bandiere turca e libica

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La Turchia è sempre più attiva sul teatro della guerra civile in Libia in appoggio al governo di Fayyez al-Sarraj che oggi incontra ad Ankara Recep Tayyip Erdoğan: in gioco interessi importanti per il controllo del Mediterraneo orientale e delle sue risorse. Un'analisi OBCT

04/06/2020 -  Filippo Cicciù Istanbul

Sulla mappa appare come un tratto di pochi centimetri, ma per la Turchia si tratta di una possibile opportunità di assicurarsi il controllo delle risorse energetiche di buona parte del Mediterraneo orientale e di allargare la propria influenza nell'area. È così che dobbiamo leggere l’accordo marittimo, fortemente voluto dal presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, che mette in comunicazione (sulla mappa dal punto ‘F’ al punto ‘E’) le acque territoriali libiche e turche.

L’intesa è stata trovata tra Ankara e Tripoli nel novembre del 2019, ma continua ad essere uno dei punti più delicati nella battaglia per le risorse energetiche del Mediterraneo orientale. L’unione delle acque territoriali libiche e turche in quel punto impedisce infatti il fondamentale passaggio verso l’isola greca di Creta del gasdotto EastMed, un progetto voluto da Grecia, Cipro e Israele – e sostenuto da Francia, Egitto ed Emirati Arabi Uniti - per portare energia nell'UE tramite il territorio greco evitando accuratamente ogni coinvolgimento della Turchia.

Mappa delle acque territoriali libiche e turche

Ankara dichiara di voler esercitare i suoi diritti allo sfruttamento delle risorse del Mediterraneo orientale e sentendosi esclusa dall’EastMed ha deciso di ostacolare il progetto tramite l’accordo marittimo con la Libia che è stato fortemente criticato, anche recentemente, da Grecia, Cipro, Francia, Egitto ed Emirati. La battaglia su EastMed è però soprattutto una partita per l’influenza sul Mediterraneo più che una lotta per soddisfare un impellente bisogno energetico da parte degli attori coinvolti.

Mavi Vatan, “madrepatria azzurra”

La Turchia vuole arrivare per prima per aver voce in capitolo su quelle aree: è la dottrina “Mavi Vatan” (in turco, la “madrepatriaazzurra”, ndr) un piano che racchiude già nel suo nome una visione dove la Turchia esercita una forte influenza nel Mediterraneo, visto come un’estensione dell’Anatolia fondamentale alla difesa dello stesso territorio turco. Una strategia teorizzata e messa in pratica negli anni da vari membri delle forze armate turche, tra i quali l’ammiraglio della marina Cihat Yaycı degradato recentemente da Erdoğan e conseguentemente dimessosi dalle forze armate in polemica con il presidente turco.

L’ammiraglio era considerato uno degli architetti dell’accordo marittimo con la Libia di Sarraj e negli ultimi mesi aveva rivendicato il suo ruolo in frequenti interviste con i media, un comportamento considerato inusuale per un ufficiale dell’esercito e che ha probabilmente convinto Erdoğan a costringerlo ad un passo indietro.

Le dimissioni di Yaycı hanno provocato forti critiche al presidente turco da parte degli ambienti più nazionalisti e legati all’esercito, ma la polemica è scemata in breve tempo. La fuoriuscita dell’ammiraglio non deve fare pensare a un repentino cambio di rotta da parte di Erdoğan: il piano di intesa marittima con la Libia resta lo stesso, ma ora il presidente turco pensa di controllarlo personalmente dopo aver messo fuori gioco un ufficiale militare considerato troppo invadente.

La Turchia in Libia

L’accordo marittimo del novembre 2019 ha rivelato anche il ruolo sempre più centrale che la Turchia ha cominciato a giocare in Libia a partire dalla fine dello scorso anno con il dispiegamento delle proprie forze a sostegno di Tripoli. Sono mesi in cui Fayez Al-Sarraj, premier del Governo di Accordo Nazionale riconosciuto dall’ONU in Libia, si reca frequentemente a Istanbul per chiedere a Erdoğan aiuto contro l’avanzata verso Tripoli del generale Haftar, a capo dell’esercito del governo parallelo di Tobruk.

L’offensiva è iniziata ad aprile 2019 e Tripoli ha ricevuto aiuti militari inviati da Ankara, ma sarà solo la presenza sul territorio di truppe coordinate dalla Turchia a mettere, nei primi mesi del 2020, in seria difficoltà Haftar fino ad arrivare alla situazione di oggi in cui il generale ha perso moltissimo del territorio precedentemente guadagnato.

Dopo l’accordo marittimo del novembre 2019, Ankara e Tripoli hanno firmato anche un esplicito accordo di collaborazione militare: l'intesa impegna la Turchia militarmente sul campo contro Haftar e la mette contro gli stessi attori con cui compete nel Mediterraneo orientale – Francia, Egitto, Grecia ed Emirati - che più o meno implicitamente sostengono Haftar in Libia.

