A venticinque anni dall’assassinio del giornalista Slavko Ćuruvija e nove dall’inizio del processo contro i quattro imputati dell’omicidio, dopo una prima condanna nel 2019 e la ripetizione del processo, lunedì 5 febbraio il Tribunale d’Appello di Belgrado ha assolto gli imputati
La notizia è giunta alla fine di un venerdì di una giornata particolarmente intensa: poche ore prima, il presidente della Serbia Aleksandar Vučić aveva annunciato che, a causa della situazione in Kosovo, avrebbe richiesto una convocazione del Consiglio di Sicurezza della Nazioni unite. L’attenzione era quindi concentrata sulle vicende relative al Kosovo e su possibili nuove tensioni.
In questo contesto, è arrivata la notizia che il Tribunale d’Appello di Belgrado ha assolto tutti e quattro gli imputati accusati dell’omicidio di Slavko Ćuruvija.
Ćuruvija, giornalista di grande caratura civica, fu ucciso nell’aprile del 1999 dopo aver criticato il regime di Slobodan Milošević e della moglie Mira Marković. A quel tempo, Vučić era il ministro dell’Informazione.
I quattro imputati sono stati personaggi di grande spicco della Državna bezbednost (DB), l’agenzia di sicurezza del ministero degli Interni jugoslavo, erede della famigerata UDBA. Nello specifico, Radomir Marković allora ne era il capo, Milan Radonjić era a capo del dipartimento di Belgrado, Ratko Romić e Miroslav Kurak due operativi della DB.
Il processo nei confronti dei quattro era iniziato nel 2015 grazie agli sforzi della Commissione per indagare sull’uccisione dei giornalisti in Serbia. La commissione era stata creata nel 2013 dal governo serbo, in cui Vučić era allora vice primo ministro, ed era il risultato della persistente insistenza di Veran Matić, lo storico caporedattore di B92 ai tempi di Milošević, deciso a far chiarezza sugli omicidi di Ćuruvija, Dada Vujasinović e Milan Pantić. Ai tempi dell’inizio del processo, lo stesso Vučić aveva detto che si sarebbe dimesso qualora non fossero stati trovati i responsabili.
Un processo travagliato
Sin dall’inizio quello di Ćuruvija è stato definito come un omicidio di stato e si pensava che il processo avrebbe confermato la verità che tutti conoscevano, cioè che a uccidere Ćuruvija era stato lo stesso stato serbo.
Il processo, iniziato nel 2015, ha visto circa un centinaio di testimoni comparire davanti ai giudici, anche se alcuni personaggi chiave, come la moglie di Milošević, Mira Marković , da molti ritenuta la mandante dell’omicidio, non furono mai sentiti. L’indagine si limitò a considerare i facilitatori e gli esecutori materiali dell’omicidio, senza cercare di scoprire chi furono i mandanti, dato che questo molto probabilmente avrebbe condotto a Mira Marković e Slobodan Milošević.
Altri personaggi chiave che, per la loro appartenenza e il ruolo che ricoprivano alla DB potevano essere indagati , furono invece sentiti solo come testimoni. Numerosi testimoni poi, nel corso delle udienze, ebbero improvvise amnesie o cambiarono le versioni iniziali. Nel corso degli anni si è poi saputo che lo stesso ispettore che conduceva le indagini era stato minacciato e rischiava la vita .
La sentenza di primo grado è stata emessa nel 2019 e i quattro imputati sono stati condannati ad oltre cento anni di carcere. In seconda battuta, però, la sentenza fu rovesciata e il Tribunale d’Appello a settembre 2019 ha ordinato la ripetizione del processo. Il processo è stato ripetuto a partire dall’ottobre 2020 e nel dicembre 2021 il Tribunale di prima istanza ha confermato sostanzialmente la decisione precedente per i quattro imputati. Tale sentenza però è stata alla fine annullata dall’assoluzione di venerdì scorso.
I quattro vengono quindi considerati non colpevoli e sebbene in teoria ci sia ancora la possibilità di ricorso di fronte alla Corte Suprema, le possibilità di successo sono decisamente risicate , come hanno fatto notare gli esperti, e l’assoluzione dei quattro imputati non può esser rimessa in questione. Ad ogni modo, lunedì 5 febbraio la procura ha fatto capire di avere intenzione di presentare ricorso alla Corte Suprema.
Una decisione annunciata
L’assoluzione è una pietra tombale sulle possibilità di avere giustizia nel caso Ćuruvija, ma la decisione non è giunta del tutto inattesa. Sebbene sia stata annunciata solamente lo scorso venerdì, in realtà sembra che fosse già stata presa da diverso tempo.
