Il 3 ottobre gli sloveni eleggeranno il nuovo Parlamento. Un Paese che dopo la fuga in avanti degli anni '90 ora sembra pieno di timori. Uno sguardo "on the road" sul prossimo appuntamento elettorale. Un contributo di Leonardo Barattin
Viaggiando in questi giorni attraverso le strade statali e secondarie della Slovenia ci si imbatte in una pioggia di manifesti elettorali riferiti alla campagna in corso per il rinnovo del Parlamento di Ljubljana (domenica 3 ottobre).
Pur da angolature differenti, il tema su cui insiste la maggioranza delle forze politiche è quello della difesa della Slovenia: un fatto, questo, che lascia intendere come gli anni ruggenti della rincorsa al futuro stiano cedendo il passo a tempi di incertezza, smarrimento, precarietà e timori diffusi.
Dal 1991 ad oggi la Slovenia ha compiuto la propria traversata del deserto, rivelando una buona solidità interna e raggiungendo con abilità e determinazione i propri obiettivi di portata internazionale: lo sganciamento morbido dal conflitto ex-jugoslavo e dalle costanti turbolenze balcaniche, l'adesione alla NATO e all'Unione Europea, con la consacrazione finale rappresentata dal seggio ottenuto nel Consiglio di Sicurezza ONU (in quota USA) tra i membri a rotazione. L'articolo di Ales Gaube (pubblicato il 27 agosto dall'Osservatorio sui Balcani) ben evidenzia però l'attuale percezione tra gli Sloveni della fine di un'era e la contestuale difficoltà della classe dirigente del Paese di formulare una nuova vision per il sistema - Paese.
Il tema principe della pubblicità elettorale è dunque quello della protezione della Slovenia e degli Sloveni. Evocato in varie forme dalle principali forze politiche esso origina da una serie di insicurezze psicologiche e di difficoltà materiali che pesano sul vivere quotidiano di famiglie e imprese: la popolazione vede infatti il proprio salario o la propria pensione fare a pugni ogni giorno con prezzi europei; mentre "si diffonde l'abitudine a non pagare i propri debiti e a chiedere forniture senza fattura", si sfoga il titolare di una piccola impresa artigiana attiva nel settore edile. Importanti aziende del settore del legno - uno dei principali dell'economia slovena - sono costrette a cercare con un certo affanno nuovi mercati dopo la sensibile flessione della domanda del cliente tedesco e dopo che, con l'entrata nella UE, è stato modificato in senso peggiorativo il regime doganale con i cugini ex-jugoslavi: Irena Pevec, responsabile organizzativa di una media impresa dell'alta Slovenia, afferma che "l'industria slovena si trova ora ad affrontare tariffe di esportazione a doppia cifra, mentre i precedenti accordi bilaterali consentivano l'export a tariffe simboliche dell'1% o persino a costo zero. E' il caso del mercato macedone, che ora rischia di passare nelle mani della concorrenza serba o di altri competitors". A tutto ciò si aggiungono poi ulteriori regole e politiche comunitarie penalizzanti rispetto al recente passato vissuto in solitudine, mentre gli scenari economici e di sicurezza del contesto internazionale appaiono poco rassicuranti.
Ecco allora scattare la tentazione dell'arroccamento, del ponte levatoio da sollevare, della difesa della piccola patria slovena, già inquieta per la cessione di parte della sua giovane sovranità al club della UE. E così la pubblicità elettorale su strada spinge al disagio, persino alla nevrosi, pensata com'è per provocare e, al tempo stesso, quietare le paure degli Sloveni, per convincerli ad abbandonarsi tra le braccia di chi saprà difendere la loro way of life di piccola Austria.
