durano già da anni. Esse sollevano richieste molto simili a quelle che in questi giorni hanno portato sulle strade il popolo della Bosnia Erzegovina , dove molti dimostranti sono appunto operai di aziende privatizzate o in bancarotta, privati dei loro diritti.

Resta da vedere in che misura i lavoratori e i sindacati in Serbia riusciranno, come hanno fatto le proteste in Bosnia Erzegovina, a portare l’attenzione sulla povertà, sulle disuguaglianze e sulle malversazioni della privatizzazione quali questioni chiave del processo di transizione. Nonostante buona parte della popolazione in Serbia (e in Bosnia Erzegovina) sia afflitta da questi problemi, i partiti politici non sembrano prenderli seriamente in esame, né si differenziano in termini di approccio. Anche se adesso la rivolta generale contro la povertà e le disuguaglianze in Bosnia Erzegovina appare comprensibile anche alle élite politiche, alla comunità internazionale e alle organizzazioni non governative, resta il fatto che fino a tre settimane fa la questione era presente solamente nella sfera invisibile e isolata delle svigorite proteste operaie.

Uno degli slogan delle recenti proteste in Serbia è “Stipendi, non elezioni”, il che segna probabilmente la distanza dalle élite politico-economiche.


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