Nelle scorse settimane si è tenuta a Istanbul la fiera del libro, dedicata alle relazioni con l'Europa. Tra le decine di scrittori, star mediatiche o autori al debutto anche Nedim Gursel, romanziere e saggista turco, tradotto anche in Italia. Un'intervista a cura del nostro corrispondente
Era il 1982. La prima fiera del libro di Istanbul ospitò 26 espositori e accolse circa ventimila visitatori. L'edizione del 2005 che si è tenuta nelle scorse settimane ha visto l'affluenza di 317.000 persone che hanno visitato gli stand allestiti da 450 espositori ed hanno partecipato alle circa 250 manifestazioni collaterali - presentazioni, dibattiti, letture - che si sono dipanate nel corso degli otto giorni della fiera. Un'edizione dedicata alle relazioni con l'Europa "La Turchia d'Europa/L'Europa della Turchia" con un occhio di riguardo rivolto ai lettori del futuro. "I bambini devono conoscere libri al di fuori di quelli usati a scuola. Purtroppo per molti di loro però in Turchia non esiste questa possibilità. La fiera rappresenta quindi un'opportunità", ha dichiarato l'organizzatore, Deniz Kavukcuoglu. E nel complesso sono stati più di 80.000 gli studenti delle scuole elementari e medie che si sono rumorosamente riversati tra gli stand della fiera.
All'interno del coro di generale entusiasmo che ha accompagnato l'iniziativa non sono però mancate le voci critiche. "Guardando ai dati relativi all'affluenza si perde di vista la situazione tragica in cui versa il settore. Per ogni libro si stampano tra le 500 e le 2000 copie. La stampa mostra di interessarsi al libro solamente durante questa settimana", ha ricordato Omer Faruk della casa editrice Ayirinti.
Tra le decine di scrittori, star mediatiche o autori al debutto, presenti alla fiera anche Nedim Gursel, romanziere e saggista turco che vive da più di vent'anni a Parigi. Tra le sue opere tradotte in italiano "L'ultimo tramway", "Il romanzo del Conquistatore" e "Ritorno ai Balcani".
Qual è il suo rapporto con la Fiera del Libro?
Io sono una sorta di abbonato di questa fiera del libro per molte ragioni: in primo luogo perché il coordinatore della Fiera, Kavukcuoglu, è un vecchio amico ed è anche un grande piacere rivederlo ogni anno. La cosa più importante poi è che la fiera rappresenta per uno scrittore turco che vive all'estero l'occasione per incontrare i suoi lettori. Io vengo regolarmente ogni anno. Inizialmente mi dispiaceva che la fiera fosse lontana dal centro ma alla fine ci siamo abituati. Per quanto mi riguarda in questi giorni ho avuto la possibilità di incontrare i miei lettori per firmare le copie del mio ultimo libro. (Izler ve Golgeler/Tracce ed Ombre) E' andata molto bene, ho avuto l'occasione per chiaccherare un po' con loro, di incontrare il mio editore e di bere un bicchiere di vino anche se siamo nel mese del Ramadan ma il mio editore difende i principi laici, quindi tutto va bene.
Quali cambiamenti ha notato nel corso degli anni, nel pubblico e negli espositori della fiera?
Il grande cambiamento rispetto agli anni precedenti è che ora la fiera del libro si svolge in contemporanea ad una fiera dell'arte, ci sono delle gallerie d'arte che espongono. Personalmente mi interessa molto vedere cosa succede in campo artistico in Turchia perché so che si vive un momento di grande fermento, la Biennale che ho avuto occasione di visitare ne è un'ottima prova. Anche l'inaugurazione del museo di arte moderna di Istanbul, c'è grande fermento nel campo delle arti plastiche.
Anche il settore editoriale è in forte sviluppo, il pubblico può accedere a molti più libri ma il numero dei lettori non aumenta proporzionalmente, almeno così si dice qui. In precedenza rimanevo più tempo, per visitare gli stand e le nuove uscite, quest'anno purtroppo non ho ancora avuto questa opportunità. Per quanto riguarda i miei lettori ho potuto constatare che, nonostante i miei libri non siano molto facili da leggere, tra essi vi sono molti giovani e soprattutto ragazze.
Per usare il titolo di un suo saggio qual è il paesaggio letterario della Turchia contemporanea?
E' un paesaggio sempre più vario, che io trovo sempre più ricco ma ho l'impressione che gli scrittori di cui i media parlano più spesso non siano i migliori. Il mio editore (Dogan.Ndt) per esempio appartiene al più grande gruppo media in Turchia e si interessa soprattutto di giovani, c'è un gran numero di autori giovani che scrivono romanzi e racconti. Nonostante questo ed il fatto che la casa editrice appartenga ad un grande gruppo, i media non ne parlano molto, e tra loro ce ne sono di veramente bravi. Per quanto riguarda il paesaggio letterario turco mi sembra un po' flou, cioè non sembrano affermarsi delle tendenze dominanti. E' anche vero che io da qualche tempo leggo sempre meno autori turchi perché attualmente sono molto interessato ad altro, al rapporto che lega alcuni artisti con detrminati luoghi geografici.
