Non ci mise molto il punk ad arrivare in Jugoslavia. Nel 1977, a due anni dalla formazione dei Sex Pistols, a Lubiana iniziano a suonare i Pankrti, la prima punk band nata al di qua della Cortina di ferro

11/04/2014 -  Gianluca Grossi

Il punk sconvolse in poco tempo i paradigmi musicali di America ed Europa con una prorompente proposta che andò contro tutto e tutti, sradicando i classici leitmotiv pentagrammati e dando spazio a band che spesso non sapevano nemmeno prendere in mano uno strumento.

Il caso dei Sex Pistols fu emblematico. Per Johnny Rotten e Sid Vicious venne prima di tutto la provocazione. Anticonformismo e irriverenza prevaricarono su ogni altra cosa, con il desiderio di infrangere le regole e distruggere l'immagine stereotipata del british style e della monarchia (con cui se la presero a morte). Scrissero canzoni oggi passate alla storia come "Anarchy in UK", ma bruciarono in fretta, come accadde a molte altre band del periodo, e come del resto successe allo stesso movimento punk che, almeno per ciò che riguarda la purezza dei virgulti iniziali, si consumò con l'arrivo degli anni Ottanta, sopraffatto dai lustri e lustrini dell'epopea synth pop e dal dark di Robert Smith e soci.

Col contagocce

L'unica zona dell'Europa in cui il punk giunse con il contagocce fu l'est: la Cortina di ferro, di fatto, impedì alle mode occidentali di far breccia negli usi e costumi di chi viveva al di là dei confini di Germania Ovest e Austria, segnando uno spartiacque non tanto geografico quanto culturale, sociale e ideologico. Con un'eccezione, la Slovenia, fra le più piccole ex-repubbliche jugoslave.

Il punk arrivò a Lubiana nel 1977, due anni dopo la formazione ufficiale dei Sex Pistols. Vi arrivò grazie a numerosi e intraprendenti giovani che abitualmente superavano il confine della nazione, per andare a comprare i dischi d'importazione a Trieste, o per assistere ai concerti punk che si tenevano regolarmente in Austria, dove il movimento musicale era scoppiato in tutto il suo fragore, abbracciato apertamente da una buona parte dell'intellighenzia musicale locale.

In poco tempo la voglia di tingersi i capelli, indossare giubbotti di pelle attillati e spille di vario genere, e di ripudiare realtà amministrative giudicate obsolete e prevaricatrici, si fecero largo fra le nuove generazioni slovene, specie nel panorama underground. Peraltro qualche critico aveva già provato ad abbozzare il termine Novi Val (New Wave), riferendosi a ragazzi che vivevano o avrebbero voluto vivere di arte, parafrasando le iniziative occidentali, dove la creatività trovava libero sfogo in ambito sociale, facendo notizia e trovando i canali giusti per emergere dal sottobosco civile.

I Pankrti

Nel marasma di questa nuova avventura "avanguardistica", trovarono luce anche due giovanotti provenienti da Kodelijevo, sobborgo di Lubiana, oggi sede dell'omonimo parco e del più grande complesso di piscine della metropoli: Gregor Tomc e Peter Lovšin.

Il primo è figlio di Elena Puhar, pedagoga di fama nazionale e madre di Alenka Puhar, giornalista, storica e traduttrice. Frequenta le scuole superiori a New York, dove si innamora delle canzoni di Bob Dylan, delle protest songs e del rock'n'roll. Torna in patria e frequenta l'Università di Lubiana, preparandosi a diventare ricercatore presso l'Istituto di Sociologia dell'ateneo cittadino e collaboratore di uno dei più importanti filosofi moderni, Slavoj Žižek, perfetto conoscitore del marxismo e della psicoanalisi lacaniana (nonché autore del bellissimo Vivere alla fine dei tempi, uscito in Italia nel 2011 per Ponte delle Grazie).

Peter Lovšin, conosciuto anche come Pero, è invece un cantante, prossimo alla laurea in sociologia e scienze politiche all'Università di Lubiana e da sempre impegnato anche in campo giornalistico. Si conoscono e decidono di dare forma alle loro idee battezzando la nascita di un gruppo che sappia coniugare protesta e musica ad alto volume; una band punk è la risposta immediata ai loro bisogni.

