Principale tempio della cristianità, moschea dopo la conquista ottomana, museo per volere di Atatürk. Santa Sofia a Istanbul ha attraversato i secoli conservando il suo fortissimo potenziale simbolico. La recente e controversa decisione di ritrasformarla in moschea polarizza e divide la Turchia e il mondo
“Stanno distruggendo l’economia e non se ne rendono conto”. È una guida turistica turca a parlare, lo ascolto mentre discute con un visitatore straniero. Origlio questa conversazione nel giardino adiacente all’entrata di Santa Sofia. È la mattina del 10 luglio 2020 e mi sono recato a visitare quella che è stata per quasi un millennio la basilica più prestigiosa della cristianità e dopo il 1453 diventerà la moschea simbolo del nuovo ordine imperiale ottomano che aveva appena conquistato la capitale bizantina.
Dal 1931 a Santa Sofia era stata interdetta la preghiera islamica e nel 1934 l’edificio è stato trasformato in museo con un decreto firmato da Mustafa Kemal Atatürk, il “padre” della Repubblica laica di Turchia, fondata poco più di dieci anni prima sulle ceneri dell’Impero Ottomano dissoltosi con la fine della Prima Guerra Mondiale. Mentre entro a Santa Sofia vedo pochissimi turisti, una cinquantina di persone passeggiano nell’enorme struttura con il naso all’insù immersi in questo straordinario spazio architettonico rapiti dalla magia di poter ammirare simboli islamici e mosaici cristiani in un unico luogo, come raramente può accadere. Lo scarso numero di visitatori è dovuto alle restrizioni sull’entrata dall’estero in Turchia, in gran parte ancora in vigore a causa della pandemia COVID-19.
Santa Sofia sarà di nuovo una moschea
Santa Sofia è – o meglio dire è stato – il museo più visitato di Turchia, insieme al vicino palazzo Topkapı, con ben oltre 3 milioni di turisti all’anno. Il foglio economico turco Dünya ha stimato che con i nuovi prezzi del biglietto d’entrata Santa Sofia avrebbe prodotto quest’anno un fatturato di 400 milioni di lire turche , oltre 51 milioni di euro. È così che si spiegano le preoccupazioni della guida turistica turca che ho incontrato all’ingresso dell’edificio mentre, con gli occhi al cielo, esponeva le sue lamentele a un visitatore straniero.
Forse le parole di quell’operatore turistico non rappresentano un caso isolato, secondo un recente sondaggio dell’istituto turco Metro , il 44% della popolazione in Turchia ritiene che riaprire Santa Sofia come moschea sarebbe soltanto un modo per distrarre rispetto alla fragile situazione economica. A poche ore dalla mia visita, una decisione del Consiglio di Stato turco ha realmente annullato il decreto di Atatürk sostenendo che l’edificio è ancora in possesso di una fondazione legata a Mehmet II - il giovane sultano ottomano che a soli 21 anni riuscì a conquistare Costantinopoli – e all’epoca, nel 1453, l’edificio era stato presentato come una “moschea”.
Pochi minuti dopo il pronunciamento del Consiglio di Stato, il presidente Recep Tayyip Erdoğan ha firmato un decreto per permettere la preghiera islamica all’interno di Santa Sofia, rendendola di fatto nuovamente una moschea. Mentre uscivo dall’edificio la polizia aveva appena iniziato a disporre alcune barricate nella piazza adiacente dove alcune persone, avvolte da bandiere turche, si stavano ammassando per celebrare la decisione di riaprire il luogo alla preghiera islamica.
Tra preghiera e rivalsa
Quello stesso giorno, mentre il sole tramontava e dai minareti risuonava la chiamata alla penultima preghiera prima della notte, circa 2000 persone hanno pregato accanto a Santa Sofia, esprimendo gioia e un senso di liberazione ma anche un sentimento di rivalsa a giudicare dai cori contro la Grecia e la cristianità che si sono levati da alcuni, pochi, di loro. Non erano tutti sostenitori del presidente turco, riaprire Santa Sofia come moschea non è solo una battaglia dell’Islam politico in Turchia, ma anzi è storicamente una richiesta di una buona parte dell’area di destra ultranazionalista che a partire dagli anni ’50 del XX secolo, in occasione del cinquecentesimo anniversario della conquista di Costantinopoli, iniziarono ad avanzare questa richiesta.
