Il premier ed il presidente non commentano, forse per distinguere il destino ''europeo'' della Slovenia dal resto dei Balcani. Ma con Milosevic è stato un rapporto di odio-amore. Il centralismo grandeserbo, enfatizzato con violenza da Slobo, alimentò e legittimò le ansie indipendentiste di Lubiana
Reazioni tutto sommato tiepide a Lubiana per la misteriosa morte di Slobodan Milošević all'Aia. Sia il premier Janez Janša che il presidente Janez Drnovšek si sono astenuti dal commentare la notizia ed i suoi sviluppi, volendo forse ostentare così la distanza che separerebbe la Slovenia "europea" dai Balcani di cui Milošević è stato uno dei protagonisti più controversi.
Più loquace e visibilmente soddisfatto invece il ministro degli Esteri Dimitrij Rupel, il primo a parlare e per il quale la morte del dittatore serbo significa una nuova occasione, un nuovo avvio per la Serbia, nei confronti della quale Lubiana non cela di voler assumere il ruolo di uno sponsor particolarmente interessato, soprattutto economicamente, alla sua "europeizzazione".
Meno ottimista e più analitico invece il commento del leader dell'opposizione e presidente del partito liberaldemocratico Jelko Kacin. La morte di Milošević in tali circostanze non è una buona notizia in quanto non semplificherà ma complicherà il processo di superamento dei traumi causati dall'ex leader serbo nei già complicatissimi Balcani. Insomma un Milošević morto così misteriosamente, oltre ad interrompere di fatto il procedimento giudiziario della Corte internazionale nei suoi confronti e di conseguenza il chiarimento sui crimini di guerra in Bosnia, Croazia e nel Kosovo, rischia di destabilizzare soprattutto i riformisti in Serbia, creando il martire che i revanscisti attendevano. E rafforzando nuovamente nell'area il fattore Russia.
Anche l'opinione pubblica slovena sembra distratta; Milošević è una vecchia e brutta storia quasi dimenticata, ma c'è anche chi, con ironia e sarcasmo, ricorda che all'ex presidente serbo vanno riconosciuti i meriti più grandi per l'indipendenza dell'ex repubblica jugoslava, diventata unico membro a pieno titolo dell'Unione Europea.
Tra la Slovenia e Slobodan Milošević c'è stato sin dalla fine degli anni '80 uno strano rapporto di odio-amore. Milošević, il boia dei Balcani, la Slovenia la demonizzò solo a fini strumentali. E il favore fu reciproco. Il centralismo grandeserbo, enfatizzato con violenza da Slobo, alimentò e legittimò le ansie indipendentiste di Lubiana. A capitalizzarle fu soprattutto il Demos, la compagine anticomunista che vinse le prime elezioni democratiche nel 1990 e che cercò con ostinazione di dimostrare l'affinità ideologica e quindi la parentela politica tra Milošević e Milan Kučan. Abbinamento improprio, che tra gli elettori alle presidenziali slovene non fece mai breccia.
L'unico vero e temuto avversario politico di Slobo, sin dagli anni '80, fu il "confederalista" e riformista Kučan, non certo i nazionalisti tipo Janša o Rupel. Nel 1989 Milošević tacciò la Slovenia, allora ancora in mano al partito di Kučan, di essere un concentrato di filoirredentismo albanese e di sentimenti antijugoslavi. Dai suoi pulpiti belgradesi tuonò persino minacce di arresti in massa delle voci dissinzienti slovene. Tentò poi anche l'approccio forte, populista e a ritmo di kolo, prima facendo leva su alcuni generali, poi mandando i suoi emissari a Lubiana per organizzare uno dei suoi "meeting della verità" che avrebbe rimesso in riga la recalcitrante repubblica settentrionale.
Nel fiasco che ne seguì, per la risposta ferma e compatta della Slovenia di Kučan e dell'Alleanza socialista di Jože Smole, un comunista riformista vicino a Kučan che non sopportava il nazionalismo di Milošević, Slobo intravide l' inutilità di puntare su una Grande Serbia che includesse anche la Slovenia e così decise di sganciarla, trasformandosi, nel momento cruciale dell'indipendenza di Lubiana e della "guerra dei dieci giorni" che ne seguì, in uno dei suoi alleati più inaspettati ed efficaci.
Milošević si distanziò dal goffo tentativo di Ante Marković di tenere la Jugoslavia unita con i carriarmati in giro per la Slovenia e usò con astuzia l'indipendenza di Lubiana per accellerare la serbizzazione dell'Armata jugoslava e concentrare le sue operazioni nei territori che considerava strategici per il suo progetto: la Krajina in Croazia, la Bosnia Erzegovina e naturalmente il Kosovo.
All' Aia, contro Slobodan Milošević, testimoniò volontariamente anche Milan Kučan. Janez Drnovšek, che fu il penultimo presidente jugoslavo e che, su invito del leader serbo partecipò nel 1989 al grande raduno di Gazimestan in Kosovo, dove Slobo dichiarò per la prima volta solennemente guerra ai "nemici della Serbia", preferì rispondere picche a chi gli chiedeva di seguire l'esempio di Kučan e di testimoniare.
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