Un giornalista serbo, un membro dell’intelligence serba (BIA) e il leader del Partito democratico serbo di Macedonia coinvolti nei recenti eventi accaduti a Skopje. Un'analisi
Il cosiddetto “scenario macedone”, di cui ormai da mesi parlano i funzionari dell’esecutivo serbo e i media ad esso vicini, accusando l’opposizione di voler innescare – sulla scorta di quanto avvenuto in Macedonia e col presunto appoggio di poteri esterni al paese - violenze per le strade della capitale, è ritornato a Belgrado come un boomerang.
Negli ultimi giorni, la storia dello “scenario macedone” ha infatti assunto una nuova dimensione, venendo ulteriormente attualizzata alla luce della notizia che alcuni membri della BIA (l’intelligence serba) e giornalisti serbi sono stati direttamente coinvolti nei recenti eventi accaduti a Skopje, agendo a favore dell’ormai ex premier macedone Nikola Gruevski.
La scorsa settimana il portale di giornalismo investigativo KRIK ha riportato, citando fonti dell’intelligence macedone, le trascrizioni di conversazioni telefoniche tra Goran Živaljević, membro della BIA, e Ivan Stoilković, presidente del Partito democratico serbo della Macedonia, in cui i due discutevano su come svolgere un’azione di propaganda, coinvolgendo il giornalista serbo Miroslav Lazanski, contro la coalizione [allora di opposizione] guidata dal leader socialdemocratico Zoran Zaev.
Alcuni giorni prima è trapelata la notizia della presenza di Živaljević nell’edificio del parlamento macedone durante gli scontri del 27 aprile scorso, nei quali sono rimasti feriti alcuni membri del partito socialdemocratico, compreso lo stesso Zaev.
L’aprirsi di una prospettiva del tutto diversa da cui considerare lo “scenario macedone” è piuttosto imbarazzante per le autorità serbe. Poiché la Belgrado ufficiale si è trovata nella posizione di dover spiegare le attività di un suo diplomatico di stanza a Skopje, ufficialmente in qualità di rappresentante dell’intelligence serba. Certo, l’autenticità delle trascrizioni di conversazioni intercettate sarà difficile da provare formalmente, ma le prove attestanti la presenza di Živaljević al parlamento macedone sono piuttosto convincenti. Del resto, lui stesso ha dichiarato a un’emittente televisiva macedone di esservisi recato nella notte degli scontri.
Il tutto è stato accompagnato da misure e contromisure solitamente intraprese in casi del genere. Le prime ad agire sono state le autorità macedoni, convocando l’ambasciatrice serba a Skopje, Dušanka Divjak-Tomić, al ministero degli Esteri per chiarimenti in merito alla presenza di Živaljević al parlamento macedone durante gli scontri. A seguito della pubblicazione di trascrizioni di intercettazioni telefoniche la parte serba ha risposto con una misura reciproca, convocando l’ambasciatrice macedone a Belgrado Vera Jovanovska Tipko a colloquio presso il ministero degli Esteri.
Secondo quanto riportato dai media serbi, all’ambasciatrice macedone è stato chiesto di spiegare come le trascrizioni di intercettazioni di cui sopra fossero trapelate in pubblico e se presso il ministero degli Esteri macedone fossero stati convocati gli ambasciatori di tutti i paesi i cui rappresentanti dell’intelligence erano presenti all’interno del parlamento di Skopje durante gli scontri, oppure solo l’ambasciatore serbo.
L’ambasciatrice ha risposto, come c’era da aspettarsi, che l’intelligence macedone non dispone di informazioni sull’eventuale presenza dei rappresentanti di altri servizi segreti stranieri all’interno del parlamento macedone nella notte degli scontri, e che non si ha alcun indizio su come le trascrizioni di intercettazioni in questione siano finite sui media.
Agente controverso
L’emittente televisiva macedone “Telma” ha riportato che Živaljević era presente nell’edificio del parlamento macedone il 27 aprile scorso quando un gruppo di manifestanti vi ha fatto irruzione in segno di protesta per l’elezione di un esponente della minoranza albanese a nuovo presidente dell’assemblea.
La spiegazione di Živaljević, che ha affermato di esserci andato per dovere d’ufficio, per vedere se tra i partecipanti ai disordini vi fossero cittadini serbi, membri delle tifoserie o di gruppi estremisti, appare poco convincente e ingenua. Tanto più perché non vi sono dati che indichino che Živaljević, prima di recarsi al parlamento, abbia informato i servizi segreti macedoni della sua intenzione di farlo, chiedendo apposita autorizzazione, come previsto dalla procedura abituale.
I media macedoni che per primi hanno riportato la notizia che un diplomatico e membro dei servizi segreti serbi era presente all’interno dell’assemblea macedone (Sobranie) al momento dell’irruzione dei manifestanti e durante i disordini che ne sono seguiti, hanno inoltre riferito che questo agente della BIA, ormai al suo terzo mandato come consulente presso l’ambasciata serba a Skopje, era già noto all’opinione pubblica della regione per il suo coinvolgimento in alcune vicende controverse.