Mentre i fedeli musulmani pregavano accanto a Santa Sofia, una postazione televisiva poco distante riprendeva la scena trasmettendola in diretta e da un piccolo schermo si poteva vedere e sentire il discorso di Erdoğan che per celebrare la decisione recitava poesie dedicate al conquistatore di Costantinopoli Mehmet II e annunciava che l’entrata a Santa Sofia da ora in poi non sarebbe più stata a pagamento.
Quale futuro per Santa Sofia?
Dopo la decisione di riaprire Santa Sofia come moschea, le autorità turche hanno particolarmente insistito nel sottolineare che i turisti stranieri potranno continuare a visitarla come già accade nel caso della Moschea Blu. Retorica utilizzata probabilmente più per rassicurare dopo le molte reazioni negative alla decisione che si sono levate dall’Europa alla Russia, come anche negli USA, visto che è ben noto come in Turchia tutte le moschee siano gratuitamente visitabili dai turisti mentre paradossalmente proprio in Occidente ha preso piede l’usanza di fare pagare la visita in alcuni luoghi di culto cristiani, come nel caso di certe chiese cattoliche di Venezia, scelta che suscita fastidio da parte di alcuni fedeli .
La Turchia ha assicurato anche che non verranno toccati i preziosi mosaici cristiani che adornano Santa Sofia e rappresentano modelli d’arte bizantina. La riapertura come moschea è in programma per il 24 luglio 2020 e, se è stato confermato che i mosaici verranno coperti durante l’orario della preghiera perché in un luogo di culto islamico non è ammessa la rappresentazione figurativa di icone religiose, non è ancora chiaro come le immagini cristiane saranno oscurate. Per ora si parla o di un sistema di tendaggi da utilizzare durante la preghiera o di schermi di luci al laser.
È bene ricordare che nel 1453, dopo la conquista di Costantinopoli e la successiva conversione di Santa Sofia in moschea, i mosaici cristiani non furono subito coperti. Per anni restarono visibili, le fonti storiche non concordano tra loro ma è possibile che i mosaici di Santa Sofia siano rimasti scoperti almeno fino alla metà del XVI secolo o addirittura fino al 1710.
Le reazioni all'estero...
Le rassicurazioni sul mantenimento dei mosaici e il permesso di visitare l’edificio concesso ai turisti stranieri non hanno comunque placato le dure critiche internazionali che si sono in questi giorni abbattute sulla decisione turca. Si sono levate condanne dall’UE, anticipate da dure critiche da parte greca, ma anche dagli Stati Uniti, per bocca del Dipartimento di Stato e dell’ex vicepresidente USA Joe Biden.
Putin ha fatto sapere ad Erdoğan che la società russa non vede di buon occhio la situazione ma ha riconosciuto che si tratta di una decisione “sovrana” della Turchia. Donald Trump non ha ufficialmente commentato nonostante abbia sentito il presidente turco al telefono qualche giorno dopo la scelta di riaprire Santa Sofia come moschea. Anche l’UNESCO, che include Santa Sofia nella sua lista dei patrimoni mondiali dell’umanità, ha espresso “tristezza” e ha chiesto alla Turchia di annullare la decisione.
L’impressione è però che le critiche occidentali siano tardive e innocue, più che vere e proprie pressioni rappresentano uno sterile gioco delle parti che ha già innescato reazioni prevedibili come la manifestazione contro l’entrata della Turchia in UE – quando il negoziato è già praticamente congelato da anni - guidata da Matteo Salvini davanti al consolato turco di Milano oppure l’invettiva contro l’Europa del leader della destra nazionalista, alleato di Erdoğan, Devlet Bahçeli che ha parlato di una “mentalità da crociati”.
...e quelle in Turchia
La riapertura di Santa Sofia come moschea in Turchia è stata accolta dalle forze politiche di governo, com’era del resto prevedibile. Nel campo dell’islam politico l’unica voce velatamente critica è quella dell’ex premier Ahmet Davutoğlu, oggi allontanatosi da Erdoğan e capo di un partito di opposizione, che non si dichiara contrario a riconvertire Santa Sofia in moschea, ma ha sostenuto che i tempi e le modalità con cui la decisione è stata presa sono pura propaganda politica.