Lo stesso Veran Matić, nella primavera dello scorso anno, aveva fatto capire che il Tribunale d’Appello aveva già deliberato sul caso dei quattro imputati. A settembre, lo stesso Matić e la Fondazione Ćuruvija avevano scritto che in realtà la sentenza era già stata emessa e che il Tribunale aveva assolto i quattro imputati. Ciò nonostante la sentenza non fosse ancora stata pubblicata, dato che si attendeva il momento più opportuno per renderla pubblica . Lo stesso invito a pubblicare la sentenza era poi stato reiterato dalla Fondazione Ćuruvija a novembre dello scorso anno.
Le autorità non hanno fornito spiegazioni sul perché la pubblicazione della sentenza sia stata ritardata di così tanti mesi. È possibile che le proteste di piazza contro il governo e l’infuocato clima elettorale siano stati gli elementi che hanno consigliato di ritardare la pubblicazione della sentenza, per non esacerbare ulteriormente gli animi.
Le reazioni e le proteste
Nonostante il contenuto della sentenza fosse stato largamente anticipato e il fatto che la notizia sia stata comunicata poco prima del weekend, la decisione sull’assoluzione ha comunque provocato parecchio scalpore in Serbia.
Perica Gunjić della Fondazione Ćuruvija è lapidario: “La decisione è scandalosa e rappresenta una sconfitta non solo per i giornalisti e la libertà di stampa, ma per l’intera indipendenza del sistema giudiziario e per lo stesso processo di democratizzazione”.
In quanto al processo Gunjić commenta che “il tribunale durante l’intero processo ha adottato molte decisioni strane, che indicavano che c’era qualcosa di storto. Le stesse due decisioni di prima istanza sono state scritte in modo approssimativo, come se vi fosse l’intenzione di farle annullare in seconda istanza”. Questa decisione, conclude Gunjić rappresenta il “ritorno immediato agli anni '90, al periodo più buio della nuova storia della Serbia, ai tempi delle guerre, ai tempi di Slobodan Milošević”.
Matić ha poi commentato che è venuta meno sia la volontà politica che il ruolo delle istituzioni, soprattutto per quanto riguarda il settore giudiziario, che di fatto rimane ancorato agli anni ‘90.
Lo stesso Matić ha poi commentato che nei prossimi giorni discuterà sul futuro della commissione che indaga l’uccisione dei giornalisti e su quanto abbia ancora senso che esista. Unione Europea, OSCE e numerosi altri membri della comunità diplomatica hanno espresso la propria delusione per l’assoluzione.
Lunedì 5 febbraio inoltre si è tenuta una protesta davanti al Tribunale d’Appello di Belgrado, organizzata dalle associazioni di giornalisti: i manifestanti sono stati in silenzio per 25 minuti davanti al Tribunale, a simboleggiare i 25 anni di silenzio dall’omicidio Ćuruvija.
Le reazioni del mondo giudiziario e politico
Lunedì 5, il Presidente del Tribunale d’Appello di Belgrado ha pubblicato un comunicato in cui, mentre comprende l’insoddisfazione della famiglia e degli amici di Ćuruvija, ha specificato che il Tribunale ha giudicato in base alle prove contenute nel caso e che non erano sufficienti a sostenere le tesi dell’accusa.
La premier Ana Brnabić ha dichiarato di non poter commentare la decisione del Tribunale dato che il potere giudiziario è indipendente. La Brnabić ha sottolineato come i procedimenti fossero comunque iniziati solo dopo 16 anni dopo l’assassinio, grazie all’arrivo al potere di Vučić. Come cittadina, però, ha detto che cercherà giustizia.
La ministra della Giustizia, Maja Popović si è detta invece profondamente delusa dalla decisione del Tribunale d’Appello, dicendo che il sistema giudiziario non ha svolto la sua funzione. Lo stesso Vučić nella tarda serata del 5 febbraio ha detto di esser scioccato dalla decisione , che rappresenta una grande ingiustizia e un fatto terribilmente grave per il paese.
La sensazione predominante tra coloro che hanno seguito il processo è di rabbia ed impotenza, ma allo stesso tempo si insinua la cupa consapevolezza che le forze che hanno dominato la Serbia nel corso degli anni ‘90 siano ancora all’opera, come ha commentato Jelena Ćuruvija, la figlia del giornalista ucciso .
Simbolicamente, il giorno dopo l’assoluzione, di primo mattino sulla televisione filogovernativa Pink, Aleksandar Vulin, ex direttore della BIA, l’agenzia che ha rimpiazzato la DB ed ex membro di spicco del partito di Mira Marković negli anni ‘90, dichiarava apertamente che il compito della sua generazione è quello di riunire tutti i serbi ovunque essi vivano e che tale processo è già iniziato e non si può fermare.
Parole che riecheggiano molto da vicino l’idea della Grande Serbia e che riportano alla mente gli anni ‘90.
Hai pensato a un abbonamento a OBC Transeuropa? Sosterrai il nostro lavoro e riceverai articoli in anteprima e più contenuti. Abbonati a OBCT!