Sono veramente poche le novità delle elezioni serbe: alla guida del Paese saranno grosso modo le stesse forze politiche di prima, l’estrema destra è stata ridimensionata fino a sparire dal parlamento. Un’analisi del voto
Manca poco più di una settimana al ballottaggio per le presidenziali serbe ma lo scenario sembra ormai scontato. Sin da poco dopo la maxi tornata elettorale del 6 maggio - amministrative, politiche e primo turno delle presidenziali - è apparso evidente quanto la scena politica serba fosse votata al mantenimento dell’attuale. Seppur con qualche piccola ma significativa differenza.
L’estrema destra fuori dal Parlamento
Lo storico Partito radicale serbo (SRS), un tempo prima forza politica del Paese con oltre un milione di elettori (quasi il 30%), non è riuscito a superare lo sbarramento del 5% per entrare in parlamento. Anche l’estrema destra del movimento Dveri, che si era auto-pronosticato quale sorpresa di queste elezioni, si è fermata al 4%. Il declino dei radicali è iniziato nel 2008 con la fuoriuscita dal partito di Tomislav Nikolić e la creazione del Partito progressista serbo (SNS). La voce radicale è stata in parte assorbita anche dal DSS di Koštunica che, nonostante prima delle elezioni temesse di non passare lo sbarramento, ha ottenuto un 7% che gli garantisce 21 seggi in parlamento.
Contro le aspettative - in negativo - è stato il risultato della coalizione Preokret (recente connubio tra i Liberal democratici di Čedomir Jovanović e il filo monarchico SPO di Vuk Drašković). Ci si aspettava che arrivassero al 10% ma si sono fermati al 6,5%. E nelle amministrative a Belgrado non sono nemmeno riusciti a superare lo sbarramento del 5%. Nella amministrative della capitale ha invece spopolato il Partito democratico di Boris Tadić conquistando 50 dei 110 seggi complessivi (oltre il 35%) che con i 13 dei socialisti si assicura altri 4 anni di governo della capitale. In Serbia è una poltrona importante, equivale alla terza carica politica istituzionale del Paese.
Tornando alle politiche, modesto il risultato dell’URS, nuovo partito di Mlađan Dinkić, ex ministro dell’Economia e leader del G17+, trombato un anno fa dall’allora premier Mirko Cvetković per “cattivi risultati”. Col 5.51% le Regioni unite della Serbia (URS) portano in parlamento 16 deputati. Dove invece l’URS è andato forte è nelle amministrative a Kragujevac, con oltre il 37% è il primo partito del polo industriale targato Fiat e con grande facilità andrà al governo con i socialisti e i liberal democratici.
Insomma niente colpi di scena e ben poche novità, gli elettori sembrano orientati alla continuità. Qualcuno, che ha voluto esprimere un voto di protesta, lo ha fatto annullando la propria scheda elettorale, sull’onda della campagna Nevažeći listići (schede nulle) che tanto ha animato i dibattiti elettorali sulla blogosfera serba. Rispetto alle precedenti elezioni politiche, le schede nulle sono raddoppiate e si attestano attorno ad una percentuale del 4%, ma gli analisti hanno fatto notare con un pizzico di ironia che nemmeno le schede nulle hanno passato lo sbarramento.
Le ipotesi per il nuovo esecutivo
Le ipotesi per il nuovo governo non sono molte, gli analisti arrivano ad elencarne tre o quattro. Tra le più probabili: DS-SPS-LDP più le minoranze, coalizione che avrebbe l'appoggio di ben oltre la metà dei 250 seggi totali del parlamento. Resta però da vedere se trovano un accordo di coabitazione Jovanović e Dačić, cioè LDP e SPS. Il ministro dell’Interno uscente e potenziale neo premier, Ivica Dačić, ha infatti più volte ribadito che non può formare un governo con chi pensa che “la Republika Sprska sia fondata sul genocidio” riferendosi chiaramente alle dichiarazioni di Jovanović rilasciate in un duello televisivo con Milorad Dodik poco prima della campagna elettorale.
L’altra possibilità potrebbe essere un governo DS-SPS-URS sempre con appoggio delle minoranze e con il sostegno esterno dell’LDP, governo che ricalcherebbe molto quello uscente. Oppure sia LDP che URS al governo con DS e SPS, coalizione che avrebbe ampio spazio di manovra per governare.
Per sapere qualcosa di più preciso si dovrà aspettare comunque il 20 maggio, secondo turno delle presidenziali. Il primo turno è risultato in una sorta di pareggio tra i due principali candidati: Boris Tadić col 25.37% e Tomislav Nikolić col 25.02%. Tuttavia dalla parte di Tadić si sono già espressamente dichiarati SPS, LDP, URS e molti dei partiti delle minoranze. E' molto probabile che si ripeta quanto accaduto nelle scorse elezioni, dove Tadić al ballottaggio vinse di misura sul rivale Nikolić.
Meno potere al nuovo presidente
Il 16 maggio i due si confronteranno in un duello televisivo dove probabilmente cercheranno di sottolineare quelle differenze che in campagna elettorale non si sono viste, tanto che il noto disegnatore di satira Corax aveva rappresentato Tadić e Nikolić che portano la stessa biada ad un somaro che sta nel mezzo. Tadić accuserà probabilmente il rivale di avere un passato da estrema destra e voler ora fare l’europeista. Nikolić risponderà facendo pesare il cattivo stato dell’economia serba e la lentezza nelle riforme.
Ma anche in caso di vittoria, sembra abbastanza certo che la forte influenza sulla Serbia di cui ha goduto sino ad ora Boris Tadić sia destinata a calare, quanto meno sull’esecutivo. Il premier uscente per quattro anni si è comportato in modo piuttosto defilato. L’esposizione maggiore, tanto in politica interna quanto all’estero è stata sempre concentrata su Tadić, che per altro non si è mai dimesso dalla funzione di presidente del partito, cosa che invece ha promesso Nikolić in caso di vittoria.
Che il futuro premier sia Ivica Dačić o, come si sussurra a Belgrado, Dragan Đilaš, sindaco uscente della capitale, si tratta comunque di personalità di peso che non staranno sicuramente all’ombra della presidenza della Repubblica.
Chiunque guiderà la Serbia domani dovrà comunque fare i conti con la crisi economica, la disoccupazione che ha raggiunto il 24%, il dinaro ai minimi storici (112 dinari per 1 euro), il processo di privatizzazione da riesaminare - esplicita richiesta UE in merito a 24 aziende serbe privatizzate in questi anni - la questione del Kosovo e il percorso europeo in larga parte ancora tutto da percorrere.
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