Alcune ragazze su una panchina in centro a Belgrado - © BalkansCat/Shutterstock

Alcune ragazze su una panchina in centro a Belgrado - © BalkansCat/Shutterstock

Scuola, mondo del lavoro, libertà personali: ragazze e ragazzi in Serbia non sono stati e non sono al centro delle priorità delle istituzioni in Serbia in questo periodo di pandemia. Del resto non lo erano neppure prima

21/07/2021 -  Ivana Draganić

Cercare di comprendere la realtà sociale e politica della Serbia è complesso non solo per via della mancanza di dati ufficiali su molti fenomeni che caratterizzano la società serba, ma anche, e soprattutto, a causa della tendenza, che attraversa ormai gran parte del mondo politico e accademico, a strumentalizzare i dati per soddisfare vari interessi particolaristici. Una tendenza che va di pari passo con una sostanziale indifferenza dell’élite al potere nei confronti delle problematiche che riguardano le fasce più vulnerabili della popolazione.

La pandemia da Covid-19 poi non ha fatto altro che mettere a nudo tutte le storture di un sistema politico ed economico sempre più aggressivo e insofferente verso i diritti fondamentali dei cittadini.

L’emergenza sanitaria ha funto quindi da lente di ingrandimento. Tra le cose emerse il fatto che i giovani rappresentano una delle categorie più vulnerabili e marginalizzate della società serba. 

Pandemia e diritti dei giovani

Nell’aprile 2021, il Centro per i diritti umani di Belgrado (BCLJP) ha pubblicato un rapporto sulla situazione dei diritti umani dei giovani in Serbia [Izveštaj o ljudskim pravima mladih u Republici Srbiji u 2020. godini] che affronta in modo approfondito il tema dei diritti della popolazione giovanile, fornendo inoltre un primo bilancio degli effetti della pandemia da Covid 19 sull’effettivo godimento dei diritti e delle libertà da parte dei giovani.

Il rapporto è basato sui dati ottenuti sia dalle istituzioni dello stato sia da diverse organizzazioni che si occupano della difesa dei diritti umani, nonché su informazioni emerse da interviste con rappresentanti delle istituzioni e con soggetti impegnati a garantire l’esercizio dei diritti fondamentali da parte dei giovani.

Limitando lo sguardo ad alcuni degli ambiti della vita delle giovani generazioni maggiormente colpiti dalla pandemia – come istruzione, salute, lavoro, libertà e sicurezza personale – emerge con chiarezza che la crisi sanitaria, ovvero il modo in cui è stata gestita dall’élite al potere, ha solo amplificato le difficoltà e i disagi che ormai da tempo sono parte integrante della realtà quotidiana dei giovani in Serbia.

Diritto all’istruzione

L’istruzione è stata senz’altro uno degli ambiti più sconvolti dall’emergenza sanitaria, soprattutto nei paesi, come la Serbia, dove il sistema scolastico già prima dello scoppio della pandemia non era in grado di raggiungere i suoi principali obiettivi, tra cui quello di garantire l’inclusione scolastica di alunni variamente svantaggiati e di offrire agli studenti l’opportunità di acquisire competenze e conoscenze utili per inserirsi nel mercato del lavoro. Stando infatti al rapporto PISA 2018 (Programme for International Student Assessment), in Serbia solo il 47% degli studenti acquisisce a scuola competenze di base necessarie per accedere al mercato del lavoro, a fronte di una media dei paesi Ocse del 77%.

Ragazze a Belgrado - © BalkansCat/Shutterstock

Girls in Belgrade - ©BalkansCat/ Shutterstock

Durante la pandemia, e soprattutto durante lo stato di emergenza (proclamato il 15 marzo e revocato il 6 maggio 2020), è emerso un forte divario socio-economico tra studenti, un divario di lunga data che va ben oltre quello digitale, rispecchiando le profonde disuguaglianze radicate nella società serba, come ad esempio la marginalizzazione dell comunità rom o il divario nord-sud del paese. Secondo una ricerca citata nel rapporto del BCLJP, realizzata dall’Unione degli studenti delle scuole superiori in Serbia (UNSS), il 37% degli studenti è costretto a condividere il computer con i propri familiari, mentre il 14,7% degli studenti non possiede alcun computer.

Non stupisce quindi se – come dimostra un'indagine condotta da KOMS (organizzazione ombrello che riunisce le associazioni giovanili in Serbia) – il 26% degli studenti non abbia avuto la possibilità di usufruire della didattica a distanza durante lo stato di emergenza, percentuale che sale addirittura al 42% tra gli studenti che vivono in zone remote e frequentano la scuola in piccole città fino a 10mila abitanti. Non deve sorprendere nemmeno il fatto che il 29,6% dei giovani che hanno usufruito della didattica a distanza abbia espresso un giudizio molto negativo sulla qualità delle lezioni, ritenute tra l’altro poco inclusive (le lezioni infatti spesso non sono state fatte utilizzando la didattica a distanza ma trasmesse esclusivamente sui canali televisivi, non permettendo così alcun tipo di interazione), né tanto meno il fatto che il 36,5% dei giovani ritenga di non aver avuto accesso ad un’istruzione adeguata durante la pandemia.

Secondo quanto emerso da un’inchiesta realizzata dal Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS), durante lo stato di emergenza uno studente diversamente abile su sette è stato di fatto escluso da ogni forma di didattica.