Vi sono indizi che Živaljević abbia partecipato all’organizzazione di un incontro, tenutosi a Mosca nel giugno dello scorso anno, dedicato alla firma di una dichiarazione sulla neutralità militare dei Balcani, al quale aveva preso parte anche il sopracitato Ivan Stoilković, presidente del Partito democratico serbo della Macedonia.
Una volta trapelate le informazioni sulla presenza di un diplomatico serbo all’intero dell’assemblea macedone durante gli scontri del 27 aprile, il ministro serbo degli Esteri Ivica Dačić ha dichiarato che Živaljević, recandosi nell’edificio del parlamento nella notte in cui i manifestanti vi hanno fatto irruzione, non ha infranto alcun protocollo diplomatico, in quanto stava solo svolgendo il proprio lavoro.
“Non ha partecipato ad azioni violente, stava solo seguendo l’evolversi della situazione in Macedonia, perché la Serbia deve sapere come tale situazione potrebbe ripercuotersi sui suoi interessi nazionali”, ha detto il ministro, senza però precisare se la procedura prevedesse che per tali ‘visite’ fosse necessario ottenere un’autorizzazione dalla competente autorità macedone.
Alla domanda con chi Živaljević era andato al parlamento macedone, Dačić ha replicato con un certo nervosismo, aggiungendo poi di essere in possesso di un elenco di cittadini macedoni che in Serbia avrebbero organizzato le proteste contro l’ormai ex premier Aleksandar Vučić, aggiungendo che sono ormai due anni che le autorità macedoni ne sono a conoscenza.
Da parte macedone ancora non vi è stata alcuna reazione a queste dichiarazioni, dalle quali si può desumere che Belgrado ritiene che le autorità macedoni si siano direttamente intromesse negli affari interni della Serbia, fomentando le proteste contro l’esecutivo in carica.
È possibile che le autorità serbe dispongano davvero di alcune prove a sostegno di tale ipotesi, ma è altrettanto possibile che si cerchi di manipolare l’intera vicenda allo scopo di ridurre i danni provocati dalla presenza di Živaljević al parlamento macedone durante gli scontri nei quali è rimasto ferito anche Zoran Zaev.
L’attenuarsi delle tensioni
A dispetto di tutto, Serbia e Macedonia stanno cercando di migliorare le relazioni bilaterali. Una decina di giorni fa, Aleksandar Vučić e Zoran Zaev si sono incontrati, insieme ad altri leader della regione, ad una cena informale organizzata a Bruxelles dall’Alto rappresentante dell’UE per la politica estera Federica Mogherini, a seguito della quale hanno entrambi rilasciato dichiarazioni che traspirano ottimismo e comprensione.
Tuttavia, sono mancate reciproche scuse per la retorica e le ‘parole pesanti’ che negli ultimi mesi hanno contrassegnato i rapporti tra Belgrado e Skopje. I due leader si sono comportati come se non gliene importasse più di tanto di quello che è successo, ed era ovvio che entrambi ci tenevano a ‘sotterrare’ al più presto le incomprensioni e a dimostrare di essere pronti a continuare ad impegnarsi per il rafforzamento della pace e della stabilità.
Oggettivamente, Zaev ha ragione di essere scontento perché durante i suoi tentativi di scongiurare l’ostruzionismo del suo principale rivale politico, il leader della coalizione VMRO-DPMNE Nikola Gruevski, che continuava ad ostacolarlo nel formare il governo dopo aver ricevuto il sostegno della maggioranza dei membri del parlamento, i principali media serbi nonché alcuni alti funzionari dell’esecutivo sostenevano apertamente Gruevski.
Ora che è finalmente riuscito a dar vita al nuovo governo, ottenendo il pieno sostegno di Bruxelles e Washington, Zaev vorrebbe stabilizzare al più presto sia i rapporti interni al paese sia quelli con i vicini, ragione per cui si è dimostrato pronto a mettere da parte le dispute con Belgrado.
Le autorità di Skopje hanno inoltre deciso di non ordinare a Živaljević di lasciare il paese, evidentemente optando per un approccio più mite, allo scopo di evitare un ulteriore inasprimento dei rapporti con Belgrado. Avendo appena assunto l’incarico di premier, Zaev ha cose ben più importanti da fare, dato che dovrà compiere sforzi enormi per mantenere la fragile stabilità politica del paese. Quindi il caso Živaljević, insieme ad altri scambi di accuse tra Skopje e Belgrado, verrà lentamente ‘sotterrato’, oppure si troverà un altro modo elegante per rimuoverlo dall’agenda.
Una possibile soluzione potrebbe consistere nella decisione della Serbia di ritirare Živaljević, in un secondo momento, dall’ambasciata a Skopje, senza fare alcuna menzione all’incidente legato alla sua presenza al parlamento macedone.
L’ex vice capo della BIA, Zoran Mijatović, sostiene che si tratta di una grave violazione delle abituali regole di condotta, che il danno è ormai fatto e che alla Serbia converrebbe prendere al più presto la decisione di ritiro di Živaljević da Skopje. Egli inoltre ritiene che, dopo questo incidente, Živaljević non possa più svolgere attività di intelligence.
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