Il prossimo 7 giugno si vota in Turchia per le politiche. Per la prima volta da molti anni l'esito, pur dando per scontata una vittoria dell'AKP, potrebbe comunque riservare notevoli sorprese per il futuro politico del paese
In Turchia si avvicinano le elezioni parlamentari previste per il prossimo 7 giugno e gli equilibri sono per la prima volta ancora molto incerti, dopo 14 anni di indiscusso dominio da parte del partito Giustizia e Sviluppo (AKP) fondato dall’attuale presidente della repubblica Recep Tayyip Erdoğan.
Il Partito Democratico Popolare (HDP), nato appena un anno fa e che per la prima volta concorre alle elezioni, sembra infatti in grado di porre una sfida al governo AKP, nonostante venga accreditato nei sondaggi esclusivamente come quarta forza politica del paese.
Tutto ruota attorno alla contestata soglia di sbarramento del 10%. Se l’HDP dovesse fallire ed essere escluso dal parlamento, l’AKP del Primo Ministro e candidato Ahmet Davutoğlu non solo potrà formare l’ennesimo governo monocolore, ma otterrà quasi certamente quella maggioranza di seggi (367 su 550) necessaria ad introdurre unilateralmente la riforma costituzionale presidenzialista tanto voluta da Erdoğan, osteggiata da tutte le opposizioni, cambiando così per molti decenni a venire il volto della Turchia. Inoltre, la comunità curda resterebbe priva di qualunque rappresentanza politica in parlamento, con l’inquietante possibilità di un nuovo periodo di instabilità e violenze nel paese.
Se, invece, l’HDP dovesse riuscire ad affermarsi in parlamento, porrà fine alla pluriennale supremazia dell’AKP e potrebbe portare ad un governo di coalizione dal volto però ancora sconosciuto e a scenari oggi difficilmente prevedibili. Sullo sfondo infatti, le altre due principali formazioni politiche, il Partito Repubblicano Popolare (CHP) e il Partito del Movimento Nazionalista (MHP) restano per ora alla finestra, in attesa dell’esito delle urne per decidere se collocarsi al governo o all’opposizione nel futuro parlamento. Al momento, i sondaggi più autorevoli indicano l’HDP all’11% di preferenze, un margine minimo che lascia quindi aperta ogni possibilità.
Il nuovo partito e l’impatto sulla scena politica
L’HDP è nato nel 2014 dalle ceneri del partito curdo Pace e Democrazia (BDP) con l’ambizione di dare una risposta a quel vuoto politico nato dopo le proteste di Gezi Park nel 2013. Guidato dalla doppia presidenza di Selahattin Demirtaş e Figen Yüksekdağ (e facendo della co-gestione delle cariche di rilievo un proprio marchio di fabbrica), l’HDP si è affacciato sulla scena con un manifesto politico a sostegno di politiche laiche, ambientaliste, antinazionaliste, anticapitaliste, e con un forte messaggio a favore delle lotte contro la discriminazione sessuale, etnica e religiosa.
Sempre secondo i sondaggi, l’HDP pare in grado di sottrarre un’ampia fetta di voti sia all’elettorato repubblicano del CHP sia, soprattutto, all’area conservatrice dell’AKP, in particolar modo tra i curdi. Alcuni analisti hanno inoltre sottolineato come l’HDP abbia saputo destreggiarsi in quella secolare rete di relazioni tribali che ancora resistono nell’area del sud-est della Turchia, trattando direttamente con i clan capaci di spostare centinaia o persino migliaia di voti. Il risultato è che molti clan che una volta costituivano lo zoccolo duro dell’elettorato AKP nelle province curde avrebbero oggi ufficialmente sposato la causa HDP.
Nonostante un carattere essenzialmente laico quindi, il nuovo partito sembra aver fatto tesoro della lezione che la storia nazionale insegna circa le radicali riforme secolariste imposte con la forza durante i primi decenni di vita della Repubblica. Studiosi ed esperti hanno spesso evidenziato come il ritorno sulla scena dell’islam politico, la rinascita di un orgoglio islamico e la richiesta di riconoscimento e di dignità religiosa sia uno dei pilastri del successo dell’AKP dal 2002 ad oggi. L’HDP ha assunto un approccio moderato e capace di maturare un dialogo con quantomeno una parte delle forze conservatrici del paese, consentendogli di raccogliere preferenze anche in quella parte della società.
