Domani Serbia-Italia, match di qualificazione per Euro 2012. Dopo i gravi incidenti di Genova all'andata non solo i tifosi ma l'intera Serbia è sotto osservazione. In gioco ben più degli europei di calcio
La partita Serbia-Italia, che avrà luogo venerdì 7 ottobre allo stadio Marakana di Belgrado, assumerà agli occhi dei serbi, e non solo, un’importanza che andrà ben oltre la semplice possibilità di accedere ai playoff di Euro 2012 a novembre e contendersi uno dei posti vacanti per la massima competizione calcistica continentale che sarà ospitata congiuntamente da Polonia e Ucraina.
I ricordi lasciati da un centinaio di hooligan serbi, capeggiati dall’ormai noto Ivan Bogdanov, nel match di andata avevano messo seriamente a repentaglio gli sforzi profusi fino ad allora dal governo di Cvetković in chiave europeista. Come se ciò non bastasse, l’immagine del Paese era stata ulteriormente danneggiata dalle violenze, proprio negli stessi giorni, durante il Gay Pride di Belgrado.
A distanza di un anno da quegli episodi, il cammino verso l’adesione della Serbia nell'Ue ha comunque mostrato incoraggianti passi in avanti, in particolare con l’arresto degli ultimi due criminali di guerra ricercati dal Tribunale dell'Aja, Ratko Mladić a maggio e Goran Hadžić a luglio di quest’anno.
A far da contraltare a questi successi la continua situazione d'instabilità in Kosovo. La soluzione della questione kosovara è prerogativa imprescindibile del successo dei negoziati con Bruxelles. E le attuali tensioni nel Kosovo del nord hanno di fatto riportato con i piedi per terra tutti coloro i quali erano convinti che l’ormai prossima adesione della Croazia all’Unione potesse fungere da apripista a quella serba.
Alla Serbia, per raccogliere certezze, pare non rimanere altro che lo sport. È questa la sensazione di questi ultimi scampoli d’estate. Granitica la fiducia da riporre sul tennista Novak Đoković, vincitore nel 2011 di tutti e quattro i grandi slam. Ma soddisfazioni sono arrivate, in tempi recentissimi, anche della doppia affermazione europea delle nazionali di pallavolo, sia maschile sia femminile. Quest’ultima oltretutto ottenuta in veste di Paese ospitante.
Lo stesso discorso, allo stato attuale, non si può certo allargare all’ambito calcistico, reduce da annate assai avare di gioie, acuitesi ulteriormente in seguito alla perdita di preziosi elementi passati al Montenegro.
Il match di venerdì si presenta quindi come un “dentro o fuori”, sia da un punto prettamente sportivo, sia in un’ottica di relazioni internazionali. Se da un lato una sconfitta sul campo contro l’Italia può meramente significare una mancata partecipazione ai prossimi campionati europei, una nuova debacle come quella accaduta un anno fa a Genova presenterebbe ripercussioni più drammatiche. Vorrebbe dire darla vinta, ancora una volta, a chi ha scatenato i gravissimi disordini per le strade di Belgrado in occasione del Gay Pride e a chi aveva messo a ferro e fuoco il capoluogo ligure lo scorso ottobre.
Non è un caso che il match sia contraddistinto da un bollino rosso e sarà tenuto sotto particolare osservazione da parte dell’Uefa, la quale ha dichiarato che ogni minimo incidente sarà punito in maniera esemplare. Il disagio è palpabile tra i massimi rappresentanti del calcio serbo, i quali tuttavia tendono a rassicurare l’opinione pubblica internazionale affermando che i facinorosi sono sotto controllo e che la gente andrà allo stadio esclusivamente per sostenere la propria squadra. Ad ogni modo, a riprova che l’orizzonte sia tutt’altro che sereno, vi è la mancata concessione di biglietti alla Federcalcio italiana, su espressa richiesta serba e l’approntamento di misure di sicurezza speciali, al fine di prevenire disordini.
Una partita che riveste quindi molteplici significati nel rapporto tra Serbia ed Europa, negli ultimi decenni mai facile e mai scontato.
* Cesare Targher sta effettuando un periodo di stage presso Osservatorio Balcani e Caucaso
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