Domenica prossima le presidenziali in Slovenia. In tre in lizza in una situazione economica per il paese difficile e con un livello di conflittualità politica che non accenna ad abbassarsi

05/11/2012 -  Stefano Lusa

Slovenia alle urne domenica 11 novembre per scegliere il presidente della repubblica. Un’alta figura istituzionale e morale, senza reali poteri, che però - contrariamente ad altre democrazie parlamentari - viene eletta direttamente dai cittadini.

I contendenti saranno soltanto tre: il presidente uscente Danilo Türk, l’esponente del centro destra Milan Zver e l’ex premier Borut Pahor. Ad un certo punto i candidati in corsa dovevano essere 13. Avevano annunciato la loro discesa in campo donne d’affari, senza tetto, regine del gossip, nonché politici e personaggi pubblici di secondo piano in cerca dei loro 15 minuti di gloria. Alla fine molti hanno rinunciato subito e altri non ce l’hanno fatta a raccogliere le firme necessarie alla candidatura.

Sondaggi

I sondaggi danno in vantaggio Türk. A una settimana dal voto può contare sul 45% dei consensi, alle sue spalle Pahor con il 34% e poi Zver con il 21%. Se dovesse finire in questo modo sarebbe necessario il secondo turno in cui andrebbe in scena uno scontro all’ultimo sangue nel malandato centrosinistra sloveno.

Le rilevazioni demoscopiche in Slovenia, però, negli ultimi tempi hanno sempre sbagliato alla grande e non è detto che Türk non possa farcela già al primo turno o che i consensi per Zver risultino sottostimati. Raccoglierebbe, infatti, meno di quanto hanno ottenuto alle ultime elezioni i partiti che lo sostengono, Democratici e Nuova Slovenia, che nel tempo hanno dimostrato di poter contare su un elettorato piuttosto fedele.

La campagna elettorale per le presidenziali in Slovenia è oramai in pieno corso da mesi. Il primo a partire è stato Milan Zver. 50 anni, ex ministro dell’Istruzione, oggi deputato europeo. Ha battuto la Slovenia in lungo ed in largo, non risparmiando energie. Ha organizzato raduni e comizi ed ha stretto migliaia di mani. Ha suscitato grandi entusiasmi, ma solo fra gli adepti dei partiti che lo sostengono. Convinto che il capo dello stato deve lavorare in sintonia con il governo, ai più non sembra che una presentabile pedina saldamente nelle mani del premier Janez Janša. Zver ha fatto poco per distanziarsi dal leader del suo partito e forse anche per questo non può contare nemmeno sull'appoggio compatto del centrodestra. I popolari, che da tempo si sforzano di dimostrare la loro indipendenza da Janša, hanno preferito non fornire indicazioni di voto ai loro elettori, mentre la Lista civica di Gregor Virant ha appoggiato Borut Pahor.

Socialdemocratico di destra?

Appare chiaro che, alla fin fine, l’ex premier socialdemocratico potrebbe essere il vero e proprio asso nella manica del centrodestra. Su di lui potrebbero confluire, in un ipotetico secondo turno, un buon numero dei voti di Zver. Pahor si propone, del resto, come uomo di dialogo, pieno di esperienza e consapevole degli errori fatti da lui stesso in passato. Convinto di essere uno statista che ha ancora molto da dare al suo paese, non sembra aver proprio digerito la decisione della sinistra di metterlo da parte, così, da tempo va avvalorando una delle tesi più care del centrodestra: quella dell'esistenza nel paese di poteri occulti, quegli stessi poteri che avrebbero deciso di liberarsi di lui.

Pahor ha scelto di lanciare la sua candidatura con largo anticipo annunciando la sua discesa in campo proprio mentre il suo partito lo stava rottamando. Con grande maestria ha orchestrato una campagna elettorale basata su lavoro volontario. Con i suoi seguaci ha fatto di tutto dallo spazzino, al grafico, per finire persino con le corone di fiori da portare al cimitero per le celebrazioni dei defunti. Così mentre Zver cercava di imbastire un discorso politico, che a pochi sembrava interessare, i media erano occupati a seguire le peripezie del "lavoratore" Borut Pahor.

L'uscente rientrante?

Da presidente Danilo Türk, invece ha potuto sfruttare per la sua campagna elettorale la rendita di posizione e la visibilità dovuta dalla carica. La sua ricandidatura appariva scontata fin dall’inizio visto che oramai è una delle poche certezze del centrosinistra. Per il brillante e abile diplomatico delle Nazioni Unite muoversi nel pantano politico sloveno non è stato facile. Il centrodestra non gli ha perdonato l’alta onorificenza concessa all’ultimo ministro degli Interni della Slovenia socialista e un’infelice battuta sulla sanguinosa resa dei conti nell’immediato dopoguerra. Ne è nato uno scontro durissimo senza esclusione di colpi che continua tuttora.

La campagna elettorale per le presidenziali, intanto, si colloca all’interno dell’aspro confronto tra governo e opposizione sui provvedimenti anticrisi. L’esecutivo, per quanto ha potuto, ha cercato di concertare gli interventi, poi ha deciso di procedere a colpi di maggioranza. E’ stata così approvata la legge che istituisce la “bad bank”, che dovrebbe servire a salvare le malandate banche a partecipazione statale, e quella che crea una holding per la gestione delle aziende in mano allo stato.

I sindacati sul piede di guerra hanno chiesto il referendum, ma una parte consistente delle firme depositate per avviare l’iter sarebbe risultata irregolare. Una notizia questa diramata poco prima della scadenza dei termini, il che ha impedito in pratica di depositare altre firme. A quel punto a correre in soccorso ai sindacati ci hanno pensato 30 deputati dell’opposizione. Anche qui però ci sarebbero dei vizi di forma e almeno uno dei due referendum rischia di saltare.

Governo e maggioranza non hanno risparmiato strali nei confronti dell’opposizione, accusata di essersi comportata in modo irresponsabile in un momento di gravissima congiuntura economica per il paese. L’opposizione ha rimandato ovviamente l’accusa al mittente ed ha imputato all’esecutivo di essere incapace di dialogare.

Intanto il presidente della camera, Gregor Virant, non ha misurato le parole, e ha definito l’iniziativa referendaria una vera e propria guerra senza quartiere dichiarata dal leader di Slovenia Positiva, Zoran Janković al premier Janez Janša. Una guerra che molti ritengono del tutto simile a quella orchestrata dal centro destra nel precedente mandato. Un muro contro muro a cui la politica slovena sembra proprio, in barba alla crisi, non voler rinunciare. Ovviamente se le forze politiche si mettessero a discutere su chi l'ha iniziata arriverebbero a tirare in ballo perlomeno il Secondo conflitto mondiale e lo scontro tra partigiani e collaborazionisti.


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