Il via libera al proseguimento del cammino della Croazia verso l'Unione europea visto da Lubiana. Pahor presenta l'accordo con l'omologa croata come una vittoria, incassa l'appoggio dei suoi, ma l'opposizione è infuriata. E per il via libera definitivo all'ingresso occorreranno i 2/3 dei voti del parlamento
La sintonia tra i capi di governo di Slovenia e Croazia è stata evidente sin dal loro primo incontro. Il 31 luglio la nuova premier croata, Jadranka Kosor, aveva atteso il primo ministro sloveno, Borut Pahor, con uno sgargiante completino rosso. Lui aveva sfoggiato una cravatta che sembrava fatta con la stessa stoffa. Venerdì scorso la scenetta si è ripetuta: a Lubiana lei aveva un abito nero bordato di bianco e lui una cravatta scura con delle sottili righine chiare. Decisamente troppo per essere una banale coincidenza.
Nella capitale slovena i due hanno trovato subito un'intesa. La Kosor si è premurata di mandare all'Unione europea la lettera che risolveva il contenzioso direttamente dal fax dell'ufficio di Pahor. Nessun documento presentato dalla Croazia nel corso della trattativa d'adesione all'Unione europea potrà pregiudicare la soluzione del contenzioso confinario - è stato scritto - mentre i due paesi tracceranno la frontiera o con un arbitrato o con un'intesa bilaterale.
Dopo i colloqui i due primi ministri si sono concessi una passeggiata ed un caffè nel pieno centro cittadino. Di fronte ai giornalisti hanno ostentato grandi sorrisi per il raggiungimento di una soluzione a cui si stava lavorando da mesi. Questa volta la trattativa si è svolta in gran segreto e le due diplomazie sono riuscite a non farsi sfuggire nessuna indiscrezione.
I due premier hanno cercato di sottolineare che a vincere sono stati entrambi i paesi. L'accordo, infatti, deve essere metabolizzato dalle rispettive opinioni pubbliche e dalle forze politiche. In Croazia la notizia è stata accolta come una vittoria. Il capo dello Stato Stjepan Mesić si è affrettato a dire che la Kosor aveva segnato un gol. Il premier Pahor, invece, nel giorno dell'intesa non si è presentato né in parlamento - alla riunione del Comitato esteri - né in televisione. L'ingrato compito di spiegare la situazione è stato lasciato al povero ministro degli Esteri Samuel Žbogar.
Il premier sloveno, però, non ha potuto evitare di andare in parlamento martedì scorso alla seduta dove il Comitato esteri doveva discutere del patto appena raggiunto. Pahor si è premurato di chiarire perché era così diverso da quello che era stato offerto nel dicembre scorso. Alla vigilia del blocco sloveno, infatti, grazie alla mediazione francese, i croati erano già pronti a dichiarare che i documenti presentati in sede comunitaria non avrebbero pregiudicato il confine.
Il capo del governo sloveno ha precisato che questa volta, però, la Croazia si è impegnata a risolvere la questione confinaria nell'ambito del processo di adesione all'Unione europea e così il problema non è più bilaterale ma riguarda l'intera Unione europea.
Alla vigilia della riunione, per Pahor, è arrivato un'importante salvagente da Zagabria. Il ministero degli Esteri ha precisato che i due paesi riprenderanno a dialogare dell'arbitrato sulla base della proposta avanzata, il 15 giugno scorso, dal Commissario all'allargamento Olli Rehn. All'epoca il documento era stato giudicato inaccettabile dai croati, mentre aveva trovato maggiori consensi in Slovenia. A quel punto il dialogo si era bloccato e l'Unione europea aveva invitato Lubiana e Zagabria a sbrigarsela da sole.
Pahor, subito dopo i colloqui con la sua omologa croata, aveva fatto capire che la grande vittoria diplomatica slovena sarebbe stata proprio quella di far ripartire il negoziato da quel testo. Le prime dichiarazioni che erano arrivate da Zagabria non facevano intendere che fosse così. Poi, però, è arrivato il comunicato del ministero degli Esteri. A quanto sembra la conferma è partita pochi minuti dopo che il nuovo ambasciatore americano a Zagabria, James B. Foley, aveva consegnato le sue credenziali al ministro degli Esteri Gordan Jadroković.
In tutti questi mesi in Slovenia ci si è premurati di spiegare che non ci sarebbero state pressioni internazionali per far giungere all'accordo, ma lo stesso Pahor, di fronte ai parlamentari, ha precisato che alle trattative tra i due paesi hanno partecipato anche "alcuni diplomatici stranieri". A suo dire non sarebbero stati lì per "esercitare pressioni", ma perché era utile "avere qualche testimone".
Alla fine Pahor ha ottenuto il tanto agognato avvallo all'intesa. Al Comitato esteri del parlamento, però, non c'è stato un ampio consenso. Ha dovuto accontentarsi della sua coalizione e nulla più. Nessuno, comunque, si è premurato di cavillare sulla necessità di trovare la maggioranza di 2/3 con cui si dovrebbe poi votare il protocollo di ratifica dell'adesione della Croazia all'Unione europea.
L'opposizione appare infuriata soprattutto per non essere nemmeno stata consultata. I democratici si sono astenuti, mentre i Popolari ed il Partito nazionale hanno già annunciato l'intenzione di promuovere un referendum. Di possibile referendum, comunque, si parla anche nella maggioranza, ma non sul protocollo di adesione della Croazia, bensì sull'accordo di arbitrato che dovrà essere raggiunto in concomitanza con la fine del processo d'ingresso di Zagabria nell'Unione.
Intanto da Bruxelles spingono sull'acceleratore e vogliono chiudere quanto prima. La presidenza di turno svedese ha immediatamente convocato la conferenza intergovernativa di adesione della Croazia all'Unione europea, che è stata messa in agenda il 2 ottobre prossimo. Lo stesso giorno riprenderanno anche i negoziati per la definizione del protocollo d'arbitrato.
Lubiana a questo punto sembra essersi giocata definitivamente la carta del blocco. Appare infatti difficilmente ipotizzabile che lo stop possa essere riproposto. In ogni modo la mossa non sembra aver giovato troppo all'immagine della Slovenia sul piano internazionale, visto che non sembra aver incassato la solidarietà di nessuno.
La politica slovena comunque ha ancora qualche freccia nella sua faretra. Come si diceva il protocollo di adesione della Croazia all'Unione europea dovrà essere ratificato con una maggioranza di 2/3. A suo favore, quindi, oltre alla maggioranza dovranno votare almeno anche i democratici di Janša. Rimane poi sempre la spada di Damocle di un possibile referendum popolare, dall'esito quanto mai incerto.
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