Indifferenza o addirittura sostegno da parte di tutte le forze di opposizione, con l’eccezione del filocurdo HDP, la terza forza politica del Parlamento turco, che ha esplicitamente parlato di un “errore”. Il silenzio delle opposizioni ha creato il vuoto attorno al rammarico espresso dallo scrittore premio Nobel turco Orhan Pamuk che si è detto dispiaciuto confidando alla BBC come la decisione dimostri che la Turchia vuole mostrarsi al resto del mondo come un paese non più secolare.
Il patriarca ortodosso di Costantinopoli Bartolomeo I aveva deciso di esprimersi già prima che la decisione venisse presa sostenendo che se il luogo doveva essere riaperto alla preghiera sarebbe dovuto tornare ad essere una chiesa. Difficile prevedere un’altra reazione da parte di colui che ricopre il ruolo di patriarca ortodosso pensando che Santa Sofia era prima della conquista ottomana di Istanbul la sede del patriarcato stesso. Colpisce comunque che Bartolomeo I si sia espresso considerando che le minoranze non musulmane in Turchia rappresentano oggi lo 0,4% della popolazione e non tutti i cristiani sono ortodossi.
Una questione che polarizza
Se avesse ragione chi sostiene che Erdoğan abbia riconvertito Santa Sofia in moschea per puro calcolo politico, il silenzio delle opposizioni potrebbe essere interpretato come una tattica per lasciare sbagliare il presidente senza nello stesso tempo alienarsi la parte più religiosa della società, che in futuro potrebbe scegliere di votare per loro ricordandosi che l’opposizione non aveva criticato questa scelta su un tema così complesso.
Secondo i sondaggi il 46% della popolazione in Turchia si dichiara a favore di questa decisione, la società è quindi divisa e la metà degli elettori del partito di destra nazionalista MHP, fondamentale alleato di Erdoğan per mantenere la maggioranza parlamentare, avrebbe preferito che Santa Sofia restasse un museo. Anche il 20% degli elettori del partito del presidente turco la pensa così. Sarà il tempo a rivelarci se Erdoğan abbia giocato davvero bene le sue carte, in questo caso si potrebbe affermare che la rivoluzione di Atatürk è stata archiviata e ha poco valore sulla società turca di oggi.
Ieri il presidente turco ha addirittura attaccato il fondatore della Repubblica laica di Turchia pur senza nominarlo: “Abbiamo trasformato Santa Sofia in un museo con una decisione sbagliata (…) noi siamo quelli che hanno corretto questo errore”, ha affermato Erdoğan.
La Santa Sofia di De Amicis
Nel 1874 lo scrittore italiano Edmondo De Amicis visitò la capitale ottomana e da quel viaggio nacque uno dei libri più belli mai scritti riguardo alla città sul Bosforo. In “Costantinopoli”, De Amicis descrive anche la sua visita a Santa Sofia dove fu “accompagnato da un cavas turco del Consolato d’Italia e da un dracomanno greco”.
De Amicis e i suoi compagni scelsero queste due guide “colla speranza, che non fu delusa, di sentire nelle loro spiegazioni e nelle loro leggende cozzare le due religioni, le due storie, i due popoli; che l’uno ci avrebbe esaltato la chiesa, l’altro magnificato la moschea, in modo da farci vedere Santa Sofia come dev’essere veduta: con un occhio di cristiano e un occhio di turco”. (pp. 237-238, “Costantinopoli”, Edmondo De Amicis, Fratelli Treves, Milano, 1877).
De Amicis non immaginava che, una sessantina d’anni dopo il suo viaggio, Santa Sofia sarebbe diventata un museo e quindi un luogo che per 86 anni avrebbe preservato queste due anime di Istanbul riuscendo, attraverso il rispetto per la bellezza, a restituire all’occhio del visitatore secoli di storia.
Quando De Amicis visitava Costantinopoli, Santa Sofia era una moschea ma quasi la metà della popolazione in città non era musulmana. Oggi la minoranza greco ortodossa di Istanbul è costituita da qualche migliaio di persone su una popolazione di oltre 15 milioni di abitanti; un dettaglio del contesto che influirà molto sulla decisione di riaprire Santa Sofia come moschea.
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