Tra meno di un mese la Turchia andrà a rinnovare il parlamento ed eleggere il presidente. Gli attori in lizza, alleanze e sondaggi in un paese che si appresta ad elezioni anticipate in stato di emergenza
Manca meno di un mese al doppio appuntamento elettorale del 24 giugno in Turchia. Elezioni a sorpresa, legislative e presidenziali, anticipate di 15 mesi per volere del presidente Recep Tayyip Erdoğan. Il motivo di tanta fretta all’inizio non era molto chiaro, viste le numerose occasioni in cui i politici dell’esecutivo avevano scongiurato una simile ipotesi. Ma con i campanelli di allarme sull’economia sempre piú forti e analisi che la danno in peggioramento per i mesi a venire, è diventato piú semplice spiegare la scelta del presidente. Poi ci sono i sondaggi, che non garantiscono una netta vittoria dell’AKP (Partito della giustizia e dello sviluppo) e dello stesso Erdoğan, o per lo meno non al primo turno delle presidenziali. L’opposizione sembra motivata e disposta a giocare tutte le carte in mano e una buona parte dell’opinione pubblica legata ad essa sembra mantenere un certo ottimismo.
Ciò non toglie che il paese andrà alle elezioni in stato di emergenza, mantenuto ormai da quasi due anni. E nonostante il fermento che caratterizza il paese alle vigilie elettorali, sullo sfondo si aggira un fantasma:il timore che possano avvenire irregolarità nel corso delle votazioni o che nell’eventualità di un risultato sfavorevole per Erdoğan e il suo AKP la sconfitta non venga “accettata” da questi ultimi. Il presidente ha addirittura annunciato di avere in serbo non meglio specificati “piani B e C” in caso di sconfitta.
La prima volta
Sarà la prima volta che gli elettori, oltre 59 milioni e 300mila persone, voteranno nell’ambito del sistema presidenziale in Turchia. Con la riforma costituzionale approvata nel gennaio 2017 in parlamento e nell’aprile seguente con un referendum popolare, il passaggio dal regime parlamentare a quello presidenziale è diventato ufficiale e le prossime consultazioni ne rappresentano il suggello.
Uno dei timori dell’opposizione, memore del recente referendum approvato con il solo 51,4% dei voti e segnato da gravi accuse di brogli, è che possa ripetersi un simile scenario. E di certo, la nuova legge elettorale approvata due mesi fa, è lontana dal fornire rassicurazioni a riguardo.
L’ “Alleanza presidenziale” del governo
Ci sono 11 formazioni in lizza per le legislative. Il primo obiettivo è superare lo sbarramento elettorale del 10%. Il secondo, ottenere il numero di seggi più alto in parlamento, che con la riforma costituzionale in senso presidenziale è salito da 550 a 600. Per raggiungere questo scopo è stato introdotto – sempre con la nuova legge elettorale - un sistema di alleanze, che permette a diversi partiti di partecipare alle consultazioni in un unico blocco.
L’AKP ha costituito la propria alleanza, chiamata “Alleanza presidenziale” (cumhur ittifakı), con i nazionalisti del MHP - guidato da Devlet Bahçeli – ed il Partito di grande unità (BBP, ultranazionalista). Il rischio di non superare lo sbarramento potrebbe riguardare il MHP, che secondo vari sondaggi dimostra di aver perso consensi per la scelta di supportare il partito di Erdoğan e, senza dubbio, anche il BBP, da sempre al di sotto della soglia. Secondo la nuova legge, la percentuale ottenuta dall’alleanza verrà considerata nel suo complesso per ciascuna delle formazioni che la compongono. La distribuzione dei seggi andrà però fatta in base al conteggio dei voti ottenuti dai singoli partiti. Per l’AKP resta molto importante portare a casa i voti delle tre metropoli (Istanbul, Ankara e Izmir) dove al referendum presidenziale è prevalso il “No”. Le tre città eleggeranno 162 dei deputati che entreranno in parlamento.
