Il nuovo governo sloveno ha promesso, entro fine anno, la rimozione delle famigerate barriere di filo spinato anti-migranti al confine con la Croazia. Non sarà un “liberi tutti”, ma solo la sostituzione di un rozzo meccanismo di controllo con altri più sofisticati
I primi rotoli di filo spinato vennero piazzati nel novembre del 2015 nei pressi di Rigonce, nella Stiria meridionale, un paesino salito alla ribalta della cronaca per essere diventato una delle principali vie d’accesso in Slovenia lungo la rotta balcanica, poi le barriere si diffusero lungo tutto il confine tra lo sbigottimento della popolazione locale, che si vide arrivare i genieri dell’esercito a piazzare le “barriere tecniche” anche letteralmente nel cortile di casa. La cosa non mancò di sollevare vibranti proteste in Croazia ed anche qualche simbolica manifestazione lungo la frontiera. L’ultima è andata in scena agli inizi di luglio nella Carniola Bianca dove organizzazioni non governative, il locale ente turismo e istituzioni culturali con una trentina di imbarcazioni hanno disceso un tratto del fiume Kolpa, per invitare il governo a non attendere oltre per rimuovere le barriere e a cambiare rotta in materia di controlli al confine.
Il centrosinistra aveva promesso in campagna elettorale che in caso di vittoria avrebbe tolto il filo spinato in tempi rapidissimi. All’indomani del trionfo alle urne, non senza un certo entusiasmo, c’era anche chi era pronto ad organizzare squadre di volontari per andare a levare le barriere. Dalla coalizione si sono premurati di chiedere ai cittadini non aver frette per evitare di incappare in sanzioni, precisando che ci avrebbero pensato loro.
Il filo spinato ed i pannelli antimigranti tra Slovenia e Croazia verranno tolti entro fine anno: questa la promessa del governo. La ministra dell’interno Tatjana Bobnar ha detto, nel corso delle audizioni alla Camera, che gli sbarramenti al confine tra i due paesi saranno eliminati per fare in modo che nessuno muoia più tentando di attraversare la frontiera. L’ultima vittima è stata una povera bambina curda, affogata nel dicembre scorso nella Dragogna, il fiumiciattolo che divide in Istria la Slovenia dalla Croazia. Nel corso degli anni si sono registrati 23 decessi in terra slovena tra le persone che tentavano di seguire la rotta balcanica. Secondo le organizzazioni che si occupano dell’assistenza ai migranti gli ostacoli hanno reso più difficile e pericoloso l’attraversamento dei fiumi ed hanno aumentato il rischio di affogamento, soprattutto nei periodi invernali o di piena. Per le ONG però il problema non sarebbero solo le barriere, ma soprattutto l’atteggiamento ostile nei confronti dei profughi adottato delle istituzioni e della polizia, che agirebbe arbitrariamente ostacolando le richieste d’asilo e procedendo con respingimenti forzati. Una strategia questa mai esplicitata, ma messa in campo già all’inizio della crisi migratoria dal governo di centrosinistra di Miro Cerar. All’epoca la Slovenia, spaventata dall’idea di poter diventare una sacca per i profughi siriani in fuga dalla guerra varò tutta una serie di misure in materia tutela dell’ordine pubblico. Tra i provvedimenti presi ci fu anche la possibile attribuzione all’esercito di compiti di controllo della frontiera e persino il suo utilizzo anche per il controllo delle manifestazioni. Nella foga di quel periodo non ci furono nemmeno grossi dubbi sulla necessità di acquistare un modernissimo un cannone ad acqua per la polizia. Il marchingegno è stato abbondantemente usato dal precedente esecutivo di centrodestra per reprimere le manifestazioni antigovernative e le proteste contro le restrizioni imposte per l’epidemia di Covid.
Quello che è certo è che la rimozione delle barriere, comunque, non segnerà una svolta nell’atteggiamento sloveno nei confronti dei fuggiaschi. In sintesi, non è un “liberi tutti”, ma solo la sostituzione di un rozzo meccanismo di controllo con altri più sofisticati. L’accordo di coalizione, infatti, prevede che il filo spinato sia sostituito dal rafforzamento di dispositivi alternativi di controllo, come ad esempio sistemi di videosorveglianza e droni.
Lubiana non vuole dare per nulla la sensazione di aver allentato la morsa, ma ci tiene a far capire di voler continuare ad impegnarsi nella lotta all’immigrazione clandestina. La cosa, comunque, sembra non convincere troppo gli austriaci che dal 2015 hanno praticamente sospeso il regime di Schengen con la Slovenia ed hanno ripristinato “temporaneamente” i controlli di frontiera. Le proteste e le richieste di ristabilire il libero transito per ora non hanno sortito gli effetti sperati, ma sono cozzate contro le paternalistiche risposte di Vienna, dove si continua a ripetere che il flusso di migranti in arrivo dalla Slovenia è in aumento.
In ogni modo le cose cambieranno in meglio almeno tra Slovenia e Croazia, ma non a causa della rimozione delle barriere. La frontiera, istituita più di trent’anni fa con la proclamazione dell’indipendenza, era stata inizialmente presentata come una effimera linea di demarcazione, ma ben presto divenne un confine di stato vero e proprio. Tra i due paesi, all’inizio del prossimo anno, dovrebbero venir sospesi i controlli, visto che anche la Croazia entrerà nell’area Schengen. Sarà una vera e propria liberazione per migliaia e migliaia di frontalieri che, soprattutto in estate e durante le festività, sono costretti a passare ore ed ore in coda per poter andare a lavorare o tornare a casa. In trent’anni i due paesi hanno fatto poco o nulla per favorire il loro transito indisturbato. Ora, l’estensione di Schengen alla Croazia, sarà anche un modo per ristabilire tutta quella fitta rete di relazioni esistenti tra la popolazione locale. I contatti non si sono mai interrotti del tutto, ma sono stati resi maledettamente più complicati, in un’area che in passato non era stata mai divisa da un confine.
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