I casi dei giudici Vučinić e Trešnjev, pressioni disciplinari nel primo caso e trasferimento nel secondo, aprono più di una domanda sull’ingerenza del potere politico sugli organi giudiziari serbi
(Originariamente pubblicato dal Centro per il giornalismo investigativo della Serbia - CINS )
Verso la fine del novembre 2017, il presidente dell’Alta corte di Belgrado Aleksandar Stepanović ha emesso il provvedimento di assegnazione degli affari di competenza della corte per l’anno 2018, con il quale il giudice Aleksandar Trešnjev è stato trasferito dalla Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata alla sezione penale ordinaria. Come conseguenza del trasferimento del giudice Trešnjev, tutti i processi penali nei quali è attualmente coinvolto in veste di membro del collegio giudicante dovranno ripartire da capo, compresi i due processi a carico del gruppo di Darko Šarić, accusato di traffico di cocaina e riciclaggio di denaro.
Questa controversa decisione ha riportato a galla la questione dell’efficienza della giustizia e dell’ingerenza del potere politico sull’operato degli organi giudiziari.
A seguito del ricorso contro il trasferimento presentato dal giudice Trešnjev alla Corte d’appello di Belgrado, il presidente dell’Alta corte Aleksandar Stepanović ha emesso, nell’arco di soli tre giorni, ben tre comunicati stampa in cui spiegavano le motivazioni della sua decisione.
Nel comunicato del 29 novembre, Stepanović ha affermato che il motivo principale del trasferimento di Trešnjev risiede nel fatto che i risultati da lui raggiunti sono inferiori a quelli degli altri giudici della Sezione speciale, aggiungendo che il suo mandato di sei anni scade a gennaio 2018. Ha inoltre precisato che il 60% delle sentenze emesse dal giudice Trešnjev nell’arco degli ultimi sei anni è stato annullato, e che tra tutti i procedimenti da lui condotti solo due si sono definitivamente conclusi, di cui uno con dichiarazione di estinzione del reato per prescrizione, mentre altri due si sono conclusi con una sentenza di patteggiamento.
A questa spiegazione ha prontamente reagito il Centro di studi giuridici (CEPRIS), sostenendo, in un comunicato rilasciato il 30 novembre, che le affermazioni di Stepanović sono malintenzionate e inesatte, tra l’altro perché non contengono l’informazione che il giudice Trešnjev, in veste di presidente del collegio giudicante, ha emesso altre sei sentenze, di cui una è attualmente in fase di redazione, mentre altre sono oggetto di revisione davanti alla Corte d’appello. Nel comunicato è stato inoltre sottolineato che Stepanović non ha preso in considerazione il fatto che i giudici della Sezione speciale di solito sono impegnati in pochi processi particolarmente complessi, per cui la comparazione dei dati statistici non è sufficiente a fornire un quadro reale sull’efficacia del loro operato.
Dal CEPRIS hanno infine ricordato che la Commissione della Corte d'appello di Belgrado per la valutazione dell’operato dei giudici ha stabilito che, nel periodo compreso tra luglio 2015 e marzo 2017, Trešnjev “ha svolto le sue funzioni di giudice con straordinario successo”.
Reagendo ad un articolo riguardante il trasferimento del giudice Trešnjev, apparso sul quotidiano Politika il 30 novembre scorso, Stepanović ha emesso un altro comunicato, precisando che la Commissione ha effettuato la valutazione dell’operato del giudice Trešnjev ai fini della sua ammissione ad un concorso per il conferimento di un incarico più elevato, basandola esclusivamente sui criteri di prontezza nell’agire e osservanza dei termini, senza prendere in considerazione la percentuale delle “sentenze confermate, annullate o ribaltate, né il numero dei procedimenti conclusi con una sentenza definitiva”.
Sul finire del 2013, pochi mesi dopo aver assunto l’incarico di presidente dell’Alta corte di Belgrado, Stepanović aveva trasferito, ricorrendo a una procedura molto simile, un altro giudice, Vladimir Vučinić, dalla sezione speciale a quella ordinaria.
Esattamente come nel caso di Vučinić, prima di disporre il trasferimento del giudice Trešnjev Stepanović aveva presentato un esposto contro di lui al Consiglio superiore della magistratura, sostenendo che le sue funzioni di giudice e di membro dell’associazione di categoria CEPRIS erano incompatibili. Il Consiglio superiore della magistratura si è dichiarato incompetente a decidere in materia.
Il Centro per il giornalismo investigativo della Serbia (CINS) riporta qui di seguito i dettagli del caso del giudice Vladimir Vučinić, che ha presieduto il collegio giudicante del processo a carico di Miroslav Mišković, proprietario della Delta Holding.
