Dengbej Gazin e Asik Leyli sono due cantrici della tradizione curda, nel solco della tradizione degli asik, i cantastorie. Ora la loro musica è raccolta nel disco From Van to Yerevan
Van è una città turca dell'estremo oriente anatolico, ex capitale del regno di Urartu, antica "giurisdizione" armena; Erevan è la metropoli più importante dell'Armenia risalente a quasi 3mila anni fa. I due centri sono separati in linea d'aria da 400 chilometri, tuttavia per muoversi da una città all'altra è necessario percorrere un tragitto molto più lungo per evitare le cime montuose che separano la Turchia dall'Armenia, in particolare il massiccio dell'Ararat.
Una meravigliosa idea per un viaggio di nozze (altroché Australia e Caraibi!). Si punta verso nord, attraverso Kars e Gyumri, o verso sud, passando da Kapan e Sisian; in entrambi i casi, appunto, con lo scopo di arrivare alla capitale armena lungo strade che affondano le loro radici agli albori della conquista del Caucaso da parte dell'uomo; e con infinite storie da raccontare. Quelle che hanno deciso di raccogliere e (de)cantare Dengbej Gazin e Asik Leyli, due anziane donne curde, figlie della tradizione asik, concernente figure che - come ci ha recentemente raccontato Ulas Ozdemir - "proseguono nell'attività degli antichi menestrelli, poeti, e musici che non potevano prescindere dai classici paradigmi dell'alevismo".
Musica e attivismo
In particolare Dengbej Gazin è da anni in prima linea nella lotta e nella rivendicazione delle tradizioni curde che permeano i confini fra Turchia e Armenia; si occupa infatti di musica, ma anche di diritti civili e attivismo sociale. E così tiene vivo il lavoro svolto per secoli dagli asik; che si potevano ancora trovare nei locali e nelle strade anatoliche fino agli anni Sessanta e Settanta: si occupavano perlopiù di canzoni mistiche, che venivano eseguite facendosi accompagnare dal saz (strumento a corde dal manico lungo e dalla tipica cassa armonica piriforme). D'altra parte Dengbej rimanda a un significato ben preciso: deng, voce, bej, che racconta.
Il disco si intitola From Van to Yerevan ed è stato pubblicato dalla lungimirante etichetta turca Kalan Muzik, con sede a Istanbul. Si apre con il lamento di "Hinis/Javakhk'ima" e con la coinvolgente e violinistica ballata "Hay Belim". C'è il gusto per i componimenti epici che possono essere recitati per ore, e che hanno consentito di tramandare oralmente opere letterarie di immenso valore; ma anche la passione per i canti della tradizione pastorizia e di quelle legata alle cerimonie popolari, come matrimoni e anniversari. Il riferimento è peraltro a una forma di tradizione turca, il kilam, che riguarda l'abilità di artisti in grado di passare un messaggio verbale di generazione in generazione, come si fa con un racconto o una favola. Motivo per cui questo genere di "informazioni" vengono veicolate con la musica, ma anche servendosi della sola voce. Prosegue con un altro lamento "Bafile Gulo" e con la delicata "Kuriko/Hoy Nar". "Kilo" e "Ninnim/Meyroke" (a mio parare la più bella del disco) ricordano un passo di danza armeno e sono un invito a riflettere sull'eterno legame fra musica e ballo popolare.
L'album è distribuito con un libretto di cinquanta pagine, nel quale sono riportati i significati delle canzoni e i testi, tradotti in tre lingue. Dengbej Gazin e Asik Leyli ci offrono pertanto un meraviglioso viaggio musicale in un eterogeneo universo antropologico. L'ennesimo tentativo di raccontare al grande pubblico una delle pagine culturali più interessanti dell'Asia occidentale. Che in queste settimane lo stesso Ulas Ozdemir promette di divulgare. Esce infatti anche Traces of Asik, disco solista del membro dei Forabandit, che parafrasa molto bene l'epopea degli antichi menestrelli anatolici. Le canzoni tradotte in francese e in inglese raccontano di amori e dispiaceri, fuoco e respiro, e prendono spunto da opere poetiche composte a cavallo fra l'Ottocento e il Novecento. Ecco un assaggio, ideale per condire una di queste prime sere autunnali.
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