Tra Lubiana e Zagabria mercoledì scorso è stato un susseguirsi di accuse e minacce. Consigli di guerra, riunioni straordinarie, telefonate al vetriolo tra i due capi diplomazia. I due vicini ex jugoslavi si stanno fronteggiando pericolosamente
Mitra contro mitra: è mai possibile? Lo è, e nel cuore stesso dell'Europa, tra un paese membro dell'UE ed uno aspirante ad entrarvi. Sulle sponde del fiume Mura, all'estremo nord-orientale del confine sloveno-croato, dove questo sfiora quello magiaro, potrebbe consumarsi una drammaturgia squisitamente balcanica. Due vicini ex jugoslavi si fronteggiano pericolosamente, per la prima volta dopo quindici anni di indipendenza e di contenziosi territoriali, presi fin'ora da tutti troppo alla leggera, in una vera e propria guerra di nervi, dove basta una scintilla ormai a far esplodere l'odio e la violenza. Questa volta i due governi fanno sul serio e a ridosso delle contesa linea di confine che taglia incoerente il fiume Mura hanno schierato le proprie unità speciali di polizia in tenuta da combattimento.
Tra Lubiana e Zagabria mercoledì scorso è stato un susseguirsi di accuse e minacce. Consigli di guerra, riunioni straordinarie, telefonate al vetriolo tra i due capi diplomazia, lo sloveno Dimitrij Rupel e l'omologa croata Kolinda Grabar Kitarović. L' incidente che ha fatto traboccare il vaso è stato il fermo di alcune troupe televisive slovene e di alcuni giornalisti che si erano recati a verificare cosa stava in realtà accadendo lungo un confine non ancora definito e rivendicato diversamente da entrambe le parti. I giornalisti, muniti di un salvacondotto delle autorità di entrambi i paesi, poi risultato inutile, si sono inoltrati lungo un sentiero di terra battuta in territorio che i croati considerano sotto la propria giurisdizione trovandosi nel loro versante della linea catastale. E la polizia croata li ha fermati, interrogati e poi rilasciati, spiegando loro che avevano violato la sovranità croata.
Per dare un ulteriore tocco di parossismo all'incidente, la pattuglia di polizia che ha fermato i giornalisti era mista, come voluto da un accordo provvisorio tra i governi per allentare le tensioni, composta cioè da alcuni agenti croati e da uno sloveno, che però non ha reagito. Ma la linea di confine, che gli sloveni non considerano ancora definitiva e per la quale richiedono una soluzione più consona agli interessi della locale popolazione, spostandola sul fiume, segue infatti il vecchio confine catastale, quello vigente al momento della proclamata indipendenza.
Una situazione diametralmente opposta a quellla di Sicciole in Istria, dov'è invece la Slovenia con il ribelle Joško Joras a reclamare la validità di una linea catastale che però la Croazia non riconosce. Ma a differenza del contenzioso istriano, quello a cavallo del Prekmurje sloveno e del Međimurje croato ha dei precedenti che complicano ulteriormente la matassa.
Nel 1999 la diplomazia slovena, per mano del ministro Boris Frlec, riconobbe la giurisdizione croata entro i confini catastali che a più riprese superano il Mura e sfiorano gli abitati sloveni di Hotiza e soprattutto quello molto più piccolo di Mirišče. Altrettanto fece la polizia slovena che concesse a quella croata il libero passaggio in territorio sloveno per poter raggiungere i fazzoletti di terra croati sulla sponda del fiume che Lubiana vorrebbe vedere in Slovenia e che sono in gran misura di proprietà di cittadini sloveni. Poi la Croazia, per evitare una tale situazione di dipendenza, costruì un ponte sul fiume Mura. I nove abitanti di Mirišče, che si trovano senza ombra di dubbio nel versante sloveno del catastro e quindi non dovrebbero avere alcun motivo di temere la sovranità croata, sono spaventati e ormai diariamente vengono intervistati dalle TV slovene che li presentano come vittime di un tentativo di annessione croata e di conseguenza come avanguardia e roccaforte della sovranità slovena.
E' un timore motivato quello dei nove di Mirišče o è solo l'ennesima manipolazione mediatica che fa leva sull' irrazionalità e sulle passioni nazionaliste? La Croazia con le sue recenti mosse non si sforza certo di dimostrare il contrario. Da agosto le ruspe di Zagabria stanno tracciando una nuova strada tra il locale valico di Sveti Martin na Muri e l'abitato di Mirišče. L' impresa concessionaria croata giustifica i lavori, svolti entro la linea catastale croata, con la necessità di costruire al più presto degli argini di protezione contro le inondazioni. L' acqua del fiume Mura minaccia infatti entrambi le sponde, ma più che del fiume e delle inondazioni la gente locale ha timore di essere »annessa« con qualche stratagemma dal vicino meridionale.
Per evitare pericolosi incidenti il 4 settembre si sono incontrati in loco i due premier in persona, Janez Janša e Ivo Sanader. Ne è scaturito un accordo sulla gestione comune degli argini e dei lavori necessari. Ma l'accordo purtroppo è rimasto lettera morta ed i due governi si accusano reciprocamente di inficiarlo con delle iniziative unilaterali.
Prima dell'incidente con i giornalisti la polemica sui ritardi dell'accordo era divampata persino nello stesso governo sloveno dove Janša aveva criticato Janez Podobnik, l'alleato di Joško Joras par excellence, il ministro dell'Ambiente particolarmente ostile a Zagabria, tanto più ad un passo dalle elezioni locali. Janša aveva rimproverato a Podobnik di impedire nella prassi che quanto accordato con Sanader fosse poi realizzato.Ora il clima si è fatto rovente: le unità speciali, armate fino ai denti, stanno a pochi metri une dalle altre, decise a non permettere che le ruspe dei vicini riaccendino i motori. E le diplomazie non smussano, anzi incalzano, nel tentativo di unire tutte le forze politiche nazionali in un fronte compatto contro il »nemico esterno«. Kolinda Grabar Kitarović ha accusato il collega sloveno di rendere pubbliche e persino di storpiare le loro recenti conversazioni telefoniche.
Dimitrij Rupel dal canto suo invoca un deciso condizionamento dell' entrata della Croazia nell' UE e stigmatizza, tacciando di »filocroato« chiunque in Slovenia caldeggi l' idea di ricorrere ad un arbitrato internazionale sui nodi che da quindici anni affliggono i rapporti tra i due paesi, seminando odio tra le genti di confine, lì dove l'odio non aveva mai avuto motivo di esistere. Tra i sostenitori convinti di un ricorso ai fori competenti internazionali ci sono pure i due presidenti, Janez Drnovšek e Stipe Mesić. Ma questi vengono ascoltati sempre meno.Ora la crescente tensione ed il reale pericolo di un incidente che generi violenza e instabilità a ridosso di questa frontiera ex jugoslava sembra comunque dare ragione proprio ai sostenitori di un arbitrato internazionale.
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