Nel 2011, il partito di Erdoğan raccolse il 50% dei voti. Gli ultimi sondaggi mostrano invece una perdita di consenso e le ultime proiezioni assegnano all’AKP circa il 40% di preferenze: sufficienti a confermare la propria posizione di primo partito in Turchia, ma insufficiente ad ottenere l’auspicata maggioranza assoluta.
Un clima di incertezza si è quindi diffuso tra le alte sfere del partito, che ora tentano in vario modo di riguadagnare terreno. Diverse personalità di spicco, tra cui Erdoğan stesso, nonostante la sua carica di Presidente della Repubblica gli impedisca ufficialmente di partecipare alla campagna elettorale, hanno scagliato violenti attacchi contro l’HDP, maggior beneficiario dell’emorragia di voti dal campo conservatore. L’HDP è stato definito “un pericolo per la democrazia” e accusato di essere affiliato al PKK, il gruppo guerrigliero curdo.
Proprio in chiave elettorale sarebbero da interpretare, secondo numerosi analisti turchi, le operazioni lanciate dall'esercito turco lo sorso aprile contro il PKK nell’area di Ağrı, Turchia orientale, nonostante il rischio di mandare all'aria il processo di pacificazione tra il governo turco e il leader PKK Abdullah Öcalan, avviato da alcuni anni e che ha permesso di porre termine a violenze che hanno causato finora decine di migliaia di morti. Il comandante in capo del PKK Murat Karayılan ha rilasciato una dichiarazione pubblica nella quale afferma di non essere disposto a lasciarsi trarre in inganno, condannando l’operazione come una provocazione con evidenti scopi elettorali.
Per Erdoğan, il processo di pace turco-curdo era stato sinora motivo di orgoglio e moneta di scambio, specialmente nella ricerca di sostegno al progetto di riforma della repubblica parlamentare turca in senso presidenziale. Tuttavia ora teme che altri possano godere dei benefici della pace, in particolare l’HDP, a sua volta mediatore tra il governo e Öcalan. Così si potrebbe spiegare l’improvviso cambiamento d'atteggiamento di Erdoğan quando, in un discorso tenuto nella città di Balıkesir lo scorso marzo, ha dichiarato che non esisteva alcun problema curdo in Turchia, un paese dove vivono oltre 30 minoranze etniche e religiose eppure, a suo dire, intrappolato da una questione riguardante una sola minoranza e già risolta da tempo. L’affermazione del Presidente della Repubblica ha probabilmente generato malcontento e contribuito alla perdita di credibilità dell’AKP tra i curdi.
Nel frattempo, le sedi HDP nel paese hanno subito decine di attacchi, anche armati, da parte di sconosciuti. Bombe sono state fatte esplodere nelle città di Adana e Mersin e colpi di pistola contro altre sedi del partito. Vista la scarsa solerzia delle inchieste ufficiali e il fallimento nell’individuare i responsabili, il clima si è ulteriormente esacerbato, con scambi di accuse tra le varie forze politiche volte ad accusare degli attacchi ora i militanti nazionalisti, ora gruppi legati alla jihad islamica siriana e all’IS, ora gli stessi membri dell’HDP, desiderosi a detta di alcuni di maturare simpatia verso il proprio movimento.
I giochi di coalizione in uno scenario tutto da definire
Con il passare dei giorni e con l’aumento delle probabilità dell’HDP di superare la soglia di sbarramento, il dibattito politico si è spostato verso i possibili scenari futuri di coalizione. Tutti i leader dei partiti d’opposizione hanno negato la possibilità di stringere un’alleanza con l’AKP. Non è detto le stesse posizioni vengano mantenute anche a seguito delle elezioni.
Al momento la più probabile sembra un'alleanza di destra tra l’AKP e i nazionalisti dell’MHP. Il MHP è dato al 17% delle preferenze e i due partiti condividono molto sul piano ideologico. Il segretario Devlet Bahçeli ha rifiutato diverse alleanze con gruppi minori per poter conservare spazio di manovra per il dopo-elezioni ma, allo stesso tempo, ha tolto dal tavolo la possibilità di un governo di coalizione con l’AKP durante un discorso tenuto il 19 maggio.
