Il mandato presidenziale di Borut Pahor è giunto al termine. Oggi Nataša Pirc Musar, la prima donna a salire sullo scanno presidenziale in Slovenia, giurerà davanti al parlamento. C'è una vicenda però che vale la pena ricordare: le medaglie delle onorificenze rifiutate da destinatari negli anni '90 e ora riconsegnate
Ha passato gli ultimi giorni da presidente a fare i conti con il passato. Borut Pahor ha riconsegnato e consegnato sei onorificenze ad altrettanti “eroi” dell’indipendenza slovena. Un modo per chiudere un altro capitolo della guerra senza quartiere tra destra e sinistra, che nel paese non accenna a fermarsi.
Ma andiamo con ordine. Subito dopo la proclamazione dell’indipendenza ed il riconoscimento internazionale la Repubblica assegnò ai politici che furono protagonisti di quella stagione importanti medaglie. Tra di essi anche quelle al premier Lojze Peterle, al ministro degli Esteri, Dimitrij Rupel, a quello della Difesa Janez Janša, a quello dell'Informazione Jelko Kacin e al presidente del Parlamento France Bučar. A tutti erano attribuiti meriti straordinari nella lotta per la libertà e l'indipendenza. Nel giugno del 1993 quelle medaglie vennero riconsegnate da un autista in un sacchetto di plastica della Bata, una catena di negozi di scarpe, alla portineria del palazzo presidenziale. Un irrispettoso gesto verso quello stesso stato che essi stessi avevano contribuito a far nascere. L’intenzione era quella di mettere in scena una plateale protesta perché, a poco più di due anni dal riconoscimento internazionale, sarebbero stati oramai sviliti i valori dell’indipendenza. Nel mirino anche una serie di personaggi a cui erano state assegnate altre onorificenze, additati di aver contribuito a costruire il regime repressivo bolscevico nel dopoguerra o di essere poco entusiasti dell’indipendenza.
Al termine del suo mandato il presidente Milan Kučan prese quel sacchetto e quelle medaglie e le consegnò al museo di storia contemporanea. Lì le onorificenze erano custodite sino a pochi giorni fa ma oggi nei depositi del museo resta solo il sacchetto. Pahor la settimana scorsa ha infatti invitato a palazzo i cinque protagonisti di quella vicenda ed ha ridato loro quelle medaglie, nell’intento di “mettere le cose al proprio posto”.
La vicenda non ha mancato di sollevare la solita ridda di polemiche e di far piovere da sinistra nuove critiche sul presidente. Così non è mancato chi ha fatto notare che proprio mentre quelle medaglie venivano ridate a chi le aveva restituite in una maniera così poco ortodossa, nella periferia di Lubiana, un “cancellato” moriva da solo nell’incendio della sua roulotte. “Pajo” aveva perso il diritto di risiedere in Slovenia dopo l’indipendenza e non era mai riuscito a riottenerla del tutto. Dopo anni aveva riavuto solo un permesso di soggiorno, che lo escludeva comunque da tutta una serie di programmi di assistenza di cui avrebbe avuto bisogno. Dito puntato su Igor Bavčar, ministro dell'Interno all'epoca della cancellazione, che dopo aver fatto il politico s'è dato all’economia, prima di chiudere la sua parabola discendente nelle patrie galere per una serie di malversazioni. Anche lui era da Pahor a riprendersi la medaglia.
Nella storia della Repubblica proprio quello delle onorificenze è diventato l’ennesimo campo di battaglia tra centrodestra e centrosinistra. Spesso i presidenti, tutti dall’indipendenza in qua espressione del centrosinistra, hanno dovuto sudare le proverbiali sette camicie per convincere gli esponenti del centrodestra ad accettare di venir decorati. Jože Pučnik, con un passato da perseguitato del regime e poi da protagonista della vittoria del Demos alle prime elezioni democratiche, non ne volle proprio sapere di venir insignito di una onorificenza. Dopo la sua morte, nel 2006, l'allora presidente della repubblica Janez Drnovšek gli diede un alto riconoscimento, ma la sua famiglia non ha mai voluto venirselo a prendere.
Pahor proprio a lui, nel 2015 dedicò una sala nel palazzo presidenziale, dove quell’onorificenza venne esposta al pubblico. In settimana la famiglia finalmente ha accettato di partecipare alla cerimonia di consegna solenne. Il presidente ha così chiuso un altro capitolo. Non il primo nei suoi dieci anni da Capo dello stato. Proprio lui ha inaugurato un monumento alla riconciliazione nel pieno centro di Lubiana, in cui si ricordano i morti di tutte le guerre e lui ha voluto chiudere le tragiche vicende del dopoguerra al confine orientale facendo tappa, assieme al presidente italiano Sergio Mattarella, a Basovizza su due luoghi simbolo della memoria: il monumento agli eroi di Basovizza (i quattro antifascisti fucilati dopo una sentenza del tribunale) e la Foiba di Basovizza. Dialogo e riconciliazione sono stati all’insegna anche dei suoi rapporti con il presidente austriaco Alexander Van der Bellen.
Pahor iniziò la sua carriera politica nelle file della Lega dei Comunisti per diventare poi nel 1997 presidente di quello che era rimasto del partito. Lo guidò ininterrottamente fino al 2012, cambiandolo profondamente. Quando decisero di cacciarlo annunciò la sua candidatura alla presidenza della Repubblica, rubando nuovamente la scena. Convinto di non voler essere un leader morale per il paese, impegnato a sventolare la bandiera slovena durante le partite della nazionale e usare piaggeria e populismo per creare consenso, ha cercato di essere soprattutto il presidente di tutti. Alla fine, probabilmente lo è stato, anche se nessuno è ancora pronto a riconoscerglielo.
Oggi Nataša Pirc Musar, la prima donna a salire sullo scanno presidenziale in Slovenia, giurerà davanti al parlamento e domani ci sarà il passaggio di consegne. Sin dalle premesse sembra voler interpretare il suo ruolo in una maniera ben diversa da quella del suo predecessore. Pahor potrà godere ancora un anno di uno status particolare, conservando segretaria e ufficio. Per lui potrebbe esserci qualche incarico internazionale o di rappresentanza, altrimenti dovrà andare a iscriversi all’ufficio di collocamento. La Slovenia non riserva particolari privilegi per i suoi ex politici, nemmeno per quelli che hanno ricoperto le massime cariche. Voglia di eguaglianza, ma anche la stessa carenza di senso dello stato che ha reso possibile che cinque padri della patria riportassero le loro alte onorificenze al palazzo presidenziale nel sacchetto della spesa.
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