Idomeni, foto di Stefano Lusa

Nell'attesa del summit di oggi tra Ue e Turchia i rifugiati ad Idomeni, al confine greco-macedone, continuano ad arrivare e a rimanere fermi per giorni in condizioni drammatiche. Reportage

07/03/2016 -  Stefano Lusa Idomeni

Uno slum nel bel mezzo d’Europa. E’ sera. Un barbiere con una pila attaccata alla testa taglia i capelli ad un ragazzo. Una donna tira un grosso tronco. Giovani tentano di vendere sigarette, una vecchietta cerca di racimolare qualche soldo con legna da ardere già tagliata e pronta per alimentare i falò. Fino a poco prima c’era anche qualcuno che commerciava in pentole e spugnette. Domani nuove iniziative commerciali nasceranno nell’accampamento. Mancano ancora i ras, il servizio d’ordine autorganizzato, ma sono solo i primi giorni.

Famiglie e coppiette si fanno un giretto serale come fossero sul viale della loro città, altri stanno seduti intorno al fuoco, scaldano vivande o l’acqua per il the. Un folto gruppo di bambini sta seduto incantato davanti al proiettore, alimentato da un generatore, che trasmette cartoni animati. Idomeni presto potrebbe trasformarsi nella nuova Calais Jungle d’Europa.

L’aria è irrespirabile. Centinaia di fuochi vengono alimentati con legna, plastica e rifiuti di vario tipo. Migliaia di persone si preparano a passare un'altra notte nel campo. Lungo la strada che conduce all’accampamento il flusso non si ferma nemmeno quando cala il buio. I profughi trascinano borse e coperte. Non si viaggia più leggeri come si faceva al tempi in cui la rotta balcanica era aperta.

Sempre di più

L’insediamento cresce a vista d’occhio. Le tende hanno anche occupato la zona dove passano i binari della ferrovia. Gli addetti fanno fatica a convincere le persone ad accamparsi ad una distanza sufficiente. Lenti, quasi nulla fosse, i convogli continuano a passare, la gente si sposta dai binari quel tanto che basta.

Il campo è disposto in maniera scomposta e senza alcuna logica. Nessuno si è preso la briga di organizzarlo. Migliaia di persone ammassate aspettano. La loro principale occupazione sembra essere quella di mettersi in fila. Una lunga colonna aspetta di verificare se i documenti sono validi, si fa un'altra coda per la distribuzione del cibo ed un’altra ancora per avere assistenza medica. L’attesa più importante però è quella davanti al pertugio che porta in Macedonia. Passano per primi quelli che sono da più tempo in Grecia. I nuovi arrivati dovranno aspettare settimane.

La mattina dall’aria è sparito il puzzo di fumo, ma si fa fatica a non infangarsi. Qua e la ci sono pozze d’acqua che stentano ad asciugarsi, mentre dalle docce scende un rivolo ad alimentare uno stagno. Si sente tossire in continuazione. Sembrano esserci tutte le condizioni per favorire il diffondersi di epidemie.

La vita, anche in condizioni estreme, sembra scorrere secondo i normali canoni. Nel bar a ridosso della stazione si caricano i telefoni, si sta seduti ai tavoli e si chiacchiera. I gestori si fregano le mani. Da queste parti probabilmente non hanno mai avuto tanti clienti. I bambini giocano, qualcuno fa il bucato, altri si lavano i capelli o riassettano le tende. Le ragazze trovano il tempo per truccarsi e per sistemarsi prima di andare in giro.

Nel villaggio e in Macedonia

A qualche centinaio di metri, nel piccolo villaggio di Idomeni la vita prosegue lenta. La popolazione non pare infastidita dalla presenza dei profughi. La gente passa davanti al campo con le macchine, e praticamente non lo vede. Tra quelli che passano con le macchine c’è chi si ferma e allunga qualcosa ai profughi. Una lunga file di migranti attende di fronte al piccolo spaccio cittadino. Accanto qualcuno vende dei pomodori, mentre sulla strada c’è il banchetto con le arance. L’ambulante che fa i panini sembra fare affari d’oro. Arriva persino un furgoncino con la giovane addetta di un operatore di telefonia mobile che si mette a vendere schede e ricariche.

Dall’altra parte del confine il movimento di truppe è frenetico. Difendere la Macedonia dalla Grecia e dai pericoli che arrivano dall’area Schengen è una faccenda seria. Camionette della polizia e dell’esercito fanno la spola tra Gevgelija e la barriera. Negli ultimi tempi passano in 400 al giorno, ne passavano anche in 10.000. Le procedure sono lunghe e meticolose. Bisogna avere un documento d’identità valido, il foglio con la registrazione effettuata in Grecia e non bisogna essere stati per più di un mese in Turchia.

Si passa a gruppi famigliari. Appena entrati in Macedonia, comincia una complicata verifica, che si ripete anche all’ingresso del campo di transito. Se le autorità decidono che tutto è in regola si proseguirà alla volta della Serbia che effettuerà altri controlli e poi toccherà a Croazia, Slovenia ed Austria. Ogni volta i profughi possono venir respinti al mittente con le più svariate motivazioni. E’ la ricetta voluta dall’Austria e dall’Europa dell’est per far fronte alla crisi. Gli altri, anche l’Unione europea, premio Nobel per la pace stanno a guardare.

Il campo macedone potrebbe accogliere alcune migliaia di persone, ma è praticamente vuoto. Davanti ad esso bivaccano 107 iracheni: yazidi, musulmani e cristiani. Sono finiti nelle mani di un passeur che li ha abbandonati in Serbia, quando li hanno presi li hanno spediti in Macedonia e i macedoni speravano di darli ai greci, che però non hanno voluto prenderli visto che non c’è nessuna prova che fossero passati di lì. A quel punto sono stati lasciati nella terra di nessuno con i macedoni che non hanno nessuna intenzione di farli entrare nel loro campo che considerano solo di transito. Sono finiti in una falla del sistema. L’alto commissariato dell’ONU per i rifugiati tenta ti tirarli fuori, ma si scontra con l’indifferenza delle autorità di Skopje.

A poche centinaia di metri di distanza c’è il confine. Poliziotti austriaci, cechi, slovacchi, sloveni, croati e serbi aiutano i loro colleghi macedoni a difendere la barriera. A ridosso della linea ferroviaria, dove la porta si apre per far passare i treni, è stato piazzato un cannone ad acqua. I convogli per passare sono costretti a fermarsi. A quel punto i militari aprono i battenti e si pongono ai lati del treno. Non appena l’ultimo vagone è passato tutto richiude immediatamente.


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