Sergio Tavčar, giornalista e telecronista, meglio noto come "L'uomo che raccontava il basket, ha di recente pubblicato un nuovo libro dal titolo “I pionieri - Le incredibili storie di una televisione di confine”, edito da Bottega Errante, nel quale racconta la storia di TV Capodistria e più precisamente della sua redazione sportiva
La delusione dei maggiorenti del Partito comunista jugoslavo era palpabile. Erano andati con grandi speranze al congresso dei comunisti italiani. Nel 1979 il PCI si stava sempre più distanziando da Mosca ed il leader del partito Enrico Berlinguer stava teorizzando l’eurocomunismo. Gli jugoslavi speravano che la loro via “autogestita” al socialismo fosse abbracciata anche dai compagni italiani. Le farraginose teorie elaborate dallo sloveno Edvard Kardelj nel suo libro “Le direttrici dello sviluppo del socialismo” erano oramai state tradotte e pubblicate, ma come constatò Stane Dolanc, l’uomo forte del regime in Slovenia, più che tramite i complicati libri di teoria la propaganda jugoslava in Italia passava attraverso i programmi di TV Capodistria.
Quella televisione era nata da una costola di Radio Capodistria. Le due emittenti avevano sin da subito lo scopo di diffondere in italiano il verbo jugoslavo. Tv Capodistria era stata la prima emittente a trasmettere a colori in Italia e grazie ad una sapiente strategia il suo segnale si diffondeva in una buona fetta del paese. Offriva una visione alternativa del mondo, dove la crisi palestinese, il conflitto Est - Ovest e il processo di decolonizzazione venivano presentati attraverso il prisma di Belgrado. Gli ascolti erano buoni, le entrate pubblicitarie riempivano le casse del regime e i comunisti jugoslavi e sloveni potevano essere soddisfatti di quel piccolo miracolo che aveva di fatto rotto il monopolio della RAI in materia d’informazione.
Gli spettatori di quella TV forse non erano attratti dalle luminose sorti del socialismo autogestito e dalla visione jugoslava del mondo. Più che per la sua narrazione politica TV Capodistria veniva seguita per la disinibita programmazione di “B movies”, dove belle fanciulle facevano abbondantemente vedere le loro grazie e per i tanti eventi sportivi che offriva in diretta.
Ben presto molti italiani si innamorarono della pallacanestro jugoslava e di quelle squadre e quei campioni che avevano saputo dare una propria interpretazione assolutamente originale a quello sport. La voce che raccontava quelle imprese, che avevano come scenario scalcinati palazzetti, era quella di Sergio Tavčar, che trasmetteva quelle telecronache in condizioni di fortuna da uno studio ancora più scalcinato. Lui era convinto che nessuno l’avrebbe ascoltato e che proprio per questo avrebbe potuto dire al microfono quello che gli passava per la testa. È stata la formula del suo successo.
Nel periodo d'oro di TV Capodistria, quando a prendere il controllo della struttura arrivò niente meno che sua emittenza Silvio Berlusconi, Tavčar iniziò a commentare le partite insieme a Dan Peterson, che aveva allenato la Virtus e l’Olimpia e che aveva lanciato il basket americano sulle televisioni italiane. Insieme crearono una delle accoppiate più azzeccate della narrazione del basket in Italia. Alla fine dalla Fininvest decisero che quel connubio avrebbe dovuto sciogliersi. Forse la stella di Sergio faceva brillare di meno quella di Dan. Gli appassionati risposero innalzando in un palazzetto lo striscione “Una sola voce: Sergio Tavčar”.
Peterson tutt’altro che contento si precipitò da Tavčar a chiedergli quanto li avesse pagati. Tavčar era diventato un protagonista del panorama televisivo italiano, tanto che ancora oggi viene osannato dagli appassionati. Non era l’unico asso nella manica di quella redazione, accanto a lui c’è sempre stato Sandro Vidrih, sublime commentatore dello sci, che andò a formare una altra coppia eccezionale con Mario Cottelli, leggendario commissario tecnico della valanga azzurra.
