La Transnistria, regione separatista della Moldavia, di fatto dipende economicamente e politicamente dalla Russia. Un anno fa, l'annessione russa della Crimea sembrava far presagire un ulteriore avvicinamento. Nei fatti sta avvenendo il contrario

20/03/2015 -  Danilo Elia

È passato un anno dalla richiesta della Transnistria di entrare a far parte della Federazione russa. L’onda dell’entusiasmo per l’annessione della Crimea aveva spinto Tiraspol a dare un nuovo impulso al travagliato percorso di unione con la Russia, inizialmente con una riforma costituzionale che introduceva in una sola mossa tutto il corpus legislativo della Federazione russa all’interno di quello transnistriano, per giunta con valore sovraordinato; in un successivo momento con la consegna al vice primo ministro russo Dmitri Rogozin, nonché rappresentante speciale del Cremlino per la Transnistria, di 30mila firme con la richiesta di entrare a far parte della Russia. Finora, però, non si è mosso niente. Anzi.

Una dipendenza totale

La piccola repubblica de facto dipende letteralmente dalla Russia. Secondo stime riportate recentemente dall’inglese The Guardian, il budget di Tiraspol sta in piedi per il 70% grazie ai soldi mandati da Mosca. Quel fiume di danaro, però, si sta interrompendo. Secondo il quotidiano russo Nezavisimaja Gazeta, che cita fonti interne al Soviet supremo di Tiraspol, quest’anno Mosca per la prima volta non verserà la tranche di aiuti da 100 milioni di dollari che permettono ai conti della Transnistria di stare in piedi e, soprattutto, di pagare stipendi e pensioni.

I risultati si sono fatti già vedere. Con il nuovo anno, infatti, le autorità transnistriane hanno soppresso il cosiddetto “bonus russo” di 200 rubli sulle pensioni e tagliato gli stipendi pubblici del 20%. Inoltre per la prima volta il gas per il riscaldamento non sarà più gratuito e i pensionati dovranno pagare per viaggiare sui mezzi pubblici. Ma con l’andare avanti dei mesi, le cose stanno andando persino peggio. Mentre il governo ha promesso di pagare a marzo gli stipendi in sospeso da gennaio, ha nello stesso tempo varato una “procedura speciale per il finanziamento degli stipendi e delle pensioni” che sa di fregatura: verranno pagati al 70% in contanti e al 30% sotto forma di debito che lo stato si impegna a ripagare gradualmente, man mano che le casse si rimpingueranno.

Di chi è la colpa

Il venir meno dell’aiuto economico russo allontana sempre di più l’obiettivo dell’integrazione. Le cause del calo d’interesse del Cremlino nei confronti della Transnistria sarebbero da ricercare nella crisi economica che sta attraversando la Russia. Stretta tra un rublo fortemente indebolito, il prezzo del petrolio ben al di sotto del punto di pareggio dei 100 dollari a barile e le sanzioni di USA e UE in risposta all’annessione della Crimea e della guerra in Ucraina, Mosca semplicemente non si può più permettere il lusso di mantenere la Transnistria.

Ma a questa bisognerebbe aggiungere almeno un’altra causa direttamente imputabile alla politica estera del Cremlino. Le sanzioni inflitte da Mosca sulle importazioni della Moldavia danneggiano infatti anche l’export transnistriano, dal momento che le aziende che vogliono vendere i loro beni in Russia, dovendo attraversare l’Ucraina, devono fornirli di documenti rilasciati dalle autorità moldave. Dipenderebbe in gran parte da questo il crollo delle esportazioni verso la Russia, il cui volume è sceso a quasi un quarto di quello dello scorso anno.

Sia a Mosca che a Tiraspol, però, sono di diverso avviso. Mentre per le autorità transnistriane la crisi sarebbe dovuta alla politica di avvicinamento della Moldavia all’Europa e alla firma dell’Accordo di Associazione con l’UE, che comprende anche un accordo per il libero scambio delle merci (Dcfta), la Russia dà tutta la colpa all’Ucraina. Secondo il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, che ha parlato a Mosca a margine di un incontro con il suo omologo del Gabon, “l’Ucraina si comporta in modo da attuare una sorta di embargo economico nei confronti della Transnistria, servendosi di ultimatum per forzarla ad accettare le condizioni poste di volta in volta dalla Moldavia”.

Riallineamento politico

In queste condizioni, l’integrazione con la Russia si allontana sempre di più. La risposta data da Mosca alla richiesta avanzata un anno fa è stata un “no” netto che ha anche infranto di colpo i desideri di indipendenza da Chişinău. In particolare Lavrov ha di recente detto che gli accordi per risolvere il conflitto congelato “prevedono uno status speciale per la Transnistria nel rispetto dell’integrità territoriale della Moldavia, che deve rimanere uno stato sovrano”. Lavrov ha fatto però anche rifermento alla necessità che la Moldavia resti un paese politicamente e militarmente neutrale, sembrando richiamare non soltanto un eventuale ingresso nella Nato ma anche l’allineamento verso l’Europa. E lasciando anche intendere quale sia il ruolo che il territorio separatista svolgerà nella politica regionale russa.

Intanto, proprio la grave condizione economica potrebbe portare a un imprevisto e improbabile riassetto geopolitico della Transnistria. Lo stesso presidente transnistriano, Yevgeny Shevchuk, ha detto in un’intervista all’agenzia stampa russa Tass che già oggi il 30% delle esportazioni del proprio Paese vanno verso l’Unione europea e che perché rimangano tali è richiesto un riallineamento politico. La Transnistria non ha infatti sottoscritto il Dcfta, come ha invece fatto la Moldavia, ma l’UE ha comunque unilateralmente rimosso i dazi fino a gennaio 2016. Il pensiero di Shevchuk è stato però esplicitato meglio da un membro del Soviet supremo, Dmitri Soin: “Se entro la fine dell’anno la Transnistria non si riorienta verso l’Europa per mantenere la rimozione dei dazi, saranno guai”.


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