La recente strage di Velika Ivanča, in Serbia, ha portato sotto i riflettori internazionali non solo l'efferato omicidio di 13 persone ma anche l'annosa questione del possesso illegale e non di migliaia di armi da fuoco in tutta la regione balcanica
Sei donne, sei uomini e un bambino di due anni. Tredici persone in tutto. Tante ne ha uccise Ljubiša Bogdanović il 9 aprile, a Velika Ivanča, villaggio serbo situato cinquanta chilometri a sudest della capitale Belgrado. La carneficina è iniziata all’alba. L’uomo, sessant’anni, munito di un’arma da fuoco calibro 9 millimetri, ha dapprima esploso dei colpi contro i suoi stessi familiari, il figlio di 42 anni e la moglie (riuscita a sopravvivere), dopodiché ha bussato alla porta di alcuni vicini e li ha freddati. Infine ha cercato di togliersi la vita, sparandosi, nel momento in cui la polizia è intervenuta. Malgrado le ferite gravissime è rimasto in vita fino a giovedì. Poi il suo cuore ha cessato di battere.
Ljubiša Bogdanović aveva un regolare porto d’armi. Non è dato sapere il motivo che l’ha portato a compiere il folle gesto. Forse c’entrano i ricordi del fronte croato, dove combatté nel 1991; forse il fatto che era da diversi mesi senza lavoro (nel frattempo aveva dato vita a un piccolo allevamento di maiali); forse nessuna delle due questioni. In ogni caso la cosa certa è che quello di martedì scorso è stato il più grave omicidio di massa nella recente storia serba. Era dal 2007, quando al confine con la Bulgaria un uomo ammazzò nove persone, che non si registravano episodi del genere.
Il primo ministro Ivica Dačić, che dopo la strage di Velika Ivanča (venerdì si sono tenuti i funerali) ha subito convocato una sessione d’emergenza del governo e dichiarato un giorno di lutto nazionale, ha affermato che s’impegnerà per rilanciare la questione del gun control. Le armi, in Serbia, sono oggettivamente un problema. In circolazione ce ne sono molte. Troppe.
Quante sono le armi in circolazione?
Sulla scorta dei dati di Gunpolicy.org, centro di ricerca che opera sotto il cappello dell’Università di Sydney, ce ne sarebbero in tutto tre milioni. Trentasette persone su cento, conti alla mano, ne avrebbero una. Solo Stati Uniti, Yemen, Svizzera e Finlandia hanno statistiche più importanti. Di questi tre milioni di armi, 944mila sarebbero detenute illegalmente, si deduce ancora dall’archivio online di Gunpolicy.org. Il quotidiano Večernje Novosti, a fine marzo, ha fornito però un’istantanea molto più critica sulle armi non registrare, che ammonterebbero a tre milioni, tante quante quelle complessivamente in circolazione secondo Gunpolicy.org.
Quale tra le due stime risulta più attendibile? Premesso che la contabilità in materia è molto incerta, quella di Večernje Novosti sembra davvero esagerata. Se non altro perché si fonda su studi di dieci anni fa, dunque non più attendibili, ha osservato sul blog Voices From Eurasia Ðorđe Milošević, della South Eastern Europe Clearinghouse for the Control of Small Arms and Light Weapons (Seesac), organizzazione che si occupa di gun control nei Balcani sotto l’egida dello United Nations Development Programme (Undp) e del Regional Cooperation Council di Sarajevo.
Resta il fatto che le armi, in Serbia, sono una faccenda quantitativamente rilevante, che squaderna tutta una serie di ripercussioni: contrabbando, criminalità e un’alta incidenza di omicidi. Nel 2010 ce ne sono stati 284, vale a dire 3,9 per ogni 100mila abitanti, secondo fonti dell’Organizzazione mondiale della sanità citati da Gunpolicy.org, Stati Uniti (10,3) e Montenegro (8,55) sono gli unici paesi a vantare in merito una media più elevata di quella della Serbia.
Ma è tutta la regione a condividere il fardello. A partire dalla Bosnia, dove nel 2007 le armi – il 19% della popolazione ne ha una in casa – hanno fatto più vittime delle mine inesplose, secondo lo Undp. Sempre l’agenzia dell’Onu, quattro anni più tardi, vale a dire nel 2011, ha reso noto che pistole e fucili illegalmente detenuti a Sarajevo e dintorni ammonterebbero a 750mila unità.
Tuttavia ci sono iniziative finalizzate a contrastare la diffusione di armi e munizioni, nonché a promuoverne la consegna, tramite campagne mirate che sollecitano la gente a sbarazzarsene, sulla base di amnistie temporanee. È proprio la Seesac a essere molto attiva su questo fronte. L’organizzazione ha da poco concluso un programma biennale, sostenuto dall’Unione europea, che ha portato alla distruzione di numerose armi leggere in tutti i Balcani. In Croazia ne sono state eliminate 33.091, in Serbia 45.285. L’atto finale di questo programma è andato in scena a Belgrado, il 20 dicembre, quando alla presenza di Ivica Dačić e di un drappello di funzionari di organizzazioni internazionali sono state macerate 17mila armi, in un colpo solo.
Questa pubblicazione è stata prodotta con il contributo dell'Unione Europea. La responsabilità sui contenuti di questa pubblicazione è di Osservatorio Balcani e Caucaso e non riflette in alcun modo l'opinione dell'Unione Europea. Vai alla pagina del progetto Racconta l'Europa all'Europa.
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