Non cessa in Serbia la pressione sui media non allineati al regime. Recentemente è tornata nel mirino del presidente serbo la tv N1 per aver mandato in onda video esclusivi che Vučić avrebbe preferito nascondere
Il presidente serbo Aleksandar Vučić ama presentarsi come un democratico dedito all’integrazione europea del paese, un leader che porta stabilità e riconciliazione nella regione, un politico che si impegna quotidianamente per tirare fuori il paese dalla povertà e trasformarlo in un paradiso per gli investitori. Con questo tipo di messaggi Vučić si è guadagnato la fiducia dei funzionari internazionali e della maggior parte degli elettori serbi, che ormai da cinque anni sostengono il suo regime.
Il suo sforzo quotidiano – fatto di apparizioni in pubblico, dichiarazioni e interviste – di fornire un’immagine ideale di sé come di un politico dedito esclusivamente a migliorare la vita dei cittadini, è ostacolato da quei pochi giornalisti e media che osano porgli domande scomode e riportare notizie di vicende e insuccessi che egli vorrebbe nascondere.
È in tali occasioni che il presidente Vučić dimostra tutta la forza del suo potere autocratico, grazie al quale è riuscito a screditare quasi tutte le istituzioni del paese e di imporre il proprio controllo diretto sulla maggior parte dei media serbi.
Quasi quotidianamente siamo costretti ad ascoltare le accuse, lanciate da Vučić e dai suoi stretti collaboratori, nei confronti di giornalisti bollati come traditori che agiscono contro lo stato, associazioni giornalistiche che ricevono soldi dall’estero per fabbricare scandali, mercenari al soldo di potenze straniere che minacciano il governo e lo stesso presidente.
Così anche la redazione serba dell’emittente televisiva regionale N1 è recentemente finita di nuovo nel mirino delle accuse di Vučić, per aver riportato, pubblicando video esclusivi, la notizia di un incidente, risalente a tre anni fa, che ha visto come protagonista suo fratello.
Lo scandalo che Vučić non è riuscito a nascondere
L'incidente è avvenuto il 28 settembre 2014 durante il Gay Pride di Belgrado, che è sempre un evento ad alto rischio, con una massiccia presenza delle forze dell’ordine e la predisposizione di uno spazio, ben preciso e recintato, riservato al corteo dei membri e sostenitori della comunità LGBT.
Durante l’edizione precedente del Pride, tenutasi nell’ottobre 2010, sono rimaste ferite 140 persone e messi in stato di fermo oltre 200 simpatizzanti di estrema destra che aggredivano i cittadini e vandalizzavano il centro città, incendiando automobili e spaccando vetrine.
Per cui non nessuna sorpresa quando - quattro anni più tardi - sono state dispiegate ingenti forze di polizia per garantire la sicurezza della manifestazione. Numerose equipe di giornalisti hanno seguito l'evento e le telecamere dell’emittente N1 hanno ripreso un incidente che ha visto un gruppo di gendarmi pestare alcuni civili. Mentre riprendevano, i giornalisti erano all’oscuro dell’identità delle persone aggredite, e solo in un secondo momento hanno ricevuto l'informazione dagli agenti di polizia che li hanno visti filmare.
Quello stesso giorno la tv N1 ha pubblicato il video dell’incidente, riportando, sulla base di informazioni ricevute dalla polizia, che ad essere picchiati sono stati Andrej Vučić, fratello dell’allora premier Aleksandar Vučić, e Predrag Mali, fratello del sindaco di Belgrado, nonché alcuni membri dell’unità speciale militare “Kobre” che li scortavano.
Si è saputo in seguito che alcuni gendarmi, che erano dispiegati lungo il perimetro dell’area destinata allo svolgimento della manifestazione, avevano fermato Andrej Vučić, il suo amico e i membri della loro scorta e, senza sapere chi fossero, avevano chiesto loro di mostrare i documenti. Questi ultimi si sono però rifiutati di farlo, cercando di forzare il passaggio, scatenando così la rissa.
È tuttora in corso il procedimento penale nei confronti di otto gendarmi coinvolti nell’incidente, accusati di abuso d’ufficio e di oltraggio a pubblico ufficiale nell’esercizio delle sue funzioni, nonché di maltrattamenti e tortura. Al processo hanno testimoniato anche i giornalisti dell’emittente N1 che avevano ripreso da vicino il controverso episodio. Il filmato è la principale prova nel processo in corso.
Nel frattempo sono emerse numerose altre questioni che oltrepassano l’ambito di questo procedimento. Una di esse, ancora in attesa di risposta, è perché i familiari dell’allora premier e del sindaco di Belgrado avevano a disposizione una scorta militare che, stando alla legge, non spetta loro.
Attacchi e intimidazioni al posto delle risposte
Ogni volta che è stato sollecitato a esprimersi su questa vicenda, Aleksandar Vučić ha risposto che i membri della sua famiglia e lui stesso erano bersaglio di diversi attacchi, compreso quello in questione.