Diritto al lavoro

Un altro ambito in cui la pandemia ha messo in luce tutta la fragilità e la vulnerabilità della condizione dei giovani in Serbia è quello del lavoro.

Nel corso del 2020, alcuni funzionari dello stato, compresa la premier Ana Brnabić, hanno ripetutamente sottolineato che la disoccupazione giovanile sarebbe scesa “ai minimi storici“. Un dato però che, se viene contestualizzato, si rivela tutt’altro che positivo.

Se è vero – come dimostrano i dati pubblicati dall’Istituto nazionale di statistica (RZS) – che in Serbia negli ultimi anni il tasso di disoccupazione dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni è sceso notevolmente, passando dal 52,5% all’inizio del 2014 al 26,6% nel 2020, è altrettanto vero però che nel 2020 il tasso di giovani inattivi 15-24 (cioè quelli che magari studiano ma che non lavorano né sono in cerca di un’occupazione) ha sfiorato il 71,7% (il più alto degli ultimi anni), mentre la quota dei cosiddetti NEET (giovani che non lavorano né studiano) ha raggiunto il 15,9% (segnando un aumento di 0,6 punti percentuali rispetto al 2019). Inoltre da prendere in considerazione che ben il 24,3% dei lavoratori occupati nell’economia sommersa è rappresentato da giovani.

Dati, questi ultimi, che non sono tanto dovuti all’emergenza sanitaria, bensì si spiegano con la crescente precarizzazione e sottoqualificazione della forza lavoro giovanile, fenomeni che hanno un forte effetto scoraggiante sui giovani in cerca di lavoro, sempre più convinti dell’impossibilità di trovare in Serbia un impiego dignitoso che corrisponda alle loro qualifiche, e quindi sempre più spinti a emigrare in cerca di un futuro.

La pandemia ha inoltre messo in evidenza tutta l’ipocrisia e l’inadeguatezza delle politiche “attive” rivolte ai giovani promosse dall’attuale governo di Belgrado, che nell’estate 2020 ha lanciato un programma di incentivazione per l’assunzione dei giovani, per molti versi controverso, tra l’altro perché prevede una nuova forma di contratto che secondo i critici sarebbe addirittura non conforme alla normativa vigente in materia di lavoro. Un programma che si inscrive perfettamente in una tendenza più generale verso la riduzione dei diritti dei lavoratori, rendendo i giovani, già prima della pandemia relegati ai margini del mondo del lavoro, una delle categorie occupazionali maggiormente a rischio.

Libertà, sicurezza personale e salute mentale

Che durante l’emergenza sanitaria il governo serbo abbia poco tutelato i diritti dei giovani lo dimostra anche la decisione, annunciata nel luglio 2020, pochi giorni dopo le elezioni politiche, di introdurre tra le nuove misure restrittive, la chiusura delle residenze universitarie. Un annuncio che ha scatenato forti proteste degli studenti che già nell’aprile 2020, durante lo stato di emergenza, si erano visti costretti ad abbandonarle.

Durante le manifestazioni, represse con violenza brutale e spropositata, molti giovani sono stati posti in stato di fermo o arrestati, vedendosi negare tutta una serie di diritti che spettano alle persone private della libertà, tra cui – come si legge in un rapporto redatto dal Meccanismo nazionale di prevenzione della tortura – il diritto di avvalersi di un difensore e il diritto di informare i propri familiari dell’accaduto. Alcuni giovani hanno inoltre denunciato di aver subito maltrattamenti e violenze da parte degli agenti di polizia nel corso delle proteste e poi durante l’arresto: gli avvocati del Centro per i diritti umani di Belgrado attualmente stanno assistendo 18 persone – di cui 13 al di sotto dei 30 anni – che hanno subito abusi e violenze da parte della polizia durante le proteste del luglio 2020.

Belgrado - Alex Linch/Shutterstock

Belgrade - Alex Linch/Shutterstock

Date queste premesse, è del tutto comprensibile che il 41,4% dei giovani intervistati da KOMS abbia giudicato insoddisfacente la reazione delle istituzioni serbe durante lo stato di emergenza, percentuale che sale al 58,9% in merito al comportamento delle autorità dopo la revoca dello stato di emergenza.

Per quanto riguarda altri sentimenti provati durante la pandemia, i giovani intervistati hanno parlato di incertezza (51%), rabbia (36%), paura (34,5%), depressione (33,9%), senso di inutilità (32,6%), disperazione (21,7%), attacchi di panico (21,5%), ma anche di preoccupazione per la propria famiglia e gli amici (57,5%) e per il futuro (45,7%).

Un altro aspetto da sottolineare è che – pur essendo stati costantemente bollati da gran parte dei politici e dei media come “irresponsabili” ed “egoisti”, e accusati di essere principale fonte di contagio – durante lo stato di emergenza molti giovani, più precisamente il 23% di quelli intervistati, hanno dichiarato di aver svolto attività di volontariato, e di questi il 78,7% ha fatto volontariato in modo spontaneo, ad esempio aiutando i vicini di casa e anziani.

Durante la pandemia è quindi emerso chiaramente che i giovani, pur rappresentando una delle categorie più vulnerabili e svantaggiate della società serba, sono capaci di dimostrare resilienza e forza di battersi per i propri diritti, oltre che una rilevante solidarietà verso i più bisognosi.

 

 


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