L’Hub biotecnologico di Lubiana - foto G. Vale

L’Hub biotecnologico di Lubiana - foto G. Vale

Un nuovo centro di ricerca sloveno è operativo nella capitale Lubiana: è l’Hub biotecnologico dell’Istituto nazionale di Biologia (NIB), creato grazie ai fondi europei e inaugurato lo scorso febbraio, che cerca di studiare e dare risposte alle sfide ambientali che ci attendono

01/07/2024 -  Giovanni Vale Lubiana

All’interno delle grandi vetrate, il vento che scuote Lubiana sembra non esserci. Vediamo i ciliegi donati dal Giappone vibrare con forza nel giardino esterno, ma percepiamo soltanto un silenzio assoluto.

David Stanković, il vice-direttore del Dipartimento di ricerca sugli organismi e gli ecosistemi, ha l’ingrato compito di dovermi spiegare – nel linguaggio più laico possibile – cosa si fa all’interno del nuovo Hub biotecnologico sloveno .

Questo centro di ricerca, che fa capo all’Istituto nazionale di Biologia (NIB) è stato inaugurato a metà febbraio nella parte occidentale della capitale slovena, in un’area verdeggiante dove si trovano già diverse facoltà dell’Università di Lubiana.

Con oltre 6.500 metri quadri di superficie disposti su due piani, il nuovo “Hub” dispone di tutti i macchinari più moderni per la ricerca biotecnologica.

Maja Ravnikar, direttrice del NIB (foto G. Vale)

Maja Ravnikar, direttrice del NIB (foto G. Vale)

“Quest’infrastruttura è molto importante, ma ancora più importanti sono le persone che lavorano al suo interno”, dice David Stanković. Dei tre dipartimenti in cui è organizzato il centro – biotecnologia, tossicologia e ricerca sugli ecosistemi – Stanković è impiegato nel terzo.

“Studiamo il modo in cui gli organismi comunicano, si riproducono, evolvono e come le specie interagiscono tra di loro. Sviluppiamo nuovi metodi per il monitoraggio della biodiversità e questo con lo scopo di capire in che stato di salute sono gli ecosistemi attorno a noi”, spiega il ricercatore, prima di aggiungere: “La biodiversità è in crisi e anche se questo è ormai noto a livello globale, le azioni tardano ad arrivare”.

Mentre camminiamo per i corridoi dell’Hub biotecnologico, passiamo vicino alla stanza dove sono contenuti alcuni esemplari di insetti impollinatori selvatici.

“Sono importanti tanto quanto le api domestiche, se non di più. Sono responsabili del 50% del processo di impollinazione in natura”, afferma David Stanković.

In un altro laboratorio, un vibroscopio di precisione permette di riconoscere e registrare le vibrazioni emesse dagli insetti.

“La Slovenia è un paese piccolo, ma affronta le stesse sfide a cui siamo sottoposti tutti a livello globale. La biodiversità cala e se nella rete di un ecosistema cominciano a mancare degli anelli, questo può provocare grandi squilibri”, conclude il ricercatore, che avverte: “Dobbiamo restituire spazio alla natura, e in fretta”.

Una nuova agricoltura

Nel momento in cui visito il nuovo centro di ricerca sloveno – frutto di un investimento da 36 milioni di euro (finanziati all’80% dai fondi di coesione Ue) e di quasi due anni e mezzo di lavori – la Slovenia, come altri paesi europei, è scossa dalle manifestazioni degli agricoltori.

Il “Green Deal europeo ”, che ha introduce l’obiettivo della neutralità climatica per l’Europa entro il 2050, è messo in discussione, in particolare dagli agricoltori, che contestano tra le altre cose il taglio del 50% dell’uso dei pesticidi.

Al primo piano dell’Hub biotecnologico del NIB, Kristina Gruden dirige il Dipartimento di Biotecnologia e biologia dei sistemi.