In un manifesto dell'SDS (partito di Centrodestra, oggi all'opposizione) che ritrae il suo leader Janez Janša - enfant prodige della politica slovena ai tempi dell'indipendenza e Ministro della Difesa nel momento cruciale del distacco dalla Federativa - vi è spazio per due immagini di contorno che lo ritraggono in divisa militare e attivo protagonista nei tempi difficili ed eroici della secessione. Con il ricorso alla mimetica - alternata all'abito elegante e più rassicurante indossato nella foto di squadra - Janša ricorda agli Sloveni il suo ruolo storico di condottiero militare e di difensore nello scontro contro la Serboslavia e rilancia la sua storia personale sul tavolo delle sorti del Paese come prova di una candidatura credibile per una guida salda a difesa del mondo sloveno e per assicurare il passaggio del guado del tempo presente incerto e insidioso. In queste consultazioni Janša si propone alla conduzione del Paese in alternativa all'attuale primo ministro liberaldemocratico Anton Rop e i più recenti sondaggi vedono il suo partito in crescita e al secondo posto nel gradimento degli elettori, all'inseguimento proprio del partito del premier.
Il tema della difesa della Slovenia risulta caro anche al partito nazionalista SLS che nei suoi manifesti elettorali spende il volto del leader Janez Podobnik. Lo slogan che campeggia sui manifesti è "Ohranimo Slovenijo" (Difendiamo la Slovenia) - il cui senso è ancora più pregnante se si guarda alla traduzione inglese del verbo ohraniti, ossia "to keep, to conserve, to preserve, to safe" - mentre nelle parlamentarne molitve (i messaggi elettorali) radiofoniche Podobnik si è fin qui appellato a "dom i domovina" (focolare domestico e Patria).
Questo partito che gli analisti politici collocano all'estrema Destra dello schieramento partitico sloveno pare concentrare non a caso numerosi dei suoi manifesti nell'Istria slovena, diradando la sua presenza in altre parti del territorio E' qui infatti che si concentrano le tensioni nazionaliste: nel rapporto conflittuale con la Trieste che festeggia i 50 anni del suo ritorno all'Italia e, ancor più, nella logorante e aspra contesa con il vicino croato per la definizione del confine terrestre e marittimo nella zona del Golfo di Pirano. E' in questo contesto politico ed elettorale che si inserisce l'incidente di frontiera di mercoledì 22 settembre presso il valico di Plovanija, quando Podobnik ed altri "patrioti" sloveni si sono resi protagonisti di uno sconfinamento illegale che ha nuovamente infiammato questa complessa vicenda di rivendicazione territoriale.
Una lite, quella sul Piranski zahljev, già riattizzata dalla "galeotta" battuta di pesca del premier Rop nelle acque del golfo conteso e che ha fatto gridare alla "slovenska provokacija" il quotidiano croato Večernji List nella sua edizione del 14 settembre.
Si tratta di un'iniziativa che in apparenza stride con il look di governo (e con il conseguente messaggio di affidabilità, equilibrio, responsabilità e competenza) sfoggiato nei manifesti elettorali da uomini e donne della squadra di Rop - ossia dai membri più in vista di quell'LDS che è la forza politica principale dell'attuale governo e della Slovenia - ma che in realtà risponde a logiche precise all'interno del quadro politico, culturale ed elettorale sloveno.
L'obiettivo della difesa della Slovenia e degli Sloveni sembra poi incarnarsi già nel nome della neonata forza politica Slovenija je naša - SJS (la Slovenia è nostra); una denominazione che fa presa nell'immaginario di numerosi cittadini anche per il suo richiamo al ben noto slogan "Trst je naš" (Trieste è nostra) pronunciato da Tito.
Il manifesto che mostra l'imprenditore "serbo" e discusso sindaco di Capodistria Boris Popovič rimboccarsi le maniche promette una "cultura del fare" e suggerisce un Paese "liberato" da un ceto politico resosi protagonista di episodi che hanno colpito negativamente l'opinione pubblica (si vedano, ad esempio, i casi trattati nel citato articolo di Gaube).
Infine lo ZLSD, forza di Sinistra dell'attuale schieramento di governo, punta alla difesa degli Sloveni parlando un linguaggio che sembra premiarlo negli ultimi sondaggi. Lavoro, sicurezza sociale, formazione e famiglia sono al centro del suo dialogo con gli elettori, preoccupati dalle necessità materiali e dai costi della vita di tutti i giorni. Alla domanda che si pongono le famiglie slovene sul proprio domani lo ZLSD risponde così attraverso messaggi che promettono "Prihodnost za vse" (Un futuro per tutti), nel tentativo di difendere e rilanciare un modello di vita già intaccato e quotidianamente sotto attacco da più parti.
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