All'indomani del primo turno delle elezioni presidenziali in Serbia il premier sloveno Jansa ostenta tranquillità. A suo avviso poco contano i risultati elettorali serbi sul futuro del Kosovo. Usa e Ue avrebbero già deciso
Il futuro del Kosovo non cambierà e non dipenderà dalla vittoria di Nikolić o di Tadić in Serbia. Lo ha lasciato intendere Janez Janša in una lunga intervista »teleguidata«, nel suo stile, sulla TV di stato slovena.
Le decisioni rilevanti sono state già prese nel quadro dell'UE in dicembre - sostiene Janša - rispondendo tra le righe affermativamente alla domanda del giornalista se ci sarà il riconoscimento europeo ed internazionale dell'indipendenza del Kosovo il 4 febbraio, un giorno dopo il ballottaggio in Serbia e se la decisione sia stata riconfermata alla riunione UE a porte chiuse di sabato scorso, come scritto da La Repubblica.
Janša fa un pò l'indiano ma poi preme, dicendo, che non è il caso di attendere gennaio o febbraio per decisioni così importanti, e che comunque l'UE ha già un piano di azione che prevede l'invio di 1800 poliziotti a sostegno della Nato in qualità di "missione civile". Belgrado - in pratica - dovrà accettare la proclamazione dell'indipendenza che sarà garantita dalle forze Nato e dalla missione civile europea.
Nell'esito della consultazione di domenica scorsa in Serbia, che avvantaggia per ora il radicale Tomislav Nikolić con quattro punti sul suo rivale Boris Tadić, e che secondo gli ossservatori dipenderà dai voti orientati nel secondo turno dal premier Koštunica, più vicino a Tadić, Janša non vede nulla di preoccupante. Secondo il premier sloveno ciò che conta è che la campagna sia stata moderata.
Vinca l'uno o l'altro, le sorti del Kosovo non cambieranno, perché così hanno deciso primi gli USA e poi anche l'UE. Il Kosovo è di fatto già una base militare della Nato. Janša non prevede alcuna conseguenza bellica, ma solo qualche "turbolenza" controllabile e gestibile grazie alla presenza internazionale occidentale nella provincia a maggioranza albanese. Alla Serbia la Slovenia e l'UE continueranno a proporre lo zuccherino dell'associazione europea, compreso il pressing per ammorbidire le posizioni e le condizioni poste dal Tribunale dell'Aja.
Pochi giorni fa infatti il ministro degli Esteri sloveno Dimitrij Rupel ha incontrato Serge Brammertz, procuratore capo del Tribunale internazionale dell'Aja per i crimini di guerra nell'ex Jugoslavia. Il successore della tenace Carla del Ponte è fresco di nomina e Rupel lo ha incontrato in qualità di presidente di turno dell'Unione europea. Subito dopo si è incontrato anche con l'omologo olandese. L' Olanda è tra i paesi europei più restii ad aperture incondizionate nei confronti di Belgrado in cambio di un allentamento sulla prossima indipendenza del Kosovo.
A cosa abbia puntato il blitz del ministro sloveno è facilmente intuibile. La sua missione è convincere il Tribunale dell'Aia a cedere sulle condizioni poste alla Serbia per firmare l'Accordo di associazione con l'UE. La ferma posizione mantenuta sinora dai magistrati internazionali - prima fra tutti Carla del Ponte - in merito all'arresto e all'estradizione di Ratko Mladić e Radovan Karadžić, accusati di orrendi crimini di guerra in Bosnia negli anni novanta culminati con le stragi nelle "zone protette dall' ONU" di Srebrenica e Goražde, è diventato un intoppo nella strategia che prevede il riconoscimento di Priština da una parte e l'associazione europea a Belgrado dall'altro.
La Del Ponte ebbe a suo tempo un battibecco a distanza proprio con Rupel, che già l'anno scorso aveva proposto di sdoganare la Serbia dai suoi obblighi nei confronti dell'Aja. Ora i tempi sono stretti anche per il secondo turno delle elezioni presidenziali serbe. Tutta l'agitazione messa in moto dall'UE attorno alla questione Kosovo ha in verità finora favorito Nikolić. Bruxelles il via all'associazione della Serbia potrebbe deciderlo anche da solo, bypassando la corte dell'Aja che per ora sembra rimanere ferma sulle sue posizioni. Ma in questo caso creerebbe un deprecabile precedente e seppellirebbe l'autorità di una corte nata per dare giustizia alle vittime dei crimini di guerra con le armi del diritto e come esempio al mondo.
Per evitare una blamage come questa l'UE ( forse con il beneplacito USA) ha mandato Rupel a convincere i il procuratore capo. E' meglio se la corte decide di mollare l'osso di sua "spontanea volontà". Il presidente di turno dell'UE cerca di esercitare pressione - per procura - sulla corte.
Per poter riconoscere tranquillamente il Kosovo tra due settimane per Bruxelles potrebbe essere lecito chiudere un occhio sui crimini di guerra impuniti e sui responsabili di Srebrenica.
Ma forse questo passo non sarà necessario. La vittoria di Tadić potrebbe flessibilizzare Belgrado anche per un prezzo minore e rafforzare la via diplomatica europea. Ma c'è persino chi sospetta che forse agli USA piacerebbe di più una vittoria di Nikolić; più chiarezza, meno ambiguità; un ottimo pretesto per recidere, con un taglio netto, all'americana, e reso possibile dalla Nato presente nel Kosovo, il cordone ormai rinsecchito che lega la provincia a una Serbia sempre più frustrata. Ma la Russia starà a guardare?
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