Capodistria © BalkansCat/Shutterstock

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Quest'anno Capodistria festeggia i 1500 anni dalla sua fondazione: la sua identità (anche) italiana, è oggi però ai margini, tanto che anche il recupero dei nomi storici delle strade cittadine provoca penose polemiche. Un commento

17/10/2024 -  Stefano Lusa Capodistria

Il Polittico di Sant’Anna è una stupenda pala d’altare dipinta da Cima da Conegliano, che ornava la chiesa conventuale di Capodistria. La preziosissima opera durante la Seconda guerra mondiale fu messa a riparo, insieme a tanti altri capolavori che si trovavano a Capodistria, Pirano ed in altre località istriane. Quadri, sculture e documenti vennero portati prima a Villa Manin e poi da altre parti d’Italia e lì rimasero, quando alla fine del conflitto i confini cambiarono e l’Italia dovette cedere alla Jugoslavia quei territori.

Oggi l’opera di Cima di Conegliano è esposta al museo del Palazzo Ducale di Mantova, mentre altri quadri sono in mostra a Trieste. La Slovenia vorrebbe riaverli e sostiene che ne avrebbe tutto il diritto, ma dall’Italia rimarcano che sono rivendicazioni prive di alcun fondamento giuridico.

A dire il vero i frati francescani nel primo dopoguerra cercarono di riportare alcune opere nelle loro chiese d’origine. Il loro proposito era così fermo che arrivarono persino al confine con una pregiata pala di Vittore Carpaccio: la Madonna in trono col Bambino e sei Santi. Il magnifico dipinto era originariamente collocato nella pittoresca chiesa dei francescani di Pirano. Le solerti guardie di frontiera della Jugoslavia comunista si accorsero che i francescani stavano trasportando qualcosa di prezioso. Chiesero pertanto che pagassero la dogana. A quel punto i frati girarono i tacchi e tornarono a casa con la tela.

Le nuove autorità in quel periodo erano più prese dalla necessità di costruire la patria socialista che dalla preoccupazione di tutelare il patrimonio artistico e culturale della zona. All’epoca si dovettero mettere di buzzo buono per imporre un nuovo calendario civile che cancellò il Natale dal novero delle festività e successivamente si diedero da fare per depennare anche i nomi dei santi dalla toponomastica della zona. L’esodo degli italiani spazzò via quello che restava delle antiche e radicate tradizioni di un tempo ed i pochi che rimasero divennero praticamente stranieri a casa loro.

La città quest’anno festeggia i 1500 anni della sua fondazione. In una mostra organizzata dal comune si sono liquidate le vicende legate all’esodo spiegando sbrigativamente che la popolazione autoctona era “emigrata”. Le cittadine della costa slovena fanno fatica a fare i conti con il proprio passato ed anche con la loro eredità italiana. L’ultimo episodio riguarda gli antichi odonimi.

L’amministrazione cittadina - anni fa fece - affiggere una serie di targhe con i nomi italiani delle vecchie piazze e vie del centro storico. Ne nacque subito una vivace diatriba. La prima targa in Piazza Tito, la principale e la più bella piazza di Capodistria, venne collocata il 29 novembre del 2017. Frutto di un caso, assicurano quelli che hanno apposto la denominazione Piazza del Duomo, sotto la targa ufficiale con il nome della piazza dedicata al maresciallo.

Una “provocazione fascista” per altri, visto che la data scelta era proprio quella in cui la Jugoslavia socialista celebrava la sua fondazione, avvenuta il 29 novembre 1943 a Jajce. In ogni modo quella targa venne immediatamente trafugata e dopo qualche tentennamento il comune decise di ricollocarla insieme ad altre. Oramai erano lì da anni e sembravano non dar fastidio a nessuno, tanto che si pensava che l’iniziativa del recupero dei vecchi nomi potesse estendersi anche in periferia e nell’entroterra.

Ora quelle targhe sono sparite. A fine agosto il sindaco della città, Aleš Bržan, le ha fatte girare in modo che le scritte non si leggessero più. Lo ha deciso dopo che erano arrivate una serie di ingiunzioni da parte dei servizi ispettivi del Ministero della Cultura, che minacciavano di elevare una grossa multa e di farle rimuovere di propria iniziativa.

A far scattare il provvedimento una segnalazione arrivata dall’unico frate presente oggi nel convento di Sant'Anna, che si era opposto a far affiggere la targa con la dicitura già Riva Sant’Anna sul muro perimetrale del convento che dava sulla riva oggi intitolata all’eroe popolare partigiano Janko Premrl – Vojko. Era convinto che quella scritta non fosse in linea con la legge che regola l’uso pubblico della lingua slovena. I servizi ispettivi si sono subito mossi ed hanno addirittura chiesto il parere dell’Istituto per la lingua slovena dell’Accademia delle arti e delle scienze, che anch’esso ha constatato che la soluzione adottata a Capodistria non andava proprio bene.

Dal comune hanno spiegato che tradurre i vecchi toponimi in sloveno, inventandoli di sana pianta, sarebbe stato assurdo ed anche ridicolo. Altri hanno rimarcato come simili targhe, con toponimi storici in questo caso solo in sloveno, esistono anche in Italia, nei paesi dove viveva compattamente la minoranza e che non sono per nulla una particolarità capodistriana, visto che ancor prima le diciture italiane erano state affisse a Pirano, senza che nessuno sollevasse alcuna obiezione.

Alcune settimane fa dal comune hanno fatto sapere che la questione verrà risolta entro “alcune settimane” e che i toponimi italiani torneranno al loro posto senza traduzione, ma con un'altra veste grafica. Per ora non se ne è fatto nulla. Molti sono convinti che la faccenda è già definitivamente chiusa e che quegli odonimi non torneranno mai più. L’importante comunità italiana che aveva costruito le fortune della città oggi non è che una insignificante reliquia. Una presenza più istituzionale che reale, tutelata dalla costituzione, dalle leggi e dagli statuti comunali, che si va dissolvendo.

L’antica Capodistria oramai sembra aver fatto definitivamente posto alla moderna Koper, dove sembra esserci molto più spazio per accogliere nuovamente i tesori dell’arte veneta rimossi durante la guerra, che per un paio di targhe con toponimi usati dai vecchi capodistriani e oramai privi di significato per i Koprčani.


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