Procedimento disciplinare nei confronti del giudice Vučinić
Uno dei casi più noti riguardanti i procedimenti disciplinari nei confronti dei soggetti esercenti funzioni giudiziarie è quello di Vladimir Vučinić, ex presidente della Sezione speciale per i reati di criminalità organizzata dell’Alta corte di Belgrado.
A seguito della sua decisione di restituire temporaneamente il passaporto a Miroslav Mišković, revocatogli dopo il rilascio dalla prigione, il giudice Vučinić è stato sottoposto a forti pressioni, a causa delle quali ha abbandonato la sua professione, dedicandosi all’avvocatura.
Nel giugno 2015, il Consiglio supremo della magistratura ha sanzionato il giudice Vučinić con un ammonimento, sostenendo che aveva commesso un’infrazione disciplinare nell’esprimersi pubblicamente su suddetta decisione. Vučinić aveva rilasciato alcune dichiarazioni al quotidiano Politika, con l’intento di spiegare le ragioni della restituzione del passaporto a Mišković, sottolineando di aver agito in conformità alle procedure previste dalla legge.
In un'intervista rilasciata a CINS lo scorso anno, Vučinić ha dichiarato che avrebbe preso di nuovo la stessa decisione, in quanto basata sul rispetto della legge e del principio di presunzione di innocenza. Non ha nascosto la sua delusione per lo scarso appoggio ricevuto dai colleghi, aggiungendo che forse quella era un’occasione per dimostrare integrità professionale.
In una recente conversazione con una giornalista di CINS, Vučinić ha ribadito che all’epoca aveva agito in difesa della sua professione, senza impedire a nessuno di svolgere il proprio lavoro. “Un giudice ha il dovere di difendere, in ogni circostanza, la sua reputazione, l’onore e la professione”.
Dopo essere stato sanzionato, Vučinić ha presentato ricorso al Tribunale amministrativo di Belgrado, che nel luglio 2017 ha annullato il provvedimento sanzionatorio emesso nei suoi confronti, rinviando la causa al Consiglio supremo della magistratura. Nell’agosto 2017, il Consiglio ha annullato la sua decisione originaria, cancellando la sanzione disciplinare comminata a Vučinić.
Vučinić ha dichiarato che si aspettava che il Tribunale amministrativo prendesse tale decisione, che ciò gli ha restituito la fiducia nella giustizia, dimostrando che ci sono ancora dei giudici che “non si preoccupano se le loro decisioni piaceranno a qualcuno, ma cercano di prenderle attenendosi alle leggi e alle proprie convinzioni professionali”.
“È la più grande sfida dell’essere giudice: combattere la paura di non poter avanzare nella carriera a causa di una decisione adottata attenendosi esclusivamente alle leggi e alle proprie convinzioni professionali. È una cosa tremenda. Si è dimostrato, purtroppo, che non poche decisioni sono condizionate dalla paura”, spiega Vučinić.
Vučinić ha presentato un ricorso al Tribunale amministrativo di Belgrado anche contro il Consiglio supremo della magistratura, che aveva respinto il suo esposto nei confronti del presidente dell’Alta corte Aleksandar Stepanović, accusato da Vučinić di averlo sottoposto a continue pressioni a causa della restituzione del passaporto a Miroslav Mišković.
In un comunicato emesso nel dicembre 2013, l’Alta corte ha precisato che “il giudice Vučinić non era stato sottoposto ad alcuna pressione nel procedere e adottare decisioni nel processo a carico di Miroslav Mišković, né in qualsiasi altro processo penale”.
Il Tribunale amministrativo non si è ancora pronunciato in merito al secondo ricorso di Vučinić, nonostante già all’inizio del 2017 Vučinić abbia presentato l’istanza di accelerazione dei tempi di trattazione sia di questo ricorso sia di quello riguardante la sanzione disciplinare inflittagli.
Vučinić, che ha recentemente preso parte attiva alla vita politica del paese, diventando membro del Partito popolare, dice che più passa il tempo meno peso avrà una qualsiasi decisione del tribunale, aggiungendo: “Spero di riuscire a persistere anche in questo processo […] Non sono guidato da alcun motivo di interesse in quanto non sono più un giudice, ma continuo a impegnarmi in difesa della professione che ho esercitato per 25 anni”.
Strumentalizzazione politica del processo a carico di Mišković
Il 27 settembre 2017, la Corte d’appello di Belgrado ha confermato la sentenza, emessa dalla Sezione speciale dell’Alta corte di Belgrado, con la quale Miroslav Mišković è stato assolto dall’accusa di malversazioni nella privatizzazione delle aziende di manutenzione stradale. La Corte d’appello ha invece annullato la sentenza con la quale l’Alta corte aveva condannato Mišković a cinque anni di reclusione e al pagamento della somma di 8 milioni di dinari (circa 66mila euro) per complicità in frode fiscale compiuta da suo figlio Marko. Ora il processo dovrà ripartire da capo.