Il blocco dell'opposizione
Lo stratagemma di alleanze ideato dal governo per mettere in difficoltà l’opposizione sembra però essersi ritorto contro lo stesso esecutivo. Secondo vari sondaggi ci sono buone possibilità che il blocco AKP-MHP-BBP resti in minoranza. In risposta al blocco di governo infatti 4 partiti dell’opposizione hanno costituito la cosiddetta “Alleanza della nazione”, che godrebbe del 35%-45% dei consensi: il kemalista CHP (Partito repubblicano del popolo); il Partito democratico (DP) e il Partito della felicità (SP) – partiti non rappresentati in parlamento, rispettivamente del centrodestra e della destra islamista; e il nuovo Partito İYİ (“buono”, in turco) guidato dalla leader Meral Akşener.
Quest’ultima ha fondato questa formazione politica l’anno scorso, distaccandosi dal MHP di cui era deputata. Il partito “buono”, dal carattere laico e nazionalista, si è trasformato in breve tempo in un’alternativa innovativa per la destra turca, attirando voti dagli altri partiti (dal MHP ma anche dall’ AKP e dal CHP). Per diversi osservatori nell’indire elezioni anticipate, Erdoğan avrebbe anche mirato a lasciare İYİ Parti fuori corsa, utilizzando i cavilli burocratici sull’ammissibilità del partito alle consultazioni. Uno degli ostacoli burocratici più importanti – l’obbligo di avere un gruppo di partito in parlamento – è stato superato con il trasferimento a sorpresa di 15 deputati CHP tra le file della formazione della Akşener. Un’inedita dimostrazione di solidarietà e collaborazione tra le formazioni di opposizione. Tanto che Abdülkadir Selvi, un commentatore vicino all’esecutivo, ha scritto - sulle pagine di Hürriyet - che “l’opposizione, per la prima volta andrà alle elezioni con una buona dose di ottimismo e solidarietà”.
Tuttavia lo spirito solidale dell’opposizione non sembra includere il Partito democratico dei popoli (HDP) espressione delle istanze curde e di posizioni politiche progressiste. Il superamento della soglia elettorale da parte dell’HDP, sotto gravi pressioni da diversi mesi – basti ricordare le centinaia di politici in carcere, inclusi 10 deputati e i 2 ex co-leader - risulta cruciale per togliere la maggioranza all’alleanza di Erdoğan. Secondo alcune stime, se l’HDP entrasse in parlamento potrebbe sottrarre al blocco dell’AKP dai 50 ai 60 seggi. Nel caso in cui l’opposizione ottenesse la maggioranza parlamentare, avrebbe la facoltà di ostacolare le decisioni del presidente.
I candidati alla presidenza
Per il primo turno delle presidenziali, ad eccezione di Erdoğan – candidato presidente per l’AKP e il MHP – ciascun partito ha proposto un nome diverso. La prima a sfidare il presidente turco è stata la leader del Partito İYİ , Meral Akşener, seguita dal leader del Partito della felicità (SP) Temel Karamollaoğlu. Il CHP, dopo lunghe consultazioni, ha scelto di candidare Muharrem İnce, dell’ala più a sinistra del partito, che all’ultimo congresso CHP aveva sfidato il segretario Kemal Kılıçdaroğlu. L’HDP ha candidato invece l’ex co-leader Selahattin Demirtaş, che parteciperà alle elezioni dal carcere, dove è tenuto dal novembre 2016 per accuse di terrorismo. Infine, il Partito Vatan, altra formazione di posizioni ultranazionaliste, ha presentato la candidatura del leader Doğu Perinçek, figura vicina al presidente Erdoğan.
I candidati mirano ad ottenere al primo turno il 50% +1 dei voti, senza il quale si andrà al ballottaggio. Secondo un recente sondaggio, realizzato dalla società di consulenza MAK, la percentuale di Erdoğan si aggira attorno al 48,5%, seguito da İnce (22,5) Akşener (11,5), Demirtaş (9%) Karamollaoğlu (2%) e Perinçek (0,5%). Ciò significa che il secondo turno tra Erdoğan e İnce è altamente probabile. Ma per un risultato favorevole all’opposizione, questa volta, serve che le diverse formazioni trovino soprattutto la volontà di compattarsi nonostante posizioni politiche profondamente diverse.
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