Un'Europa non più in grado di dare risposte, proporre visioni sul futuro. Ed i Paesi dell'est Europa che rischiano la disillusione e pericolose derive. In Slovenia messa in dubbio l'autonomia della magistratura, sotto pressione le minoranze, limitate le capacità di critica del mondo dell'informazione
Di Franco Juri
Tra gli »effetti collaterali« della profonda crisi dell'Unione Europea c'è pure il reale pericolo di una deriva antidemocratica , antieuropea e nazionalista, sulla falsa riga leghista, nei Paesi di recente adesione ed in quelli ancora candidati. Fino a ieri nei Paesi ex comunisti in transizione l' entrata nell' Unione veniva considerata una delle mete più ambite, un punto di arrivo in nome del quale, sin dai tempi del »patto di stabilità« proposto e promosso in seguito alla crisi violenta nei Balcani dalle diplomazie dei quindici a favore dei paesi dell'Est, questi si impegnavano a consolidare i processi democratici, il rispetto dei diritti umani e delle minoranze nonché i rapporti di buon vicinato.
Per alcuni anni questa formula riuscì a mantenere una tensione positiva nei Paesi interessati, sempre attenti a favorire atteggiamenti esemplari in sintonia con le aspettative delle »democrazie avanzate« cui si ispiravano. In verità tale tensione democratica iniziò a perdere quota - e non solo nell'Europa dell'est - con la nuova epoca inaugurata dall'11 settembre, dalle tentazioni suscitate dallo »scoontro di civiltà« e dalle divisioni europee provocate, tra l'altro, dall'offensiva neoconservatrice americana in cerca di alleati della dottrina bellica preventiva in quella che Donald Rumsfeld definì la »Nuova Europa«.
All'interesse strategico di Washington per l'Europa ex comunista e nella speranza di distoglierla dalle lusinghe americane Bruxelles rispose con un'accelerazione politica nel processo di allargamento il quale portò inevitabilmente ad ammorbidire la valutazione su alcuni criteri fondamentali dell'adesione, primo fra tutti quello dell'effettiva maturità democratica e del rispetto dei diritti civili.
Per quanto concerne la Slovenia rimane emblematico il caso dei cancellati e dell' incredibile latitanza della Commissione europea in merito. Ma è soprattutto con la nuova compagine governativa guidata da Janez Janša, in una Slovenia già membro a pieno titolo sia dell'UE che della Nato e che quindi non deve più fare i conti con nessuno, che riemergono con forza atteggiamenti antidemocratici e autoritari che fanno presagire un futuro incerto anche per i diritti umani e civili.
Del controllo politico che la maggioranza di governo si sta assicurando sulla Radiotelevisione pubblica con la nuova legge, contestata dai giornalisti sloveni ed europei, ma già passata in seconda lettura al parlamento, abbiamo scritto ampiamente su queste pagine. C'é solo da aggiungere che la maggioranza parlamentare ha appena bocciato una proposta di referendum nonostante questa fosse stata inoltrata regolarmente e con il numero di firme legalmente necessarie al via dell'iter pre-referendario.
Il presidente della Camera di stato Franc Cukjati, esponente di punta del partito di maggioranza relativa (SDS), ha spiegato che »la domanda non era ben formulata« e che quindi il referendum non si farà. L' arroganza è diventata regola e la compagine di Janez Janša accellera su tutto, approfittando della seria crisi e delle divisioni in cui sta sprofondando il primo partito d' opposizione, quello Liberal democratico. Il caso più scandaloso è comunque il controllo politico pressoché assoluto della procura di stato e il peso sempre più condizionante del potere politico su una magistratura palesemente intimidita. Da qualche mese il nuovo procuratore generale della Repubblica è Barbara Brezigar, magistrato di professione, ma nota soprattutto per essere stata ministro della giustizia nel breve governo conservatore Bajuk-Janša, candidata »non partitica« nelle liste dell'SDS alle elezioni locali e poi candidata del cartello della destra alle presidenziali. La Brezigar entrò nelle grazie di Janša sopprattutto dopo che riuscì ad insabbiare l'inchiesta sui più stretti collaboratori dell'attuale premier, indagati nel 1994 per l'arresto violento con pestaggio di un civile, considerato »spia« dell'allora presidente Milan Kučan. Dietro allo scandalo di Depala Vas c' era naturalmente l'ombra dello stesso Janša, a quei tempi ministro della difesa.
Ora la Brezigar, fedelissima di Janša, guida la procura, mentre in parlamento la neonata commissione di controllo della stessa, disertata per protesta dall'opposizione, è presieduta da Dimitrij Kovačič (SDS) altro braccio destro del premier. Vicepresidente della commissione è Zmago Jelinčič, l'ultras nazionalista, alleato esterno del governo, salito in questi giorni alla ribalta con i suoi compagni di partito per aver introdotto delle pistole in parlamento.
Ma è anche su altri temi legislativi che l'attuale maggioranza, accodandosi al trend neoconservatore di questa parte d'Europa, mostra il suo vero volto. E così, vanificata l'originale e liberale proposta di legge sulle coppie gay preparata dal precedente governo, la destra, con una nuova e restrittiva proposta, ne limita drasticamente i diritti ,dando il via ad un dibattito arroventato alla camera. Dai banchi della maggioranza non si sprecano pesanti insulti all' indirizzo di quelli che vengono eticchettati come »pedri« (froci) . Il deputato dell'SDS Pavle Rupar arriva a proporre sarcasticamente un controllo medico obbligatorio »tra le gambe« per le due deputate del centrosinistra più attive nel dibattito, con il fine di stabilire »a quale sesso appartengono«.
Ma il governo Janša continua la sua marcia sulla Slovenia senza preoccuparsi di apparire »antidemocratico« agli occhi di un'Europa ormai sempre più alla deriva. Tra le tante »novità« in cantiere anche la decisione del ministro per la pubblica amministrazione Gregor Virant di abbassare per decreto i criteri di consocenza della lingua italiana nell'amministrazione pubblica nell' Istria slovena, dove - almeno per Costituzione e legge - vige il bilinguismo. E' un attacco diretto del governo alle norme attuali che sanciscono l'eguaglianza linguistica laddove vive la comunità italiana. Le organizzazioni minoritarie rappresentative, come pure il deputato specifico che ha scelto di appoggiare il governo, reagiscono tiepidamente, sono sempre più impaurite e cercano, esibendo prudenza e pragmatismo, di mantenere - tramite accordi separati con il governo - almeno parte dell'autonomia di cui dispongono attualmente. E così il deputato al seggio specifico della minoranza italiana Roberto Battelli annuncia, sostenuto da Unione Italiana, il suo voto favorevole alla legge governativa che centralizza e statalizza del tutto l'ente radiotelevisivo sloveno.
Nel frattempo il presidente di turno dell' Osce,il ministro degli esteri sloveno Dimitrij Rupel, si fa accompagnare e consigliare, nelle sue numerose tappe per i paesi ex sovietici dell'est e dell' Asia centrale da Borut Gerič, esperto analista e collaboratore di vari istituti strategici americani sponsorizzati dal Pentagono, critico del multilateralismo, deciso sostenitore della guerra preventiva , dell' inutilità di un' EU forte, dell'accerchiamento della Russia e dell'Iran e dell' export democratico-neocon di Bush nei Paesi ex comunisti strategicamente più interessanti. E amche la politica estera di Lubiana non fa che riflettere, ogni giorno di più, l'orientamento impresso al Paese da Janez Janša.
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