Trovo però che la poesia continui a rappresentare una parte fondamentale della nostra letteratura, ed il romanzo certo. Vorrei però fare un'osservazione che va un po' controcorrente rispetto all'atmosfera di questa fiera: il fenomeno editoriale di questi ultimi tempi (Questi pazzi turchi, Ndr) in realtà non contiene nulla di interessante, solamente molte informazioni, non c'è però nessuno stile e nessun talento. La gente, i giovani leggono molto questo genere di opere. Io non credo che il grande battage pubbicitario che li ha imposti sul mercato spieghi completamente questo fenomeno: il libro parla della guerra di indipendenza da una prospettiva che io trovo un po' troppo nazionalista. Corrisponde ad una crescita del nazionalismo nel paese legato anche ai rapporti con l'Unione Europea. Credo ci sia una relazione tra i due fenomeni ma in ogni caso nessuno parlerà di questi libri tra due o tre anni.
Dicevamo di giovani autori...
Tuna Kiremitci ad esempio, è già arrivato al suo quarto romanzo, io ho letto il primo. Credo che lui rappresenti un ottimo esempio di come è possibile vendere molto scrivendo bene, e questo è molto importante. Io leggo però ancora molto poesia, anche Nazim Hikmet, sul quale tempo fa ho scritto un saggio mettendo in evidenza come un poeta marxista contemporaneo possa fare uso della tradizione.
Nei suoi libri l'Italia è un soggetto ricorrente. Un racconto di viaggio sui luoghi in cui è ambientato "Cristo si è fermato ad Eboli" di Carlo Levi e poi nella sua ultima opera un racconto dedicato al Caravaggio....
Avevo visto il film ispirato al romanzo e ne ero rimasto molto impressionato. Mi colpiva soprattutto che potessero esistere luoghi e situazioni del genere in Italia ed ho voluto andare a vederli. Trovo che il romanzo, le situazioni che descrive, la figura dell'intellettuale urbano illuminista che viene a contatto con una realtà rurale completamente diversa da quella da cui proviene siano molto simili ad un classico della letteratura turca moderna, Yaban (Lo straniero) di Karaosmanoglu.
Per quanto riguarda Caravaggio io mi interesso un po' di pittura. Ho scoperto però relativamente tardi Caravaggio, me ne ha parlato qualche amico storico dell'arte. Una sera mi trovavo a Roma, ha cominciato a piovere e mi sono rifugiato in una chiesa. Lì mi sono trovato davanti ad uno dei suoi quadri, "I pellegrini". In seguito ho letto il romanzo di Fernandez, "Un salto nella disperazione", in cui parlava della vita di Caravaggio, un'esistenza segnata dalla violenza. Ed è così che ho voluto saperne di più, mi sono interessato ai suoi quadri. Recentemente a Londra c'è stata una mostra con i suoi ultimi otto quadri, quelli dipinti nella sua fuga, che ho visitato.
Per questa ragione mi è venuta voglia di scrivere della sua arte ma soprattutto cercare di comprendere l'itinerario di questo grande pittore, che è stato anche una sorta di "guardone".
Nei suoi libri, romanzi o saggi, i Balcani occupano un posto speciale. Ci sono ragioni non solo professionali ma anche personali che la legano a questa regione, a Sarajevo ed alla Macedonia....
La famiglia di mio padre è originaria di Skopje. La nonna che mi ha allevato e di cui ho parlato anche in un racconto aveva otto anni quando sono scoppiate le guerre balcaniche ed è stata costretta a fuggire in Turchia con la sua famiglia. Io sono quindi un muhacir (termine di origine coranica, in uso fin dal 1800 per designare i profughi turchi e/o musulmani riparati in Turchia dai Balcani o dalla Russia zarista.N.d.r.) per il 50% e yerli (indigeno) al 50%. Ci sono quindi legami familiari, comunque lontani nel tempo visto che mio padre è nato in Turchia. Quando poi la Jugoslavia è esplosa, sono stato molto solidale come molti intellettuali europei, soprattutto con la città di Sarajevo. La città rappresentava per noi un ideale di convivenza tra i popoli mentre crescevano i nazionalismi, considerati come un valore ma che in realtà si sono dimostrati un disastro. Sono andato quindi a Sarajevo durante la guerra e sono stato molto colpito da quanto ho visto là, era la prima volta che vedevo la guerra. Ne ho parlato anche in un mio libro tradotto in italiano, "Ritorno ai Balcani". Io mi ero ripromesso di ritornare a Sarajevo una volta finite le ostilità e ci sono ritornato dopo gli Accordi di Dayton e ho scritto ancora delle cose.
Sono molto legato a questa parte del mondo ed anche alla sua letteratura perché lì sono nati grandi scrittori. Sempre nel mio ultimo libro ci sono capitoli dedicati a due di loro. Uno ad Ivo Andric, nel quale parlo della Bosnia in generale ma in particolare di Travnik utilizzando come spunto "Le cronache di Travnik".
Un altro capitolo parla poi di Ismail Kadare. L'Albania era l'unico paese della regione che non avevo ancora visitato. Ci sono andato due anni fa in occasione di un convegno di scrittori. Ho scritto un racconto Tango a Tirana nel quale evoco un po' l'opera di Kadare ma anche quello che mi ha raccontato Baskihm Shumi il cui padre era primo ministro durante il periodo socialista ed è stato poi "suicidato". Una pagina oscura nella storia dell'Albania che mi è sembrata interessante e che ho voluto raccontare approfittando del fatto di avere una testimonianza di prima mano.
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