Dopo anni di tira e molla, in Slovenia sembra essere finalmente in chiusura la dolorosa vicenda dei "cancellati". Lo scorso marzo è stata approvata la normativa, voluta dal ministro degli Interni Katarina Kresal, che dovrebbe regolarizzare la posizione delle migliaia di persone delle ex repubbliche jugoslave cancellate dagli elenchi dei residenti nel 1992
L’annosa questione oramai risale a quasi vent’anni fa. Il 26 febbraio 1992 le autorità slovene cancellarono dall’evidenza dei residenti 25.761 cittadini delle altre ex repubbliche jugoslave che non avevano chiesto o non avevano ottenuto la cittadinanza slovena. Queste persone, così, d’un tratto diventarono veri e propri clandestini e persero il diritto alla casa, al lavoro, alla sanità.
Già nel 1999 la Corte costituzionale giudicò quell’atto incostituzionale e chiese alla classe politica Slovena di porre rimedio alla questione. Si aprì subito un violento scontro tra chi riteneva che bisognasse risolvere la faccenda e tra coloro che invece ritenevano che non si dovesse avere pietà per quelli che non sarebbero stati altro che profittatori in cerca di risarcimenti e oppositori giurati dell’indipendenza del paese.
Lo scontro si fece subito acceso. Del resto non era difficile rendersi conto che ci si trovava di fronte alla più palese violazione dei diritti umani dall’indipendenza del paese e che quella cancellazione era avvenuta con un consenso sociale altissimo. Ammettere l’errore significava accettare che nemmeno il processo di indipendenza del paese è stato senza macchia.
La classe politica a stento cercò di correre ai ripari e lo fece con una serie di provvedimenti che sanavano solo parzialmente la situazione. Dopo anni di tira e molla quella che invece si è subito dimostrata intenzionata a chiudere una volta per tutte la vicenda è stata la ministra degli Interni Katarina Kresal.
Prima il ministero degli Esteri ha applicato direttamente le delibere della Corte costituzionale ed ha riconosciuto l’ininterrotta residenza in Slovenia ai cancellati che avevano già regolarizzato il loro status, poi ha provveduto a presentare una legge che avrebbe risolto la questione anche per gli altri.
La normativa era stata approvata nel marzo scorso, ma l’opposizione avrebbe voluto indire un referendum. Già in passato proprio il referendum era servito a non far applicare una legge approvata dal parlamento. All’epoca ci si dimenticò di tirare in ballo la Corte costituzionale, che questa volta invece è stata subito interpellata e ha sancito l’inammissibilità del referendum.
La legge in questione consentirà anche a quelle persone che non hanno ancora regolarizzato il loro status, a quelli che erano stati espulsi dalla Slovenia o che non avevano potuto farvi ritorno a causa della cancellazione di riottenere la residenza. Avranno 3 anni di tempo per presentare domanda. La normativa comunque non risolve in maniera automatica ed in blocco la faccenda, ma prevede una trattazione caso per caso.
Dei complessivi 25.761 cancellati sarebbero ancora 13.000 quelli che non avrebbero ancora regolarizzato il loro status. Nessuno sa quanti di essi ancora vivono in Slovenia e quanti, dopo anni passati all’estero, siano ancora effettivamente interessati a riottenere la residenza.
Il ministero degli Interni ha provveduto a stampare un apposito opuscolo in cui sono contenute tutte le informazioni per presentare la documentazione necessaria. Il testo è stato elaborato in collaborazione con alcune delle organizzazioni che da anni si battono per i diritti dei cancellati e si può trovare negli uffici disseminati in tutto il paese del ministero degli Interni e nelle rappresentanze diplomatiche slovene nell’area dell’ex federazione. A tale proposito è stato chiesto ai diplomatici che operano in queste repubbliche di pubblicizzare il provvedimento.
L’opuscolo, comunque, è anche scaricabile da internet all’indirizzo: http://infotujci.si/. Il testo comunque è solo in sloveno – hanno spiegato in maniera poco convincete i funzionari – considerato che le pratiche in Slovenia debbono essere presentate in sloveno e che anche la relativa domanda per l’ottenimento dello status dovrà essere presentata in sloveno.
Probabilmente però se il ministero avesse agito in maniera diversa ciò sarebbe servito come pretesto per ulteriori attacchi al ministro degli Interni, che proprio per le sue posizioni sui cancellati è diventata un bersaglio privilegiato dell’opposizione di centrodestra.
Ad ogni modo in soccorso è venuta anche una recente sentenza del Tribunale europeo per i diritti dell’uomo, che ha nuovamente tirato le orecchie alla Slovenia per la mancata soluzione del problema dei cancellati. Il paese, è stato detto, viola la Convenzione europea sui diritti umani. La Kresal dal canto suo ha laconicamente commentato la sentenza dicendo che “c’era da aspettarselo”. Il tribunale comunque non ha preso ancora posizione sugli eventuali risarcimenti che spetterebbero ai cancellati.
Proprio la questione dei “principeschi” indennizzi che lo stato dovrebbe loro pagare è stata uno dei cavalli di battaglia che l’opposizione di centrodestra ha spesso usato in questi ultimi mesi.
D’altro canto la Kresal ed i suoi collaboratori hanno precisato che le leggi in questione non garantiscono alcun indennizzo e che semmai saranno i tribunali che prenderanno in esame caso per caso.
I cancellati guardano a questi provvedimenti con sentimenti contrastanti. Si ammette che le soluzioni proposte sono buone, anche se non ancora ottimali, ma si sottolinea anche che le autorità dovranno fare ancora molto per porre rimedio ai torti subiti. Non è ovviamente una questione di soldi (o solo una questione di soldi) c’è infatti anche chi si aspetta le scuse delle più alte cariche dello stato.
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