Quello che ci racconta Sergio Tavčar è l’incredibile storia di TV Capodistria e più precisamente della sua redazione sportiva. Lo fa come sempre con la sua solita ironia e senza peli sulla lingua, non mancando di farsi beffe di chi li considerava in TV “un’appendice folcloristica di persone che sarebbe stato eccessivo qualificare come giornalisti, visto che i ‘veri’ giornalisti erano solo quelli del TG”.
Nel volume Tavčar ripercorre puntigliosamente le vicende di quella squinternata banda, che sembrava uscita dal fumetto di Alan Ford. Un racconto infarcito di aneddoti divertenti, che ben spiegano gli aspetti pionieristici della loro avventura. Nascita, successo e tramonto di un progetto dove è legittimo chiedersi come un gruppo di “dilettanti allo sbaraglio, che lavoravano in condizioni forse non del tutto impossibili, ma ridicole di sicuro, possa essere ricordata dalle vecchie generazioni in modo così sentito, ai limiti della nostalgia per i bei tempi che furono”. Probabilmente la risposta sta in un geniale slogan dell’epoca: “TV Capodistria. Fuori dal coro, ma mai stonati”.
Tavčar con il suo libro racconta l’esperienza eccezionale di una televisione di frontiera, fatta con pochi mezzi e tanta passione, dove non mancava un pizzico di follia e tanta genialità. Un vero monumento a TV Capodistria e a quello che è stata, dove lui, Sandro Vidrih, Ferdi Vidmar e altri hanno scritto una parte non marginale della storia della televisione italiana, partendo dalla profonda periferia jugoslava.
Di quell’eredità oggi non restano che le briciole. In un mondo dove oramai lo sport in televisione si vede quasi esclusivamente a pagamento lo spazio per le emittenti pubbliche è poco ed è ancora più angusto se non si trasmette in una lingua che non è quella del paese in cui si vive, visto che nella concessione dei diritti per la Slovenia è esplicitamente previsto che le telecronache si possono fare solo in sloveno. TV Capodistria così è sparita dal grande mondo televisivo italiano e può offrire ai propri telespettatori sempre meno sport. Di lei rimane quasi solo il mito nelle generazioni più anziane, che ricordano il primo nudo visto sui suoi schermi e le telecronache di molte partite ed eventi sportivi di eccezionale livello.
Eppure, di quella eredità resta una grande scuola di giornalismo in grado di raggiungere picchi elevatissimi anche senza la visibilità di un tempo. Eccezionali racconti della nostra realtà premiati anche a livello internazionale, come è accaduto a Tommaso Manià con un suo documentario sui fratelli anglo sloveni Škofič, che sono riusciti a realizzare il sogno del padre giocando nella nazionale di rugby slovena.
Racconti a volte di uno sport minore come quello dei pochi italiani rimasti dopo la fine della Seconda guerra mondiale in Jugoslavia prima ed oggi in Slovenia e Croazia. Uno sport il loro che a volte raggiunge vette stratosferiche, come nel caso di Giovanni Cernogoraz portabandiera della Croazia a Parigi e oro olimpico a Rio con la carabina. A raccontare mirabilmente le vicende di quel campione, anche prima che diventasse un campione, è stato Arden Stancich, il più profondo conoscitore italofono in circolazione dello sport sloveno, croato e balcanico, che a Cernogoraz ha dedicato pagine mirabili di televisione.
Alla fine bisogna ammettere che Tavčar ed il resto del suo gruppo Alan Ford non sono stati solo dei grandi giornalisti sportivi, che hanno fatto la storia della televisione italiana, ma sono anche stati dei buoni maestri.
Evento
Questa sera alle ore 18 al Teatro Miela di Trieste verrà presentato il libro di Sergio Tavčar “I pionieri - Le incredibili storie di una televisione di confine”. Sloveno di Trieste, Tavčar è stato “L’uomo che raccontava il basket”, attraverso gli schermi di TV Capodistria. Questo anche il titolo di un suo libro di successo, sempre edito dalla Bottega Errante Edizioni, in cui ripercorre le tappe più salienti del basket jugoslavo, europeo e mondiale, attraverso le sue avventure da telecronista. Tavčar in questo suo nuovo volume racconta le vicende della sua redazione sportiva, che in condizioni “se non del tutto impossibili, ma ridicole di sicuro” divenne un punto di riferimento per lo sport in Italia.
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