Un incontro pubblico presso la Facoltà di giurisprudenza di Belgrado, con l'intento di negare il crimine commesso a Srebrenica. Il titolo inequivocabile: nella ricorrenza dei dieci anni dalla liberazione di Srebrenica. Ma la società civile belgradese - per fortuna - non ci sta
Alla fine ce l'hanno fatta. Il 17 maggio l'associazione studentesca "Nomokanon" è riuscita ad organizzare un incontro pubblico dal titolo "La verità su Srebrenica", intento del quale è stato di mettere in discussione il tragico massacro accaduto nell'allora enclave musulmana di Srebrenica, l'11 luglio 1995, di cui quest'anno cade il decimo anniversario.
L'incontro era già stato fissato un mese fa, quando sui muri della facoltà di Filosofia di Belgrado e nel centro della città erano comparsi dei manifesti indicanti il tema e l'ora del dibattito e un'inequivocabile inciso: "Nella ricorrenza dei dieci anni dalla liberazione di Srebrenica". Una scritta che era stata sufficiente per far sì che il vicepreside, Miodrag Jovanovic, impedisse in modo informale l'organizzazione del dibattito pubblico.
Quasi negli stessi giorni, otto ONG serbe, inviavano una lettera aperta al presidente del parlamento serbo, Predrag Markovic, contenente un esplicito invito ad adottare una dichiarazione per la ricorrenza del decimo anniversario del massacro di Srebrenica.
La lettera firmata da Centar za kulturnu dekontaminaciju, Beogradski Krug, Komitet pravnika za ljudska prava -YUCOM, Fond za humanitarno pravo, Zene u crnom, Gradjanske inicijative e Helsinki odbor za ljudksa prava, si concludeva con le seguenti parole:
"Adottando una dichiarazione su Srebrenica il Parlamento serbo non solo legittimerebbe la Serbia come uno stato democratico e affidabile, ma dimostrerebbe pure che questo Paese e la sua opinione pubblica accettano la responsabilità morale per il destino delle vittime di Srebrenica. Crediamo che un gesto simile renderebbe più veloce la cooperazione con i Paesi vicini - in primis la Bosnia Erzegovina - e favorirebbe fortemente l'integrazione della Serbia nell'Europa".
A distanza di un mese, non solo il parlamento serbo non ha adottato alcuna dichiarazione su Srebrenica, ma come dicevamo all'inizio, il controverso dibattito pubblico sulla "verità" di Srebrenica ha avuto luogo ugualmente.
L'emittente B92 ha dedicato parecchio spazio alla cronaca della vicenda. Vediamo di sintetizzare quanto riportato.
La seduta ha avuto luogo nella Facoltà di Giurisprudenza dell'Università di Belgrado, il 17 maggio, alle ore 19.30, subendo un ritardo di mezz'ora a causa degli scontri verbali tra gli organizzatori, i partecipanti e gli oppositori giunti all'incontro. Gli epiteti più comuni scagliati contro chi protestava contro l'organizzazione sono stati i seguenti: "ustascia", "froci", "seguaci di Soros", traditori". Mentre poco prima dell'inizio dell'incontro, nella sala della facoltà di giurisprudenza, alla presenza di alcune centinaia di persone, si sentivano grida a sostegno dell'ex leader dei serbo-bosniaci Radovan Karadzic, accusato dal Tribunale dell'Aia di crimini di guerra e tuttora latitante.
Tra gli oppositori del dibattito volto a negare il crimine commesso a Srebenica erano presenti i membri di alcune organizzazioni non governative, tra cui le Donne in nero, Iniziativa dei giovani, alcuni membri della sezione giovanile del G17 plus, e diverse personalità conosciute, come l'ex vice premier Zarko Korac e il professore della facoltà di giurisprudenza Stevan Lilic, il quale ha tenuto a precisare che l'associazione "Nomokanon" responsabile dell'organizzazione dell'incontro pubblico dovrebbe essere interdetta e proibita.
Tra cloro i quali sono giunti per contrastare l'incontro pubblico erano presenti anche Sonja Biserko, direttrice dell'Helsinki Committee per la Serbia e Natasa Kandic del Centro per il diritto umanitario, quest'ultima, mentre cercava di rilasciare delle dichiarazioni ai giornalisti presenti, ha ricevuto insulti e sputi da un ragazzo che scappando ha trovato protezione grazie ad un gruppo di altri giovani che indossavano la maglietta dell'associazione radical-nazionalista "Obraz", mentre secondo i giornalisti presenti altri partecipanti indossavano magliette con la scritta "Radovan eroe serbo".
Secondo la cronaca di B92, all'incontro pubblico hanno partecipato in qualità di relatori, il direttore del Centro per le ricerche sui crimini contro il popolo serbo, Milivoje Ivanisevic, il generale in pensione Radovan Radinovic, uno dei difensori legali di Slobodan Milosevic, l'avvocato Dragoslav Ognjanovic e la giornalista Ljiljana Bulatovic, autrice di un libro su Radovan Karadzic.
I relatori hanno avanzato la tesi, sostenuta come verità di fatto, che a Srebrenica non è stato commesso alcun crimine, ma che in verità si è trattato di soldati dell'esercito musulmano, che Alija Izetbegovic ha sacrificato per far sì che ci fosse un intervento militare straniero.
Ancora secondo la cronaca dei giornalisti presenti, una relatrice si è congratulata con gli organizzatori per aver dato vita alla Facoltà di giurisprudenza di dibattiti "sulla verità di modo che non ci si debba più sottomettere e costringere a vergognarci di coloro i quali meritano il nostro rispetto e ammirazione, perché nei momenti cruciali hanno rappresentato il proprio popolo nella lotta per la libertà e la sopravvivenza". La relatrice ha chiuso l'intervento affermando che finalmente dopo dieci anni l'11 luglio, ora, può essere considerato come la data della liberazione di Srebrenica.
Forti critiche sono giunte dal partito GSS (Alleanza civica della Serbia), dall'Unione socialdemocratica, dalla rete giovanile del partito G17 Plus, dall'Unione degli studenti della Serbia, dall'Iniziativa dei giovani per i diritti umani e da molti altre organizzazioni del Paese.
Mente il giorno successivo all'incontro pubblico alla Facoltà di giurisprudenza, il GSS, l'Unione socialdemocratica e la Lega dei socialdemocratici della Vojvodina, hanno emesso un comunicato nel quale si dice che: "La libertà accademica non può essere usata per negare i crimini. L'insieme dei partecipanti e il modo in cui è stato inizialmente indetto l'incontro pubblico dimostrano molto chiaramente che non c'è stato alcun dibattito accademico, ma un chiaro tentativo di mettere in mostra le uccisioni di massa come un atto patriottico".
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