Alla domanda rivoltagli recentemente, nel corso di una trasmissione andata in onda su tv Pink, su alcuni articoli che hanno svelato l’identità degli uomini responsabili dell’attacco contro i giornalisti avvenuto durante la manifestazione organizzata in occasione della cerimonia del suo insediamento da neopresidente, Vučić ha risposto con una contro-domanda, lanciando nuove accuse.
“E quelli che hanno pestato mio fratello… loro non sono picchiatori? Le mie lacrime non le ho mostrate in pubblico, pur avendo pianto per 24 ore. Oggi sono pressoché sicuro che sia stato intenzionalmente picchiato perché è mio fratello”, ha dichiarato Vučić, aggiungendo ironicamente: “E casualmente, proprio in quel momento è sbucata una telecamera dell’emittente americana [N1, nda] per filmarlo”.
Questa sua dichiarazione è senz’altro arrivata anche ai giudici incaricati del processo nei confronti dei gendarmi coinvolti nell’incidente, e dalla sentenza si dedurrà come l’hanno recepita.
Reagendo alle accuse del presidente Vučić, Jugoslav Ćosić, direttore del canale N1 Serbia, ha rivelato a quali pressioni fosse stato sottoposto per via del video del pestaggio. Sui suoi account social Ćosić ha scritto che tra le falsità pronunciate da Vučić nei confronti della TV N1 la più grande è quella secondo cui questa emittente sapeva che “suo fratello sarebbe stato picchiato”, rendendo inoltre noto che il giorno dell’incidente aveva ricevuto una telefonata dall’allora capo dell’intelligence serba (BIA) Aleksandar Đorđević.
“Mi ha riferito che il desiderio di Vučić era che non pubblicassimo il video dell’incidente ripreso durante il Gay Pride. Lo abbiamo pubblicato”, ha scritto Ćosić aggiungendo: “Dopo aver rifiutato il suggerimento del capo della BIA di NON pubblicare il video dell’incidente che vede protagonista Andrej Vučić, ho rifiutato la stessa richiesta rivoltami dalla responsabile dell’ufficio relazioni con il pubblico di Vučić”.
In un'intervista rilasciata al portale Cenzolovka, Suzana Vasiljević, responsabile dell’ufficio per le relazioni con il pubblico del presidente Vučić, ha confermato di aver chiamato Ćosić, spiegando che “non si trattava di pressione”, bensì di “una richiesta amichevole” di non pubblicare subito il video in modo da poter preparare la madre e la figlia di Andrej alla notizia dell’accaduto.
Media indipendenti considerati una minaccia
N1 è uno dei pochi media in Serbia che ancora resistono alle pressioni e fanno informazione indipendente. Questa emittente regionale – con centri di produzione a Belgrado, Zagabria e Sarajevo – è di proprietà, come si legge sul sito ufficiale , della società United Group, il cui azionista di maggioranza è il fondo di investimento KKR con sede a New York. La Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo detiene una quota del capitale dell’emittente, che è partner regionale esclusivo della rete CNN.
Il canale tv N1 è trasmesso esclusivamente tramite operatori via cavo, che coprono circa il 60% del territorio della Serbia. Oltre che in Serbia, Bosnia Erzegovina e Croazia, il canale è visibile anche in Macedonia, Montenegro e Slovenia.
Tale struttura proprietaria e area di copertura, una redazione composta da noti professionisti, nonché il fatto che i cittadini serbi si informano per lo più tramite media elettronici, sono motivi sufficienti per trasformare N1 in una minaccia alla leadership al potere che sta cercando in ogni modo, e in buona parte ci riesce, di imporre il proprio controllo sui media.
Questa non è la prima volta che il presidente Vučić si scaglia con pesanti accuse contro l’emittente N1. Nel gennaio dello scorso anno, i giornalisti del canale tv gli hanno chiesto di commentare una fotografia apparsa sui media che mostrava il ministro della Salute Zlatibor Lončar in compagnia del leader del clan di Zemun, coinvolto nell’omicidio del premier Zoran Đinđić, assassinato nel 2003.
Invece di rispondere, Vučić ha accusato N1 di collaborare con i narco-clan, con “noti criminali condannati per traffico e spaccio di droga ai nostri figli”, senza fornire alcuna spiegazione su che cosa fondasse tali accuse.
N1 non è l’unico media a subire quasi quotidianamente pressioni e denigrazioni da parte del presidente, dei suoi collaboratori e dei giornalisti di regime che lo appoggiano incondizionatamente. Questa immagine della Serbia non è visibile al di fuori dei suoi confini, entro i quali l’orizzonte si fa sempre più buio e angusto per chiunque cerchi di sollecitare qualsiasi domanda e mettere in discussione le “verità assolute” professate da Aleksandar Vučić.
Questa pubblicazione è stata prodotta nell'ambito del progetto European Centre for Press and Media Freedom, cofinanziato dalla Commissione europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto
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