“Una parte importante del nostro lavoro è in qualche modo legato all’agricoltura”, afferma la ricercatrice. Uno dei progetti su cui la sua squadra sta lavorando al momento riguarda proprio lo sviluppo di una possibile alternativa all’uso dei pesticidi.

“Come gli umani, anche le piante convivono con i microbi, che le aiutano e le proteggono – spiega Kristina Gruden – tuttavia, l’uso eccessivo di pesticidi e fertilizzanti riduce drasticamente la presenza di microbi sulla pianta”.

Per questo, al centro di ricerca hanno messo a punto un sistema per “immergere” i semi della pianta in una soluzione ricca di microbi, così da garantire fin dal principio un legame solido tra microbi e pianta.

Un altro modo per rendere le piante più resistenti alle malattie e alle nuove condizioni climatiche (lunghi periodi di siccità, elevate temperature, inondazioni…) è quello di modificare il loro patrimonio genetico.

“La cosiddetta biologia sintetica sembra di moda oggi, mentre il termine OGM continua ad essere mal visto dal pubblico, ma solo perché non si conosce come funziona la tecnologia”, assicura la ricercatrice.

Fin da quando ha iniziato a coltivare piante per il suo sostentamento, l’uomo ha selezionato e incrociato le specie, al fine di ottenere quelle più resistenti e produttive.

“Analizzando e selezionando i geni, possiamo accelerare quel processo”, spiega Kristina Gruden, la cui squadra ha anche il compito di analizzare le piante e i semi che entrano in Slovenia da paesi non-UE. Secondo la normativa europea, un organismo è considerato geneticamente modificato (OGM) se la quantità di geni transgenici supera lo 0,9%.

Farsi capire dalle autorità

Lasciata la serra dove sono trattenute le piante in quarantena, attraversiamo il piano dedicato al Dipartimento di tossicologia genetica e biologia del cancro, dove si studiano, tra gli altri, gli effetti degli agenti chimici e delle nanoparticelle sul DNA umano.

In tutto 160 persone lavorano nel nuovo HUB biotecnologico sloveno, mentre altre 40 sono dislocate alla Stazione biologica marina di Pirano, aperta nel 1969, nove anni dopo la fondazione dell’Istituto nazionale di biologia (NIB) da parte dell’Università di Lubiana.

“Aspettavamo da 14 anni un centro di ricerca come questo. Se ne parlava già nel 2010”, ricorda Maja Ravnikar, la direttrice del NIB. Oggi, l’obiettivo delle autorità slovene – spiega Ravnikar – è quello di rendere le infrastrutture di ricerca “più verdi” e altri importanti investimenti nel campo della ricerca sono previsti nei prossimi dieci anni.

“Le autorità pubbliche reagiscono e prendono spesso delle decisioni sulla base dei risultati che forniamo. Ad esempio, in Slovenia si utilizzavano tradizionalmente i pesticidi nei campi al mattino e alla sera. Ma dopo che abbiamo dimostrato che molti bombi volano al mattino, si è ora limitato l’uso dei pesticidi al solo pomeriggio”, afferma Maja Ravnikar.

Ma la comunicazione con le autorità pubbliche presenta ancora ampi margini di miglioramento. “Spesso gli stakeholders non capiscono a sufficienza il nostro lavoro o forse noi non siamo in grado di spiegarlo abbastanza bene”, conclude la direttrice.

L’apertura del nuovo Hub – inaugurato con orgoglio dal ministro dell’Educazione, della Scienza e dell’Innovazione sloveno – può forse essere l’occasione per un nuovo inizio nei rapporti tra scienziati e politici in Slovenia. Il tempo dell’incomunicabilità tra queste due categorie è in ogni caso scaduto da un pezzo.

 

 

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Questo materiale è pubblicato nel contesto del progetto "Energy4Future" cofinanziato dall’Unione europea (Ue). L’Ue non è in alcun modo responsabile delle informazioni o dei punti di vista espressi nel quadro del progetto. La responsabilità sui contenuti è unicamente di OBC Transeuropa. Vai alla pagina "Energy4Future"


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