E' stato tra i primi studiosi turchi ad affrontare apertamente e senza mezzi termini la questione del genocidio armeno. Superare il tabù del genocidio, secondo Taner Akçam, permetterà alla Turchia di rafforzare il proprio ruolo di potenza regionale
“La strada per la pace e la democrazia nel Medio Oriente passa per il riconoscimento del genocidio armeno”. È perentorio nella sua affermazione Taner Akçam, tra i primi studiosi turchi ad affrontare apertamente e senza mezzi termini la questione del genocidio armeno, quando cerca di rispondere al quesito: perché la Turchia a cento anni di distanza non è in grado di confrontarsi con il proprio passato e riconoscere il genocidio armeno?
Taner Akçam, in Svizzera per un ciclo di conferenze sul tema, è presentato a Ginevra da Vicken Cheterian, studioso e giornalista armeno. La carica simbolica della scena è forte. Sono tanti, in platea, gli armeni della comunità di Ginevra che si riuniscono per ascoltare questo professore turco, costretto a lasciare il proprio paese per aver chiesto allo stato di affrontare con onestà la questione del genocidio armeno.
Il suo nome, insieme a quello del premio Nobel per la letteratura Orhan Pamuk e a quello di Hrant Dink - il giornalista turco-armeno assassinato proprio in relazione alla sua posizione sul genocidio - figura in una lista di persone considerate una minaccia alla sicurezza nazionale. Lui è un traditore, perché dice ad alta voce quello che pensa su una tragica pagina del passato del suo paese. Nonostante ciò, ai funerali di Dink il professor Akçam era presente, sebbene il rischio per la propria sicurezza personale fosse elevato, così come quello di essere arrestato.
Un approccio pragmatico
L'approccio di Akçam è scientifico e pragmatico, e questo non piace a qualcuno degli armeni presenti in sala. “Non lo fa per noi, lo fa per i suoi”, si sente mormorare in sala, da chi commenta con disappunto la lectio magistralis di Akçam, che evidenzia il legame fra il concetto di sicurezza nazionale turco e il tabù del genocidio armeno. Per i turchi parlare del genocidio armeno equivale a mettere in pericolo la sicurezza nazionale. Per questo motivo la sentenza del 2007 contro il giornale Agos, la testata armeno-turca di Dink, dichiarava che l'uso del termine “genocidio” non può essere considerato come libertà di espressione, la quale in determinati casi può essere sottoposta a limitazioni per questioni di sicurezza e interesse nazionale. La negazione del genocidio è talmente forte da essere addirittura stata incorporata con estrema disinvoltura nel sistema legale.
Secondo Akçam la convinzione che si possa limitare la libertà di espressione per questioni di sicurezza nazionale è frutto di un'errata concezione delle scienze politiche e delle relazioni internazionali che contrappone la realpolitik alla morale, ritenendo che i due concetti si escludano a vicenda. Questa errata convinzione è ben lungi dall'essere una peculiarità turca: basti dare un'occhiata a quello che è successo negli Stati Uniti in nome della sicurezza nazionale. La tesi del professore articola invece la necessità di includere la morale nella realpolitik per creare un ambiente davvero sicuro e stabile. La morale, l'approccio etico alle ingiustizie storiche – tra cui vi sarebbe anche il genocidio armeno – non è una minaccia alla realpolitik, ma la sua migliore garanzia di sicurezza.
L'origine del negazionismo
Intervenendo a Ginevra, Taner Akçam ha affrontato l'origine dello stato turco. Secondo il professore, l'attuale concetto di sicurezza nazionale, così come quello di identità turca, affonda le sue radici nello smembramento dell'Impero Ottomano alla fine della Prima guerra mondiale. Uno dei motivi per cui la classe dirigente turca è così restia – per dirla con un eufemismo – ad affrontare con franchezza la questione del genocidio armeno è la continuità storica che la lega ai perpetratori del massacro. Non c'è stata quella frattura netta che si è verificata, per esempio, in Germania, fra i nazisti che si sono resi colpevoli dell'Olocausto e la nuova Germania post-nazista. Lo stato turco moderno è sorto grazie all'azione diretta delle stesse persone che si sono sporcate le mani col sangue degli armeni. Eppure era stato Mustafa Kemal Atatürk a definirlo “un atto vergognoso”. Cos'ha determinato l'inversione di rotta dei nazionalisti turchi, che pure avevano iniziato a processare gli assassini?