Il processo penale a carico di Miroslav Mišković è stato avviato il 14 settembre 2013. Nel dicembre 2014, il processo è ripartito da capo, essendo stato riunito a quello a carico di Milo Đurašković, ex proprietario di alcune aziende di manutenzione stradale, e dei suoi collaboratori, accusati di aver tratto un guadagno illecito dalla privatizzazione delle aziende in questione. La riunione dei due processi ha comportato anche la nomina di un nuovo collegio giudicante.
Un anno più tardi, nel dicembre 2015, il processo a carico di Mišković è stato separato da quello contro gli altri imputati per via delle sue cattive condizioni di salute. La sentenza di primo grado è stata emessa il 20 giugno 2016.
Mišković è stato arrestato nel dicembre 2012, nel periodo in cui il Partito progressista serbo (SNS) si stava affermando come la principale forza politica del paese. Da quando è stato arrestato, e per tutta la durata del processo penale, ma anche dopo l’annullamento della sentenza di condanna a suo carico, Mišković veniva bollato dai tabloid serbi come tycoon e criminale che stava complottando contro il governo e contro il leader dell’SNS, l’allora premier e attuale presidente serbo Aleksandar Vučić, che usava toni simili nell’esprimersi sulla vicenda.
Il 28 settembre scorso, all’indomani della pronuncia delle sentenze d’appello nei confronti di Mišković, il tabloid Informer ha titolato in prima pagina: “La prova definitiva che i tribunali serbi non giudicano secondo la legge: i tycoon sono di nuovo in sella – annullata la sentenza di condanna per Mišković”, aggiungendo: “Vučić, quando ha saputo della decisione della corte, è uscito furiosamente dal palazzo della presidenza della Repubblica”. Il quotidiano Večernje novosti è uscito col titolo: “Il presidente Vučić sul ‘caso Mišković’: Eccovi i tycoon, che rubino tutto quanto che è stato creato”.
Lo stesso giorno, in un'intervista rilasciata alla Radio televisione della Vojvodina, Nikola Selaković, segretario generale della presidenza della Repubblica e ministro della Giustizia nel periodo 2012-2016, ha detto che quella dichiarazione di Vučić non deve essere interpretata come un tentativo di esercitare pressioni sui giudici, perché il presidente aveva solo espresso la propria opinione. Ha inoltre aggiunto che, come cittadino che rispetta lo stato di diritto, accetta l’annullamento della sentenza di condanna nei confronti di Mišković, “per quanto personalmente ritenga che tale decisione sia vergognosa”.
Il giorno successivo, il 29 settembre, Srpski Telegraf ha titolato: “Tycoon più forti dello stato: Mišković, Đilas e Rodić vogliono rovesciare Vučić”. Titoli molti simili sono apparsi sulla prima pagina di Informer: “Il presidente non ha intenzione di mollare: la risposta forte di Vučić”; “Le inchieste sui più grandi furti ai danni dello stato sta giungendo al termine”; “Prima di Capodanno partirà la guerra contro la grande criminalità e la corruzione”; “Possibili arresti di tycoon, ex ministri, giudici”. Informer era uscito con una prima pagina quasi identica il 22 dicembre 2015, titolando: “Tycoon in preda al panico – Vučić li arresterà a Capodanno”.
In merito alle reazioni dei politici e dei media alla decisione della Corte d’appello di annullare la sentenza di condanna a cinque anni di reclusione a carico di Miroslav Mišković, l'Associazione dei giudici della Serbia ha emesso un comunicato in cui si afferma che questo tipo di comportamento “che si ripete ogniqualvolta viene emessa una sentenza che non corrisponde all’esito illegittimamente preannunciato dai media, invia un chiaro messaggio ai giudici su come dovrebbero giudicare, non solo nei casi in questione, ma in tutti quelli che suscitano l’interesse dell’opinione pubblica e sui quali i politici e i media esprimono ‘il proprio giudizio’ in anticipo, ovvero prima dell’avvio e nel corso del procedimento penale. In questo modo si fomenta, coscientemente, la sfiducia dei cittadini nella giustizia, nonché un clima in cui i giudici si sentono sempre meno sicuri e sempre più impauriti nel prendere le loro decisioni con professionalità, imparzialità e coscienza”.
La tendenza a commentare arresti, indagini, processi penali e i loro esiti è un fenomeno molto ricorrente sulla scena politica serba.