Così nascono a Lubiana, quasi quarant'anni fa, i Pankrti, definiti da pubblico e critica (e da loro stessi) la prima punk band nata "al di qua della Cortina di ferro". Pamkrti significa "bastardi", termine in grado di riassumere molto bene il "sentimento nuevo" delle nuove generazioni, sradicate dal passato, e tese verso un futuro ancora tutto da inventare e ancora ben lontano dall'ipotesi di una guerra che avrebbe di lì a quindici anni sconvolto non solo i Balcani.

Realizzano i primi concerti nelle scuole superiori della capitale slovena, attirando immediatamente l'attenzione dei media e dei più giovani che in loro vedono il proprio desiderio di emancipazione e occidentalizzazione. Debuttano con cover dei Sex Pistols e dei Clash e di gruppi riconducibili al proto-punk newyorkese, come i New York Dolls, prima di dedicarsi alla produzione di testi e musiche originali, come "Za zelezno zaveso", canzone chiaramente debitrice del sound espresso dalla band di Joe Strummer. Il brano ricorda, infatti, "London Calling", leggendaria composizione dell'ensemble londinese.

Anni '80

Si sono, dunque, già fatti un nome nel 1980, quando entrano in studio per dare alle stampe il primo lavoro ufficiale, Dolgcajt, registrato e mixato all'Akademik Studio di Lubiana. Nello stesso anno assurgono agli onori della cronaca musicale con la compilation Novi Punk Val, con registrazioni compiute fra il 1978 e il 1980. Le prime tre canzoni - "Anarhist", "Trovar'si, jest vam ne verjamem", "Lublana je bulana" - sono dei Pankrti. A seguire compaiono i lavori di altri paladini della punk revolution slava, dei Paraf, provenienti da Rijeka e dei Prljavo Kazaliste, zagrabesi.

Državni ljubimci, seconda fatica della band, è del 1982 e vince il premio come migliore album dell'anno in Jugoslavia. E' supportato dalla ZKP RTVLJ, super casa discografica, ancora oggi al lavoro con figure come la bravissima pianista Kaja Draksler e la cantante Nana Milcinski, portavoce di un delicato pop rock alla Carole King. Comprende tredici tracce e vede il coinvolgimento di Boris Kramberger (basso), Tone Dimnik-Coc (batteria) e Bogo Pretnar (chitarra). Facile percepire nuovi echi strummeriani in brani come "Zastave v prvem planu".

Nel 1984 giocano con le parole, in particolare, con il titolo di un disco dei Beatles: White album, nel loro immaginario, diviene Red Album. Il colore non è casuale, rimandando esplicitamente alla lotta politica e alla tinta privilegiata nei contesti rivoluzionari, instauratesi simbolicamente con il primo governo marxista della Comune di Parigi, a capo della città, per un brevissimo periodo, nel 1871. L'enfasi politica emerge in tutta la sua facinorosità nella title track del disco, "Bandiera Rossa", celeberrimo inno della classe operaia italiana, la cui melodia risale all'Ottocento, mentre il testo viene ricondotto a uno sconosciuto autore, Carlo Tuzzi. Il pezzo è ancora oggi il più rappresentativo della band e senz'altro il più facile da reperire.

Destabilizzante il successivo Pesmi sprave, del 1985, che si apre con il suggestivo organo di "Osmi dan", quasi il passo di una liturgia ortodossa, presto deflagrato dal fracasso di chitarre elettriche taglienti e da un ritornello orecchiabile e coinvolgente. Anche la copertina stupisce, con un uomo che imbraccia un forcone a due passi da tre bimbi che giocherellano impavidi con il modellino di un camion. Tornano i Clash con "Zvečer v mestu", mentre la new wave britannica emerge in "Skupi".

L'ultima avventura ufficiale della band è del 1987. Uno dei brani più interessanti di Sexpot è "Adijo Ljubljana", il cui testo rievoca i luoghi dell'infanzia dei due primattori che vestono il ruolo di un soldato che dice addio alla sua città natale. L'ultimo live è dello stesso anno, avviene a Lubiana e non a caso è intitolato Zadnji pogo (L'ultimo pogo). Non è ben chiaro ciò che accade dopo, ma la band si ferma, forse perché gli interessi dei due leader sono troppi e non più gestibili all'interno di un gruppo punk. Tornano a suonare insieme nel 1996, supportando il Filthy Lucre Tour dei Sex Pistols, e nel 2007, in occasione del trentesimo anniversario della nascita dei Pankrti e dell'uscita del disco punk più leggendario della storia: Never Mind The Bollocks.


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