Nel tentativo di recuperare quanto più territorio possibile, Atatürk si impegnò personalmente per dimostrare la serietà dei nazionalisti turchi nell'affrontare la questione del genocidio armeno. L'atteggiamento di Atatürk non aveva nulla a che vedere con la pietas. Perseguire legalmente gli autori del genocidio armeno era la sua moneta di scambio per far ottenere a una potenza sconfitta un trattamento dignitoso. Era puro calcolo politico. Un calcolo politico rivelatosi errato. Lo smembramento dell'Impero ottomano fortemente caldeggiato prevalentemente da Francia e Gran Bretagna era dettato dagli interessi coloniali, più che da un desiderio di pura giustizia e necessità di tutelare i diritti umani, per cui le potenze dell’Intesa erano restie a fare concessioni. In mancanza di una remunerazione adeguata – ovvero il riconoscimento dell'integrità territoriale - la condanna degli autori del genocidio, nell'ottica dei nazionalisti, perse di significato.
La richiesta
Poi una richiesta, quasi una supplica da parte di Taner Akçam al governo turco: “Riprendete da dove i vostri padri si sono fermati”. I nazionalisti non hanno perseguito fino in fondo gli autori del genocidio, ma il massacro non era argomento tabù. Negli archivi di stato Akçam ha trovato tracce di almeno 63 distinti processi militari contro gli autori del genocidio. Processi in cui, fra i testimoni, figurano solo cognomi turchi. “Se consideriamo i documenti degli archivi di stato, scopriamo un'altra storia della Turchia. È importante, per i turchi, che questi individui che hanno testimoniato vengano onorati, che i loro nomi siano conosciuti. Non abbiamo solo assassini, ma anche eroi.”
La necessità di rettificare uno sbaglio, un'ingiustizia, è da Akçam direttamente legata al bisogno di stabilità nella regione. Il futuro della Turchia come leader del Medio Oriente, ruolo a cui aspira, soprattutto in seguito ai cambiamenti dell'ultimo anno, dipende dal modo in cui sarà in grado di dirimere la questione. È il negazionismo turco a porre seri problemi di sicurezza nella regione. Armeni, curdi, arabi, non si fidano della Turchia. “Negano, vuol dire che lo rifaranno”.
Il ragionamento di Akçam non riguarda solo la questione armena dello scorso secolo, ma anche quella molto più attuale dei curdi: erogare equità e giustizia sociale alla minoranza curda garantirà automaticamente la sicurezza nazionale. Sostenere il contrario equivale a creare una profezia che si autoavvera. In poche parole, riconoscere il genocidio armeno è interesse della Turchia. Una Turchia non democratica crea più problemi di quanti ne risolva: si tratta non di un argomento morale, ma di una questione pratica.
Da qui la necessità di una nuova élite politica che renda possibile la presa di coscienza e il cambio di rotta. Politicamente, un cambio della guardia è indispensabile. I padri fondatori del moderno stato turco sono coloro che si sono macchiati di genocidio e la classe politica che hanno generato si è mantenuta al potere ininterrottamente per novant'anni. “Come potrebbero spiegare che per novant'anni hanno mentito? Se anche lo facessero non funzionerebbe”. Sviluppare una nuova identità nazionale turca è indispensabile per il riconoscimento del genocidio, il punto obbligato di passaggio per una vera democratizzazione non solo della Turchia, ma di tutta la regione, Armenia compresa.
In quest'ottica, l'ingresso nell'Unione Europea diventa cruciale.
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