Nel giugno 2016, a seguito della pronuncia della sentenza di primo grado di condanna a carico di Miroslav Mišković, Vučić ha dichiarato al quotidiano Blic di non poter commentare decisioni giudiziarie, aggiungendo tuttavia che la condanna di Mišković rappresenta un significativo passo avanti nella lotta alla corruzione. Già nel 2012, Vučić aveva dichiarato che un’eventuale scarcerazione di Mišković l’avrebbe vissuta come una sconfitta personale. Nel novembre 2015, in un’intervista rilasciata alla Radio televisione serba, Vučić ha definito Mišković come “simbolo e paradigma di una Serbia parassitaria”.
Stando a quanto riportato dall’agenzia Tanjug, nel marzo 2014, durante un meeting pre-elettorale tenutosi a Sremska Mitrovica, Nebojša Stefanović, l’attuale ministro dell’Interno, ha dichiarato che la Serbia non vuole “quel brodo corrotto e criminale cucinato dai politici e tycoon come Đilas, Mišković, Pajtić e altri”.
Nel corso della trasmissione Upitnik andata in onda sulla Radio televisione serba il 14 febbraio 2017, Aleksandar Vučić, all’epoca primo ministro, alla domanda della conduttrice Olivera Jovićević di precisare quali tra i tycoon che hanno derubato la Serbia siano attualmente in prigione, ha risposto citando alcuni nomi, tra cui Milo Đurašković e Miroslav Mišković.
Stando al Codice di condotta dei membri del governo, che definisce limiti di legittimità delle dichiarazioni pubbliche relative ai procedimenti penali pendenti, approvato nel giugno 2016, i membri del governo sono tenuti a rispettare la presunzione di innocenza, anche nel caso in cui “tale presunzione non venga rispettata da uno o più media”.
L’art. 2 del Codice sancisce che i membri del governo sono tenuti a rispettare l’autorità e l’imparzialità degli organi giudiziari: “Un membro del governo, nelle sue dichiarazioni e apparizioni in pubblico durante lo svolgimento di un procedimento penale, non deve esprimere idee, informazioni o pareri sul possibile esito del processo o sull’attendibilità degli elementi di prove addotti o esaminati nel processo, in modo tale da poter pregiudicare l’esito finale del procedimento penale in questione”.
Violazioni dell’indipendenza del potere giudiziario
Nella motivazione della decisione di annullare la sentenza di primo grado di condanna a carico di Miroslav Mišković, la Corte d’appello ha constatato che l’Alta corte aveva infranto la norma basando la sentenza di condanna sull’interpretazione della Legge sull’imposta sul reddito d’impresa e della Legge sul procedimento e l’amministrazione tributaria, nonché sulle informazioni ottenute dal ministero delle Finanze e dell’Economia.
L’Alta corte si era infatti rivolta, con una richiesta scritta, al parlamento serbo e al ministero delle Finanze e dell’Economia, chiedendo chiarimenti su alcuni aspetti problematici dell’atto di accusa a carico di Mišković.
La Corte d’appello ha stabilito che tale richiesta costituisce una violazione del Codice di procedura penale, rilevando inoltre che è stato violato il diritto ad un equo processo, sancito all’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, nonché l’art. 4 della Costituzione serba che stabilisce il principio della separazione dei poteri e garantisce l’indipendenza della magistratura dal potere esecutivo e legislativo.
“Quindi, nel caso concreto, non si tratta solo di un vizio formale (chi è competente a chiedere un parere interpretativo), bensì di una violazione sostanziale della legge, perché la corte ha chiesto a un organo non appartenente al potere giudiziario di fornirle un’interpretazione della legge che potrebbe incidere sull’esito del procedimento penale in corso”, si afferma nella motivazione della Corte d’appello.
Accuse rivolte a Vučić
Anche gli esponenti dei partiti di opposizione spesso mettono in dubbio la legittimità dell’operato degli organi del potere, soprattutto quello esecutivo, anche senza avere prove concrete al riguardo.
Così Saša Radulović, ex ministro dell’Economia e leader del movimento “Dosta je bilo”, nel marzo 2017 ha sporto denuncia contro Aleksandar Vučić e suo fratello Andrej, ma la Procura per il crimine organizzato non l’ha accolta. Ospite della trasmissione Pravi ugao sulla Radio televisione della Vojvodina, Radulović ha dichiarato che aveva denunciato Aleksandar e Andrej Vučić per estorsione e riciclaggio di denaro, ovvero “per aver preso il controllo del mercato della droga in Serbia”. Ha detto di aver ottenuto informazioni al riguardo da alcuni membri delle forze di polizia che non hanno potuto rivelarle pubblicamente.
Anche Boško Obradović, leader del movimento “Dveri”, ha più volte accusato Aleksandar Vučić e l’attuale esecutivo di intrattenere stretti legami con la criminalità organizzata.
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