© YP_Studio /Shutterstock

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“Stato parallelo” e corruzione politica in Turchia s'incontrano nel mai totalmente chiarito incidente di Susurluk, del 3 novembre del 1996. E negli anni '90 l'esperienza italiana di “mani pulite” divenne un punto di riferimento su come affrontare un connubio mai davvero risolto

11/11/2019 -  Sofia Verza

Se dico “stato profondo, a cosa pensi?”, mi chiede un professore di Scienze Politiche, durante un incontro all’Università Bilgi di Istanbul. “Faccio questa domanda perchè, quando la pongo a studiosi europei o americani, spesso non sanno di cosa stia parlando. Ma con voi italiani è diverso, avete ben chiaro cosa si intenda per stato profondo, stato parallelo e così via”.

L’intreccio di legami tra autorità statali, mafia, membri delle forze armate, servizi segreti ed ultranazionalisti di destra è un leitmotiv della storia politica turca dagli anni ‘70 in poi. Si tratta di legami mai accertati fino in fondo, dal punto di vista giuridico, e spesso tacciati di complottismo dalla retorica ufficiale.

Eppure, si tratta di un passato che, come ricordava lo studioso Fabio Salomoni, “dagli anni '70, attraverso il golpe del 1980, stende la sua ombra fino alla fine degli anni '90. In queste occasioni l'esempio dell'Italia, paese che ha portato allo scoperto l'esistenza della struttura Gladio, ricorre spesso, indicato come modello da imitare. Anche dal punto di vista della storia politica recente la modernizzazione turca ed italiana hanno numerosi punti di contatto: le profonde e controverse trasformazioni socio-politiche, i movimenti sociali e la guerra sporca contro 'il pericolo comunista', la presenza della NATO ed il ruolo degli Stati Uniti nella politica interna, la cornice della guerra fredda. Gli ancora numerosi misteri della storia italiana stanno lì a dimostrare però come l'opera di ricostruzione della realtà storica di quel periodo sia impresa tutt'altro che agevole”.

L'ombra di Susurluk

E infatti, ancora irrisolto rimane uno degli scandali più oscuri e allo stesso tempo rivelatori della storia turca recente: l’incidente di Susurluk, cittadina dell’Anatolia centrale, dove il 3 novembre del 1996 un’auto si schiantò contro un autotreno.

Al suo interno furono trovati i cadaveri di tre persone: Huseyn Kocadağ, Abdullah Catli e la fidanzata di quest’ultimo. Si trattava, rispettivamente, dell’ex capo della polizia di Istanbul e di uno degli esponenti più importanti dei Lupi Grigi, gruppo di estrema destra turco attivo sin dagli anni ‘70, coinvolto anche nel narcotraffico. L’unico sopravvissuto nell'incidente fu Sedat Bucak, parlamentare eletto nel sud-est del paese.

Un trio singolare, dunque: un deputato, un attivista ultranazionalista e un poliziotto; così singolare da stimolare un’inchiesta, che rivelò come i tre fossero legati nell’ambito di un’organizzazione segreta dedita a sedare le insurrezioni curde in corso nel sud-est del paese da metà degli anni ‘80, con quella che potrebbe essere definita una sorta di “strategia della tensione alla turca”, in cambio di reciproci favori.

"Mani pulite" e Di Pietro in Turchia

Negli anni immediatamente precedenti e successivi all’incidente di Susurluk, una figura suscitò l’interesse dell’opinione pubblica turca: Antonio Di Pietro, abile procuratore italiano, che fu in grado di rivoluzionare il panorama politico del Belpaese con la celeberrima inchiesta “Mani Pulite”. Inchiesta per la quale, come ricorda il giornalista Filippo Ceccarelli nell’ultimo libro Invano (2018), “furono circa 3500 gli arrestati, più di 25mila gli inquisiti, tra i quali quasi 500 parlamentari, decine di ministri ed ex ministri, diversi ex presidenti del Consiglio, insieme a centinaia di amministratori, imprenditori, funzionari pubblici e privati. [...] Ai numeri di Tangentopoli sarebbe giusto aggiungere quelli relativi all’audience televisiva”.

Tangentopoli fu in effetti il primo processo mediatizzato d’Italia, una vera gogna pubblica ad estensione televisiva, in cui gli eroi erano procuratori e giudici che stavano ripulendo la nascente Seconda Repubblica da corrotti e corruttori. Come ci ha spiegato Birol Tavlı, ricercatore dell’Università di Ankara e della Bilgi di Istanbul, tale fu l’impressione dell’esperienza italiana in Turchia che nel 1993 una puntata del leggendario show televisivo “32. Gün”- simile al nostro “Blu notte”- si occupò di Tangentopoli, titolata “Storia di mafia in Italia: l’operazione Mani Pulite”.

Nel corso del 1996, addirittura, un intero programma tv di giornalismo investigativo, presentato dal famoso giornalista Yıldırım Çavlı, fu chiamato “Temiz eller”, Mani pulite.

Come detto, in particolare la figura del procuratore Antonio Di Pietro suscitò curiosità nel paese: il 19 gennaio del 1995, quasi due anni prima di Susurluk, Di Pietro fu invitato dalla confindustria turca (TÜSİAD) a parlare dell’esperienza italiana; il suo discorso - riportato nel bimensile dell’associazione, Görüş - titolava: “Non aspettate il giorno del giudizio per reagire”.

Immediatamente dopo l’incidente di Susurluk, Di Pietro tornò in auge - in show televisivi, anche satirici - come personaggio chiave nella comparazione tra la Turchia e un paese europeo dalla storia turbolenta, e come simbolo della possibile vittoria di un potere giudiziario indipendente sulla corruzione del sistema politico.

“Il 13 Novembre del 1996, dieci giorni dopo Susurluk, Di Pietro tornò in Turchia, di nuovo ospite di TÜSİAD: spiegò in quella occasione che per essere efficaci, procuratori e giudici “devono essere completamente indipendenti”. Ad ogni modo, aggiunse, “i super procuratori non possono risolvere il problema”. Il giorno successivo, il titolo del quotidiano Milliyet, recitava: “Di Pietro è speranzoso su di noi”, citando l’ormai ministro italiano mentre spiegava che “la Turchia è molto più cosciente di due anni fa” e che è necessario “organizzare il lavoro in primis divenendo coscienti”.

“Mani pulite”, temiz eller in turco, è divenuto da quegli anni un idioma che indica la prevenzione della corruzione. A 23 anni dallo scandalo di Susurluk, anche “stato profondo” (derin devlet) è un espressione tutt’ora molto usata, così come una realtà ancora esistente. Tuttavia, si tratta di un aspetto del sistema di potere turco che non è mai stato scosso da un’operazione giudiziaria vasta ed incisiva come quella di “mani pulite”.

 

* Questo articolo è stato ispirato da conversazioni con Birol Tavlı. Il suo gentile e professionale aiuto è stato fondamentale soprattutto per documentare la copertura mediatica di Tangentopoli e della figura di Antonio Di Pietro in Turchia.


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