Anche il leader del CHP Kemal Kılıçdaroğlu ha negato ogni possibile alleanza con l'AKP ed ha invitato tutti i partiti d’opposizione a considerare l’idea di una grande coalizione. Il CHP, Partito repubblicano, è dato al 26% dei voti. Se ottenesse questo risultato sarebbe il secondo partito del paese. Il CHP è passato attraverso un lungo periodo di trasformazione negli ultimi anni, abbandonando le posizioni più nazionaliste in favore di politiche più moderate. Un cambiamento che non ha tuttavia fermato il passaggio di voti verso l’HDP, tanto che Kılıçdaroğlu si è visto costretto ad intervenire con un appello rivolto agli elettori sull’importanza della fedeltà al partito.
Una grande coalizione HDP-CHP-MHP allontanerebbe l’AKP dalle leve di governo ed è – nei sondaggi - per la prima volta dal 2002 numericamente possibile. Ciononostante, nella realtà, rimane altamente improbabile. HDP e MHP sono per molti versi su posizioni inconciliabili, in particolare sulla questione curda. Anche un’alleanza AKP-HDP sembra difficilmente realizzabile, soprattutto dopo una campagna elettorale in cui i due gruppi non hanno avuto esitazioni nello scambiarsi colpi ed accuse molto forti. Demirtaş si è più volte esplicitamente opposto sia all’idea di alleanza, sia soprattutto al progetto presidenziale di Erdoğan. L’unico argomento in comune pare essere la questione curda, sulla quale i due partiti dovranno prima o poi tornare a parlarsi. L’incertezza dello scenario ha spinto alcuni rappresentanti parlamentari di rilievo ad accarezzare l’idea di un governo temporaneo e la chiamata a nuove elezioni entro un anno. Specialmente da parte dell’AKP, è un’ipotesi da più parti paventata in caso di fallimento nel raggiungere la maggioranza assoluta.
Turchia e AKP, ma senza Erdoğan?
Anche qualora l’AKP si confermasse primo partito in Turchia, un risultato elettorale insoddisfacente potrebbe allargare ulteriormente quella spaccatura interna all'AKP a cui molti guardano come la chiave per spezzare il dominio di Erdoğan sul paese. Incluse quelle opposizioni che più volte hanno tentato di infilarvisi, finora senza successo.
Non c’è dubbio che l’attuale Presidente della Repubblica rappresenti ancora l’indiscusso leader spirituale del gruppo, il quale ha costruito le proprie fortune a seguito di quel lungo periodo di instabilità politica degli anni ’90 che ancora la gente teme con preoccupazione. Erdoğan sta in ogni modo promuovendo la sua riforma presidenziale, che egli considera un cambiamento necessario per garantire al paese la capacità di affrontare le sfide del XXI secolo e lasciarsi alle spalle un sistema parlamentare farraginoso. In molti tra le opposizioni e tra gli osservatori internazionali considerano un simile cambiamento pericoloso per la Turchia e foriero di possibili derive autoritarie, specie in assenza di quei serrati meccanismi di bilanciamento tra i poteri quanto mai necessari in uno stato presidenziale.
Anche all’interno del partito c’è chi non è convinto della linea di Erdoğan e comincia a considerarlo una figura ingombrante, che danneggia il partito più che promuoverlo e che lo sfrutta per le proprie ambizioni personali. Allo stesso tempo, la debolezza dell’immagine internazionale di Erdoğan allontana dal paese sostegno politico ed investimenti economici. I rapporti diplomatici con i paesi limitrofi e lontani sono ad un punto molto basso, mentre l’economia, il cui successo è stato un altro cavallo di battaglia del Presidente, comincia ad arrancare e vengono a mancare quegli investimenti internazionali di cui la Turchia è ancora dipendente.
È per questo che c’è chi ha cominciato da tempo a guardare al precedente Presidente della Repubblica, Abdullah Gül, come ad un possibile sostituto in capo al partito. Gül ha rifiutato l’invito di Erdoğan a partecipare come candidato a questa tornata elettorale e, nonostante abbia categoricamente smentito di volersi allontanare dal partito, questo rifiuto è stato da più parti interpretato come la volontà tattica di attendere un possibile fallimento alle urne per riprendere in mano le redini dell’AKP. Erdoğan, tutt’altro che cieco di fronte a questa possibilità, non si darà certo per vinto e ha sibillinamente annunciato “novità” prima del termine della campagna.
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