La Corte costituzionale turca ha annullato gli emendamenti alla Costituzione che avevano reso possibile alle studentesse col velo di accedere alle università, perché ritenuti anti-laici. Anti-laico, e minacciato di soppressione, è stato definito anche il partito del premier Erdoğan
Il 5 giugno scorso, a meno di quattro mesi dall'approvazione in sede parlamentare delle riforme alla Costituzione che avevano permesso alle ragazze col velo (türban) di accedere alle università, la Corte costituzionale turca, valutato il ricorso presentato dal CHP (Partito Repubblicano Popolare), ha annullato con 9 voti contro 2 la validità degli emendamenti alla Costituzione.
Il premier Erdoğan, nella dichiarazione rilasciata dopo sei giorni dalla comunicazione della sentenza della Corte costituzionale, aveva detto: "Siamo giunti a questo punto a causa dello sforzo testardo e insistente del CHP di creare un conflitto tra il potere legislativo e quello giudiziario. (...) Non è ammissibile che gli apparati legislativo ed esecutivo, in carica grazie al diritto di rappresentanza ottenuto dal popolo, siano soggetti a così aspre critiche, mentre l'apparato giudiziario e le sue decisioni non ne sono toccati. Dobbiamo evitare con cura di ledere la credibilità e l'immagine di una istituzione tanto importante quale la Corte costituzionale. Altrimenti sarà la nostra Repubblica, la nostra democrazia a esserne danneggiata." (Radikal, 11.06)
Questo intervento dall'alto nei confronti di una decisione condivisa a larga maggioranza dal parlamento, rischia di causare l'ennesimo blocco nell'intermittente corso democratico della Turchia. La decisione risulta ancor più rilevante quando si pensa che è in atto un procedimento contro il partito a capo del governo, l'AKP (Partito di Giustizia e Sviluppo), accusato dal procuratore capo della Cassazione di essere un "centro propulsore di anti-laicità" e che la sentenza sul velo emessa dalla Corte costituzionale potrebbe essere utilizzata dal procuratore come prova ulteriore della sua tesi.
Tuttavia, il vicepresidente dell'AKP Dengir Mir Mehmet Fırat, commentando il testo di difesa di oltre 400 pagine presentata l'altro ieri dall'AKP per il procedimento in corso per la sua soppressione - 13 giorni in anticipo rispetto al tempo legale consentito, a indicare la volontà di Erdoğan e del suo partito di accelerare i tempi per risolvere una situazione di tensione che sta influenzando negativamente l'economia e le trattative per l'ingresso all'UE - ha detto: "Noi non ci siamo espressi in difesa del velo. Si tratta di qualcosa attribuitaci dal procuratore capo della Repubblica. Gli articoli 10 e 42 della Costituzione parlano chiaro. Non c'è niente che parli del velo. L'emendamento fatto al 10° articolo riguarda l'uguaglianza, mentre quello al 42°, il diritto di istruzione superiore. Eppure qualcun altro, a cominciare dal procuratore capo della Repubblica li percepisce come delle riforme a favore del velo. Ma questa è una sua interpretazione."
Fırat ha aggiunto inoltre che "La Corte costituzionale ha annullato le riforme alla costituzione.
L'annullamento di queste riforme, che il procuratore capo ha indicato quale prova di maggior rilievo e che in un'intervista rilasciata ad un giornalista ha indicato come principale causa del processo, ha invalidato il motivo fondamentale del processo. Ragionando nei termini della procura generale, la decisione di annullamento della Corte costituzionale ha distrutto la tesi per cui il nostro partito sarebbe un centro propulsore di azioni contro la laicità." (Radikal, 16/17. 06)
Nel caso della Turchia, l'ampliamento del diritto di accesso all'istruzione superiore di cui parla Fırat, riguarda fondamentalmente il diritto d'accesso all'università delle ragazze con il velo, le quali, prima della liberalizzazione del febbraio di quest'anno, per entrare negli edifici e nei campus universitari dovevano scegliere tra lo sciogliersi il fazzoletto, indossare un cappello o una parrucca. Oppure non entrare proprio.
Quello del velo è un divieto risalente alla Costituzione del 1982, redatta dopo il colpo di Stato militare del 1980. Una imposizione dura a sciogliersi ancora adesso, e che a fatica riesce a far dialogare il governo guidato dai "democratici conservatori" dell'AKP e gli organi giuridici del paese, sostenuti dall'Esercito, da sempre strenui difensori della laicità e dei valori con cui il fondatore della Repubblica Turca aveva gettato le basi del nuovo stato, non accorgendosi, o non volendo accorgersi che a furia di voler proteggere a tutti i costi dei valori, danno solo origine ad una lotta di potere che non tiene per niente conto delle persone e di ciò che sono diventate a più di ottant'anni dalla fondazione della Repubblica. Un po' come quando si faceva ripetere a pappagallo ai bambini delle elementari "sono turco, sono laborioso, la mia legge: proteggere i piccoli, rispettare i grandi..."
I rettori della maggior parte delle università, già recalcitranti ad accettare le ragazze col capo coperto anche dopo l'approvazione delle riforme, hanno espresso la loro soddisfazione per la decisione della Corte costituzionale. Le studentesse "velate", dal canto loro, pensano di essere trattate arbitrariamente, senza che si tenga conto né delle loro scelte personali e nemmeno dell'effetto che questo vai e vieni delle riforme potrebbe avere sul loro rendimento scolastico.
Altre studentesse, che invece non indossano il türban, dichiarano di essere contente della decisione, qualcuna perché si sente in minoranza rispetto a una maggioranza di studenti osservanti; altre perché hanno visto addirittura arrivare ragazze col chador, altre perché non credono nella universalità delle intenzioni democratiche dell'AKP, ma vedono in queste sue manovre liberalizzanti delle tattiche per imporre, un po' alla volta, a chi non vuole l'uso del velo.
Ma a parte la questione del velo e di chi vuole portarlo, di chi non lo vuole portare, di chi lo vuole imporre o vietare, che risulta un problema secondario in un paese in cui solo 1 donna su 5 lavora nei settori secondario e terziario e il 70% delle ragazze tra i 15 e i 19 anni ha avuto un'istruzione di tipo elementare o anche inferiore, c'è un altro e ben più importante problema che porta la Turchia a dover superare un altro esame riguardo la sua democraticità: potrà un parlamento la cui maggioranza è tenuta da un partito - che per quanto possa essere discutibile sulle scelte di liberalizzazione è stato eletto dal popolo per la seconda volta - apportare modifiche alla Costituzione come suo legittimo diritto, in quanto potere legislativo, o ci sarà sempre un organo giuridico che a ogni accenno di scelta non condivisa bloccherà tutto decidendo a nome di tutto il popolo turco?
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