Il generale, definito dalle autorità turche e dallo stesso Erdoğan come un “dittatore”, può contare però anche sull’appoggio della Russia. Putin ha evitato per mesi di fornire chiarimenti rispetto alla presenza in Libia di 1200 uomini del gruppo privato di sicurezza di Mosca “Wagner”, ma a fine maggio ha trasferito 14 aerei da guerra dalla Siria in Cirenaica a sostegno del generale libico.

Tra Siria e Libia

I collegamenti tra i conflitti in Libia e in Siria non si fermano qui e rivelano una situazione per molti aspetti speculare e correlata. Russia e Turchia sono impegnate militarmente non solo in Libia, ma anche nelle aree del nord est della Siria al confine con la Turchia. In entrambi i casi appoggiano fronti opposti e nello stesso tempo Ankara e Mosca riescono non solo a dialogare ma, di fatto, a imporre la propria agenda nei due conflitti diventando le potenze esterne più rilevanti.

Il dispiegamento di truppe da parte di Ankara in Libia si serve principalmente di miliziani siriani che, sostenuti dalla Turchia, avevano combattuto Assad e l’esercito russo nella regione siriana di Idlib, e che da dicembre 2019 sono stati trasferiti sul territorio libico. Non ci sono cifre ufficiali, ma si stima che in circa sei mesi la Turchia abbia portato in Libia dai 5 ai 10mila mercenari, tra cui anche decine di minorenni.

Sotto il coordinamento di qualche decina di ufficiali turchi, i miliziani siriani sono oggi impegnati in un conflitto che si svolge a 2000 km dal proprio paese. Il loro sostegno al governo di Tripoli contro Haftar avviene con tutta probabilità più per motivi pratici che ideologici. Secondo alcune testimonianze , molti siriani che si trovano ora in Libia non avevano una chiara idea di che tipo di conflitto fosse in corso nella regione prima di poggiare piede sul campo di battaglia.

La Turchia prometteva però di pagarli molto di più per il loro impegno in Libia – tra i 2000 e i 3000 dollari al mese - rispetto a quanto prendevano per combattere a Idlib – 750 lire turche (circa 100 euro) – dove il fronte anti-Assad è da mesi in serie difficoltà. Oltre ai soldi, Ankara promette ai siriani che vanno a combattere in Libia anche la cittadinanza turca e un risarcimento alle famiglie di decine di migliaia di dollari o lire turche in caso il combattente muoia in guerra.

Un tema scottante

L’operazione militare in Libia è stata presentata da Erdoğan in patria come una missione nel solco di un’altra impresa bellica, quella contro l’occupazione coloniale italiana in Libia guidata nel 1911 dal giovane capitano dell’esercito ottomano Mustafa Kemal, colui che dodici anni dopo si autoproclamerà “padre” dei turchi, prendendo il nome di Atatürk, fondando nel 1923 la Repubblica di Turchia e diventandone primo Presidente.

La memoria delle gesta di Atatürk è viva e celebrata oggi dalla maggioranza dei turchi, ma nonostante le rievocazioni storiche patriottiche di Erdoğan, la campagna di Libia è non è mai stata sostenuta a livello popolare in Turchia. Un sondaggio di un’agenzia turca ha rivelato che a gennaio 2020 quasi il 60% della popolazione si opponeva al dispiegamento di truppe in territorio libico. Solo il 34% degli intervistati dichiarava di essere a favore dell’operazione e i dati di questo sondaggio sono stati raccolti quando non erano ancora giunte notizie dei primi soldati morti sul fronte.

La copertura delle vittime turche in Libia ha trovato raro spazio sulla stampa turca, il Presidente Erdoğan è apparso reticente nel chiarire la questione fino a che, a fine febbraio, ha riconosciuto che c’erano stati “due martiri in Libia”. L’annuncio del capo di Stato turco ha messo a tacere voci non confermate che si rincorrevano negli stessi giorni e parlavano invece di almeno 16 soldati uccisi.

La questione non è mai stata chiarita fino in fondo ma sicuramente parlare pubblicamente di questo tema è ancora altamente controverso in Turchia come dimostrato dall’arresto di alcuni reporter del portale on-line turco OdaTV che a marzo ha pubblicato un’inchiesta scottante sull’argomento. A finire in manette sono stati l’autrice di un articolo che rivelava i nomi di due agenti segreti turchi morti durante l’operazione militare in Libia, e sono successivamente stati arrestati anche il direttore del portale di notizie e un altro giornalista di OdaTV che aveva criticato pubblicamente gli arresti dei suoi colleghi.

Un tema scomodo, dunque, quello della campagna turca di Libia che non è stata fermata in questi mesi dall’emergenza Covid-19, è anzi continuata e per ora si è dimostrata un successo sul campo per Ankara. Le vittorie di oggi non garantiscono però che la missione militare non possa tornare presto ad essere percepita dai turchi come impopolare, soprattutto qualora i media tornassero a parlare di perdite nelle fila dei militari turchi in Libia ora che il pubblico non è più distratto dalla notizie riguardanti il Covid-19 che hanno occupato la maggior parte della cronaca negli ultimi mesi mentre in Libia si continuava a combattere.


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